18/04/24

“Vengo da un altro mondo e tu mi sogni”

 

“La Sylphide”

Coreografia    Johan Kobborg

                           Musica   Herman von Løvenskjold

 

Corpo di ballo del Teatro Nazionale di Praga 

Orchestra dell’Opera Nazionale di Praga

 

Teatro dell’Opera

PRAGA

 

10 Aprile 2024 h19


 

 

Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni

 

(W.Shakespeare,  La tempesta)



Sono una silfide, vengo da un altro mondo e tu mi sogni, sussurra all’orecchio del giovane James la lieve creatura d’aria e di vento, fantasma o figura reale chi può dirlo. Danza per lui, che se n’innamora perché l’anima inquieta lo spinge in un altrove visionario, al di là di ciò che è terreno. Ma l’alata creatura d’aria e di vento non può essere afferrata, perché “se tocchi un sogno, il sogno muore”: muore la silfide con le sue ali cadute nell’abbraccio mortale, e muore colui che nell’amarla la perderà per sempre.

 

C’è nell’ottocentesca fiaba struggente e tragica tutto il romanticismo nordico col suo corredo di atmosfere ossianiche e di leggende gaeliche: c’è il cupo maniero in Scozia – dimora dello sventurato James - e c’è il bosco della strega cattivissima Madge con la sua corte di streghe cattive almeno quanto lei, con tanto di sabba e pentolone dove ribolle ogni sorta di pozione – niente di salutistico, da scommetterci -  e ci sono i voli notturni delle aeree silfidi dei boschi, creature dell’aria che ben poco possono per migliorare l’atmosfera…

 

Paradigma di un rinato bisogno di spiritualità, è quest’universo misterioso e magico ad irrompere anche nella danza e a fare della Sylphide - dalla versione pionieristica dell’italiano Filippo Taglioni a quella definitiva del danese Auguste Bournonville per il Balletto Reale di Copenhagen (1836) – l’archetipo del balletto romantico, prima ancora dell’altro balletto – archetipico anch’esso - Giselle: il linguaggio coreutico e la tecnica stessa della danza, profondamente innovati dal rivoluzionario “metodo Bournonville” saranno d’ora in poi luogo dell’agire eterno - non solo romantico - del dissidio incomponibile tra reale e ideale, del contrasto tra mondo materiale e universo sovrannaturale.

 

Nella versione coreografata da Johan Kobborg per prestigiosi teatri del mondo e ora alla State Opera di Praga, l'idioma della danza disegna l’irrisolto dualismo dell’anima romantica: e il Sehnsucht – il "male del desiderio" – del giovane protagonista incapace di aderire alla realtà contingente e da cui fuggirà infatti per inseguire tragicamente la sua Silfide, finisce per spogliarsi del connotato fiabesco e farsi elegia dell’irraggiungibile, del sogno come infinita ombra del vero.

 

Due mondi contrapposti che il vocabolario della danza disegna e la partitura musicale evoca, in perfetta reciproca simbiosi.

 

In quello reale si dipana la trama giocosa e festante delle nozze imminenti e che mai avverranno tra il giovane James e la dolce Effie, si dispiegano il vigore giovanile e l'ardore dell’eros nella coralità dei riti sociali, delle danze dagli echi folklorici: un mondo di vitale esuberanza che la fisicità dei danzatori - interpreti a tutto tondo - esalta e fonde con grazia naturale alla trama sonora; in mezzo, come silenti acque carsiche, scorrono l’intima insopprimibile irrequietezza del giovane James (Adam Zvonař), il presago turbamento della promessa e mancata sposa, la dolce Effie (Olga Bogoliubskaia), la baldanza compressa del rivale in amore (Francesco Scarpato).


Nell’altra dimensione, quella misteriosa ed onirica dell’intero secondo atto, ecco la levità della Silfide (Irinia Burduja) ecco il gioco tenero e ambiguo della seduzione, ecco la conquista dell’amore predestinato e impossibile, il sortilegio malefico della strega Madge (Miho Ogimoto); ecco infine, unica vincitrice, la morte. 


