Scenografia minima,
ieri sera, per la sala dell’Olmo scabra ed ”esistenziale”. Quattro
leggii accarezzati da un fiotto di luce; in mezzo, un tavolino con
sopra una bottiglia. E’ quanto basta per ospitare il non stop di
una lettura scenica che sa farsi padrona, orchestrarsi in un
quartetto di voci che danno vita alle sequenze in cui è ritagliata
e resa essenziale la prosa del “Rinoceronte” di Eugene
Ionesco.
La riproposta del testo, a distanza di vent’anni dalle
sue prime apparizioni con Re Nudo a San Benedetto del Tronto, ci sembra
senz’altro frutto di una scelta luminosa. Perché l’assurdo in
cui navigano i personaggi di Ionesco è ancora, esattamente, la storia dei nostri giorni. Infatti, in Jean, Dudard, e Daisy che si vedono progressivamente trasformati in rinoceronti contagiosi e urlanti, è riconoscibile, ancora una volta, la nostra quotidiana metamorfosi morale, lontani come siamo da un’identità umana che esorcizzi da questa pandemia.
E se ieri, al tempo della nascita di
quest’opera, essa era ravvisabile nella distruzione dei sentimenti
in nome dell’isterismo, del fanatismo collettivo, del crollo della
ragione, oggi vi si è aggiunto il male dell’estraneità,
dell’indifferenza, del servaggio alle mitologie tecnologiche, della
misconoscenza dell’altro. Un’estraneità che viene resa dal
teatro di Piergiorgio Cinì con sottili sfumature esilaranti, in un accelerarsi
della soluzione scenica che ci immette, per la via dell’ironia e
della lettura umoristica, nella tragedia: una tragedia che interroga
acerbamente senza cessare di coinvolgere, di tenerci avvinti alla
logica provocatoria dei ragionamenti, all’incalzare dei sillogismi
che dipingono efficacemente i cavilli della nostra mente.
Bèrenger
(un Cinì irresistibile), solo a fronteggiare il morbo, ci lancia un
appello accorato che sfuma in una speranza-chimera.
Piergiorgio
Cinì, Roberta Sperantini, Riccardo Massacci, Andrea Mondozzi ci
hanno tenuti inchiodati ai gradoni dell’Olmo, con le loro
invenzioni mimiche iperreali, modernissime, in un paradosso scenico
incalzante, che ha finemente reso la valenza geniale del testo, e
anche la sua fantasmagorica ansia di divertire, benvenuta, anzi quasi
inedita nel grigio cupo dei giorni che corrono.
Enrica Loggi
Nessun commento:
Posta un commento