Per troppo tempo, le donne afghane non
hanno mai avuto un volto e una voce. Fino ad ora.
Con Syngué Sabour – Pierre de
patience, lo scrittore e regista afgano, rifugiato politico a
Parigi, Atiq Rahimi, dona un volto e una voce a una indimenticabile
donna senza nome, una splendida Golshifteh Farahani di origine
iraniana, che vive in una delle tante città distrutte dalla guerra
civile tra fazioni opposte di combattenti.
Il titolo italiano, Come pietra
paziente, deforma il suo reale significato e non capiamo ancora
una volta perché nella traduzione il titolo va storpiato e perché
c’era bisogno del “come”.
Nella tradizione orientale, la storia
della Pietra Paziente viene raccontata, alla protagonista, da sua
zia, una donna che da giovane aveva ucciso il suocero che la
violentava e che ora è la tenutaria di un bordello. È il nome di
una pietra nera magica che assorbe come una spugna i segreti e i
dolori di colui che li racconta. Il giorno in cui la pietra, troppo
gonfia di pensieri, esploderà in mille pezzi, sarà il giorno in cui
il confidente sarà per sempre libero.
Un film asciutto ed essenziale. Una
giovane madre e un uomo molto più vecchio, combattente di Dio, in
coma per un proiettile al collo dopo un litigio con un suo compagno
d’armi. Attorno alla casa la guerra incombe. Probabilmente la
guerra civile degli Anni '90, quando a Kabul si affrontavano le bande
rivali dei mujahidin che, dopo aver cacciato i russi
dall’Afghanistan, si disputavano il potere della città come cani
rabbiosi.
Dopo qualche immagine, siamo già
lontani dai cliché esotici di cui si nutre la letteratura
occidentale sulle gesta dei guerrieri, l’onore, la tradizione e la
bellezza del paesaggio. Non c’è nulla nella strada, nulla nella
casa nuda sotto la tutela di un sontuoso Corano poggiato su una
mensola. L’eroe, colui che non aveva saputo resistere al richiamo
della guerra, è steso a terra su un tappeto con una vecchia flebo
che la moglie, dopo averlo lavato, accudito e pregato per lui,
riempie di acqua zucchero e sale per nutrirlo. Ma l’uomo, alla
giovane moglie, non fa più paura ed ecco che le parole che lui non
ha mai ascoltato cominciano ad uscire dalla bocca della donna,
dapprima lentamente poi, come un fiume in piena, raccontando una vita
senza amore, schiava di una cultura medievale in un paese che usa
armi e tecnologie moderne. E l’uomo diventa la pietra paziente
della giovane fino al suo risveglio dal coma, il giorno in cui, di
fronte alla sua ennesima violenza, lei deciderà di essere libera.
Negli anni 80, il grande poeta afgano
Bahodine Majrough, ucciso nel 1988 da una fazione islamica, aveva
raccolto i versi improvvisati dei contadini e dei pastori del suo
paese. Grande fu la sua sorpresa, e quella dei suoi lettori, nel
leggere nelle parole delle donne, sotto il giogo maschile dalla
nascita fino alla morte, grida di rivolta impudiche contro i padri e
i mariti, appelli all’adulterio che ribaltavano tutti i principi
sociali e religiosi. Atiq Rahimi segue la stessa strada verso la
verità, svelando l’anima afghana e ce la mostra scevra di maschere
e cliché. La sua denuncia dei tabù è terribile, e ciò lo ha
portato a scrivere questo libro direttamente in francese, ritenendosi
così non un rifugiato politico, ma un rifugiato culturale.
Tra le tante stupende parole dette
dalla donna ricordo quelle che riportano agli slogan e alle idee
pacifiste mai realizzate del secolo scorso: “Ha ragione mia zia,
gli uomini che non sanno fare l’amore, amano la guerra”.
Antonella Roncarolo
Antonella Roncarolo
Grazie per il riferimento a Bahodine Majrough, che leggero'! Ma il film non mi sembra cosi' meritevole... Non interessante dal punto cinematografico; la vicenda: luoghi comuni pseudo-femminili e iper-intimistici (alla Comencini-Tamaro, per restare da noi), e quanto anacronismo! (non sembra un po' troppo 'occidentale' la protagonista? abiti che indossa a parte); una co-produzione europeo-afghana che ha voluto un film americano. Un discreto prodotto per un pubblico sensibile ed emotivo. Ma, anche al di la' del valore artistico (nullo), nessuno scavo autentico nel mondo femminile afghano, annacquato per bene per un gusto occidentale di poche pretese. Per fortuna non c'e' solo questo 'femminile'. Come non c'e' solo questo cinema di mercato. Ma grazie per l'apertura alla letteratura afghana autentica!
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