Grazia, leggerezza, perfezione tecnica sono la cifra di questi luminosi danzatori, nell’intensità con cui disegnano la parabola tragica dell’amore distruttivo: fiaba romantica eppure senza tempo, quella della Sylphide, dove né il  sogno si tramuta in realtà, né le aspirazioni si compiono; dove la felicità è fantasma leggero fatto d’aria e di vento e la sconfitta, ancor prima che dell’eroe romantico è quella, eterna e sempre uguale, dell’uomo.

 

Sara Di Giuseppe - 17 aprile 2024

13/04/24

Papaveri e papere... e paperelle

San Benedetto, foce inquinata dell'Albula, micro-oasi spontanea di papere (anatre) 
 
    Povere papere e paperelle - di cui almeno 4 neonate - costrette da noi papaveri alti alti alti a sguazzare in quest'acqua nerissima quasi stagnante, inquinatissima, puzzolente e sporca di tutto! Ma loro non protestano, non chiamano i sindacati-paperi della CGIL, né l'ASL, né la stampa-papera (tempo perso, lo sanno). Non frignano neanche con i cittadini, c'hanno paura, qualche fetente ha tentato più volte d'avvelenarle. D'altra parte son state loro a scegliere questo posto, valle a capire. Avessero ragione? qui sicuro mica saranno sparate come alla Sentina o nei "campi di grano" delle campagne vicine. Sarà come sarà, scambiando I'Albula per un "ruscello" (errore!!!) ci son rimaste, pare che un paio di loro, incinte, erano stanche di volar migrando... Così da alcuni giorni la piccola colonia di papere (pardon, anatre) è cresciuta di almeno 4 graziose paperelle multicolor, che ne fanno di tutti i colori come i bambini. Nuotano, giocano, corrono inciampando sulle rive, vanno sott'acqua, beccano, si puliscono da sole le piumette, fanno "qua qua qua..." quei loro acutissimi versetti (non satanici). Ah, fossero "umane", in quest'acqua sarebbero già tutte morte stecchite. 

Qualche sfaccendato papavero-alto-alto-alto del luogo le (s)guarda dal ponte, tra cui anch'io che faccio le foto contro sole (che non vi mando). Ma le performance di questi animaletti interessano poco i pensabene che tirano dritto con le facce ingrugnite, mentre i rari bambini ancora curiosi trovano d'ostacolo le grosse balaustre di pietra del ponte. Fortuna che vicino al lungo imbuto di cemento dell'alveo del torrente c'è sempre il volenteroso pensionato standard che "semina" cibo da un cesto. Però a terra, o nell'acqua zozza, alle papere ne arriva poco: se lo rubano al volo i famelici piccioni del porto, pure qualche gabbiano - "Sciò! jè-t-v vìii! facètele magna', ssì pà-p-r-... " 

Ma le paperelle, si sa, s'accontentano anche solo delle molliche di rimbalzo. Un po' come noi, che in questi tempi bui ci consoliamo e quasi ci saziamo delle (belle e buone) "molliche" di Vincenzo Mollica in mostra qua a pochi metri nella Palazzina Azzurra. Che c'entrano le paperelle? C'entrano, c'entrano, come ce ne sono anche nel catalogo "Scarabocchi in libera uscita" nelle pag. 128, 129 dedicate da Andrea Pazienza a Vincenzo Mollica. In effetti, fuor di metafora, le papere e paperelle siamo noi, mentre i potenti, i politici, chi comanda, chi ci amministra... chi se ne frega delle condizioni igieniche e sanitarie dell'Albula... sono i Papaveri alti alti alti. S'intendeva così anche nella allusiva canzoncina "Papaveri e Papere" di Nilla Pizzi del '52, in cui c'era soave leggerezza canterina ma anche per niente velata satira politica contro i potenti: i Papaveri alti alti alti, appunto. La censura non se ne accorse o lasciò perdere, pensa. Oggi rischi di più. Alla dolcissima paperella gialla dell'Albula quindi non resta che dirle: "sei nata paperina, che cosa ci vuoi far?”.
 
PGC - 12 aprile 2024

05/04/24

La forzata metamorfosi del Ballarin sarà un “ecocidio”, un ecoreato, un delitto contro l’ambiente


       “La Costituzione riconosce l’ambiente tra i diritti fondamentali. Quindi l’iniziativa economica privata (e peggio pubblica) non può mai svolgersi in modo da arrecare danno all’ambiente e alla salute. Entro due anni, in tutta l’Unione europea sarà punito l’”ecocidio”. Lo ha stabilito la seconda direttiva comunitaria sugli “ecoreati” appena approvata… […] Si prevedono pene da 9 a 20 anni”. (Gianfranco Amendola, FQ 4.5.’24)

       Quindi, poiché è prevedibile che fra due anni la forzata metamorfosi del Ballarin - la “canalata pazzesca” - sarà o un’incompiuta o una ciofeca finita male, a San Benedetto si sarà commesso un ecocidio. Finalmente punibile: non sarà difficile dimostrare che la sciagurata farcitura di un dismesso ma immacolato campo di calcio con opere inutili, invadenti e peggiorative per il già compromesso habitat urbano, si configura precisamente come un grave delitto contro l’ambiente.

       Chi ancora non sa o vive su Marte vada a guardarsi il progettone dell’archistar e le affannose integrazioni dell’amministrazione per accontentare chi conta, chi vota, chi minaccia… Ascolti le bugiarde rassicurazioni di chi non mantiene mai. E magari mediti e rida piangendo, sul finto (?) Pesce d’Aprile di quello scavezzacollo di giornale indigeno on-line che - pensando di far lo spiritoso - ha ben elencato quasi tutto quello che vogliono ficcarci nello spazio di un mezzo campo di calcio (e l’altra metà, parcheggio!?). Per non parlare della fruttuosa dilapidazione ciclica di fondi pubblici.

Ma siamo ancora in tempo per fermarci, fare marcia-indietro, annullare tutto, adesso che da ogni lato vediamo il nostro Ballarin VUOTO come mai l’abbiamo visto. Guarda come cammina libero lo sguardo, senza scontrarsi subito con qualcosa di brutto o di volgare. 

Guarda per terra, come sarebbe bello e inebriante un semplice prato - come c’è stato per cent’anni! - da andarci scalzi, da farci capriole… Sarebbe il primo VUOTO URBANO di San Benedetto, forse replicabile anche altrove (ma come questo chi ne ha più…). Un VUOTO necessario per campare meglio, senza continuare a ingolfarci di optional edilizi che sono catene, senza ancora costruire, commerciare, crescere, spendere, inquinare, inquinare!… Senza compiere “peccati ecologici” che sono crimini come quelli contro la pace (copyright Papa Francesco).  

E senza meritarsi condanne fino a 20 anni per “ecocidio”.

PGC - 5 aprile 2024

30/03/24

ESSERE ALTROVE

Roma Tre Orchestra

Kosovo Philharmonic Choir

 

“Intorno al Requiem”

 

Wilhelm F. Bach - Sinfonia in Re minore F 65

Wolfgang A. Mozart - Ave Verum Corpus in Re maggiore K 618

Wolfgang A. Mozart - Requiem in Re minore per soli, coro e orchestra K 626

Aula Magna “B.Croce”

Università degli Studi di Teramo

25 marzo 2024 h 20.30

(la Riccitelli)

 

 

Esser presi per incantamento e trasportati altrove: si può, quando la musica è questa.
 
Se è il mozartiano Requiem in Re minore K 626 potremmo in un momento qualsiasi della serata sollevarci da terra e noi e questa sala entrare magicamente in orbita, e non ce ne accorgeremmo. 
[Restiamo invece qui, per ora: Aula Magna dell’Università degli Studi di Teramo dall’acustica sbagliata, dalle sciatterie inaspettate – per esservi una Facoltà di Scienza della Comunicazione! – come l’editto vescovile (anno 1165) trascritto meccanicamente sulla parete di fondo con spaziature lasciate del tutto al caso, con effetto straniante; restiamo in questi spazi segnati ahimè da scarsa pulizia; in questo Campus perimetrato da ferrose recinzioni da prigione o da stadio, sviluppato in arroganti geometrie di cemento e d’acciaio distillanti tristezze di carcere o di ospedale. Dentro e fuori.]
 
Due formazioni eccellenti, stasera, orchestrale e coristica - anche giovani e, specie la seconda, numericamente poderose - che insieme sono più del pubblico in sala, quasi tutto diversamente giovane. Bizzarro, no? In un polo universitario che t'immagini debba calamitare da città e dintorni tanto ascolto e tanto pubblico, vario e di ogni età. In un capoluogo di provincia che ha uno storico Conservatorio Musicale. 
Sarà colpa di questo complesso la cui bruttezza dovrebbe essere reato federale, scaraventato lassù tra ragnatele di stradine dove perfino il volenteroso navigatore - che inglesizzando pronuncia incredibilmente Teramo “Ist” - recalcitra e fa il prezioso e non vuol saperne di arrivarci e di farci arrivare?… Chissà.
 
Non importa (o anche sì). Perché non appena Bach figlio - Wilhelm Friedemann - riempie di musica lo spazio, e ogni angolo della sala semivuota ne accoglie l’appassionata sinfonia, siamo a Dresda la bella, siamo tra le navate gotiche della sua Santa Sofia ormai scomparsa, dentro la solenne severa malinconia forse presaga – tanto tanto tempo prima – della tragedia futura.
E subito dopo la grazia espressiva del gioiello mozartiano “Ave Verum Corpus”, nella rigorosa eppur toccante linearità, ci prepara – ma non si è mai davvero preparati, quando la Bellezza ci travolge – alla tempesta del Requiem.

Ed ecco il Coro poderoso, ecco i quattro eccellenti Solisti, ecco la valentissima Orchestra al gran completo innalzare davanti a noi questa cattedrale immensa di suoni dove umano e divino si toccano, dove finito e infinito si cercano in irrisolta tensione alla salvezza. 
Il Dio che giudica e il Cristo che salva, il dolore del singolo e dell’umanità tutta, la luce e la tenebra, la dannazione e la salvezza, la terra e il cielo: tutta l’altissima divina architettura dell’opera è restituita qui dall’intensità folgorante delle voci, dal magnetismo degli strumenti sapienti. 
Le atmosfere sonore, le movenze riflessive e quelle potentemente drammatiche, l’incalzare massiccio del coro e il far spazio alle voci e agli strumenti solisti, il tragico che trascolora nella poesia della preghiera, l’orchestrazione che si slancia verso il trascendente e si china poi in squarci di dolente umanità: li assaporiamo con completezza stasera, l'alto valore degli interpreti li rende attuali come se i secoli non fossero trascorsi e lo spazio non esistesse.

E forse è davvero così: forse, presi per incantamento, abbiamo realmente attraversato quel varco spazio-temporale che cercavamo, forse ci siamo staccati da terra e siamo approdati in qualche altrove mentre l’ascolto ci rapiva senza che opponessimo resistenza.
Di certo siamo un po’ nuovi, uscendo, ed è come se qualcosa del genio mozartiano e dei magnifici interpreti ci fosse rimasta attaccata addosso, ed è come una luccicanza… 
Forse ci basta.
Scappiamo dall’università. Accendono i motori anche i due-tre grandi bus dell’Orchestra Roma Tre e del Kosovo Philharmonic Choir.

 

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Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io

fossimo presi per incantamento…

[Dante, Rime, 9]

 

Sara Di Giuseppe - 28 marzo 2024 

27/03/24

Guardare la musica ascoltando gli acquerelli

ONCERTO ED ARTE / NOTE SU TELA


Davide Massacci: pianoforte   Eugenio Cellini: acquerelli

Ripatransone – Teatro MERCANTINI   23 Marzo 2024  ore 21

 


    Abbiamo guardato i colori di CHOPIN, ROSSINI, SCHUBERT, LISZT, DEBUSSY, CASTILLO ascoltando gli acquerelli di Cellini. Il concerto ha funzionato così. 

Ma prima, Davide Massacci ha detto commosso di MAURIZIO POLLINI. E già gli va un bravo, mentre nei telegiornali italioti la notizia è rotolata dopo le tragicomiche della nostra politica stracciona, dopo le piagnose vicissitudini sanitarie della Corona UK; dopo le arlecchinesche americanate di attenti a quei due - uno peggio dell’altro. Cioè dopo quasi tutto. Alle volte, perfino infilata come una punizione tra le beghe del calcio, ahò, è successo che è morto Pollini! 

Poi, peccato non sia salito sul palcoscenico il “nostro” Eugenio: non è che non ha fatto in tempo, anche se - come un direttore d’orchestra - ha dovuto sorvegliare il “ritmo” dei suoi acquerelli per farceli guardare-ascoltare a tempo di Chopin, Debussy, Schubert, Liszt… (eh, incorniciati in studio, loro non sono abituati a certi… ritmi).

Giusto, l’inizio con quel Notturno di Chopin che Pollini chissà quante volte ha suonato in tutti i teatri del mondo, ma mai “accompagnato” dagli acquerelli di Ripa…in notturna! 
Omaggio rispettoso e commovente, a Massacci forse tremavano le dita per l’emozione, ma l’esecuzione è stata rigorosa, senza tentennamenti, proprio in stile razionalista. Anche Ripa in Do min. vista e immaginata con colori notturni è stata all’altezza. Nell’esuberante Petite caprice “StyleOffenbach di Rossini (Offenbach il personaggio, non la piatta cittadina semi-dormitorio vicino a Francoforte) - dove si allude proprio alle corna, al suonare con indice e mignolo! -  Cellini si cava d'impaccio con acquerelli di repertorio: belli, a Ripa meglio non dipinger corna… 

Con Debussy ci s’avvicina al jazz con influenze classicheggianti: “La cathédrale engloutie” (stile gotico, penso) che affonda in mare e riemerge, è pura fantasia pittorica impressionista che però ha messo in difficoltà Cellini, difficile immaginare la cattedrale di Ripa in fondo all’Adriatico. Così la modernità di Debussy s’accontenta della pur debussiana bellezza delle nostre piccole chiese senz’acqua. [Pure chiuse e dimenticate, ma non divaghiamo].

Interpretando la delicatezza di Schubert e la malinconia di Liszt, il duo Massacci-Cellini sembra contaminarsi reciprocamente. Difficile parlarne ancora, spiegare. Sonorità di pennellate morbide, colori di musiche romantiche, motivi armonici quieti o complessi che discendono colline e campagne. La metamorfosi s’inverte più volte. 
Ascoltare musica e capirla dipende anche da cosa guardiamo. “Il pianista è un detective” (indaga sull’uomo e sul tempo); il pittore risolve, architetta, mostra.

Davide non lo dice, ma mentre gli acquerelli di Eugenio dopo la felice fatica si spengono, se sceglie di chiudere il concerto col breve intenso Valzer in La minore n.19 B150 di Chopin (l’ultimo, pubblicato postumo), credo che il suo pensiero - come il nostro - voli ancora verso Maurizio Pollini. Questo valzer Davide Massacci già da tempo lo insegna ai suoi allievi, Maurizio Pollini è appena andato via.
 
PGC - 27 marzo 2024

24/03/24

QUELLA FOLLE FREGOLA DI GUERRA

 

Quelli che credono più fermamente nella conquista del mondo sono gli stessi che sanno che è impossibile.

(G. Orwell, “1984”)


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Eccoli in delirio bellicista, i folli che reggono i destini d’Europa.

 

Membri UE, come il delirante Ch.Michel presidente del Consiglio Europeo che Se vogliamo la pace dobbiamo prepararci alla guerra (dev’essergli apparso in sogno Publio Flavio Vegezio Renato attraversando i millenni) e perciò Dobbiamo mettere l'economia europea sul piede di guerra - dice restando serio -

 

Gli fa eco Alexa - pardon, la presidente a sonagli U. von der Leyen - con Servono più armi, dobbiamo produrne come abbiamo fatto per i vaccini… e nessuno che se la porti via in camicia di forza.

 

E poi J.Borrel (quello che “L’Europa è un giardino e il resto del mondo è una giungla” - ottobre 2022 -  per dire come siamo messi) che bacchetta i paesi refrattari all’impegno militare. 


Poi  l’ectoplasma Gentiloni – parlandone da sveglio – col suo  bisogna rafforzare la difesa europea e finanziarla insieme.

 

Poi capi di stato e di governo: il francese cazzutello che si crede Napoléon, la nostrana cucurbitacea premier con l’androide quasi antropomorfo Ministro della Guerra e tutto il cucuzzaro di fasciomaggioranza al livello basico di alfabetizzazione, e via passeggiando per l’Europa intera. 


Poi naturalmente tutti quelli che hanno le mani in pasta anzi in armi fino al gomito e oltre: industrie d’armi e munizioni di ogni nazionalità peso e colore, e azionisti, e lobbisti e via armeggiando.

 

Non stanno nella pelle tutti, e lo dicono, dalla fregola di riempire d'armi e munizioni e carrarmati e missili ogni angolo del mondo. L’hanno fatto, lo fanno da tempo. 

Già l’Italia ha il record europeo - ne vende più di tutti - con un export armigero raddoppiato negli ultimi cinque anni come attestano Istituti di Ricerca Internazionali.

Solo che adesso abbiamo messo il turbo.

 

Ci arriveremo eccome, alla guerra, la storia non ci insegna mai nulla. 

Specie se non la si conosce.

Ci arriveremo per gradi: attraverso trucchi, scorciatoie, propaganda.

Magari sembrerà un incidente.

 

Già ora nel Mar Rosso giochiamo alla battaglia navale a comando italiano, e il comandante che abbatte i droni dei cattivoni riceve nella natia San Benedetto del Tronto attestati di pettoruto orgoglio patrio e campanilistica prosopopea… 

Già l’Italico Parlamento si avvia ad approvare - col Ddl 855 - norme che semplificano obblighi e controlli per l’export di armi favorendo, come se non bastasse, l’opacità dei flussi finanziari e dell’operato delle banche nel settore. 

 

Tornerà comodo all’uopo dimenticarsi della Costituzione che RIPUDIA LA GUERRA ma tranquilli, basterà continuare a ignorarla come s’è fatto ogni volta che per conto NATO abbiamo esportato democrazia ovunque in Europa e nel mondo, dalla ex Jugoslavia al Medioriente e via bombardando (civili e quant’altro).

 

Sarà così che nei prossimi giorni fra una portata e l’altra del menu di gala a Bruxelles, fra i sorrisi e i birignao, la classe politica europea più inetta reazionaria e corrotta che mai abbia occupato quei seggi, brindando agli accordi raggiunti sulla “difesa comune”, sancendo che le intese NATO contano più della nostra Costituzione, materializzerà orwellianamente l’assunto:

 

LA GUERRA È PACE



      Insomma se, come una volta Menippo dalla Luna, potessimo contemplare dall’alto gli uomini nel loro agitarsi senza fine, crederemmo di vedere uno sciame di mosche e di zanzare in contrasto fra loro, intente a combattersi, a tendersi tranelli, a rapinarsi a vicenda, a scherzare, a giocare, nell’atto di nascere, di cadere, di morire.

[Erasmo da Rotterdam, Elogio della Follia, 1509]

 

Sara Di Giuseppe - 22 marzo 2024