29/05/13

Giordano Teodoldi, uno splendido outsider. La recensione (quasi) impossibile di Raffaello Palumbo Mosca

I segnalati, primo romanzo di Giordano Teodoldi dopo la fortunata raccolta di racconti Io odio John Updike, è un libro decisamente spiazzante; a lungo mi sono chiesto come fosse possibile parlarne, se non evocando immagini e suoni: l’angoscia straziante e finemente modulata del Pierrot Lunaire di Schoenberg, ad esempio, o l’Urlo di Munch o ancora, e più in generale, quelle atmosfere decadenti e arcaiche così care ad un certo pensiero mitico-magico degli anni Venti e Trenta del secolo scorso. Forse il modo migliore di procedere è per avvicinamenti progressivi. Iniziamo allora con il titolo, che è un chiaro riferimento all’opera Die Gezeichneten (I predestinati o, appunto, I segnalati del 1918) di Franz Schrecker (1878-1934). Le trame dell’opera di Schrecker e del romanzo di Teodoldi sono, come è ovvio, molto diverse, ma comuni sono i temi fondanti: la deformità, la sessualità morbosa, l’inquietante inafferrabilità della bellezza (tutti temi, del resto, usuali dell’espressionismo tedesco del tempo); comune a Schrecker e Teodoldi è poi l’azzardo massimalista di trattare e fondere tutti questi motivi all’interno di un’unica opera.
Il romanzo di Teodoldi si configura innanzi tutto come una discesa agli inferi dei due protagonisti: Fulvia, la ragazza con le all-star rosse e ossessionata da un senso di colpa tanto pervasivo quanto ingiustificato, e il narratore della storia, un ventiquattrenne romano senza nome. Detto questo, tuttavia, non si è detto (quasi) nulla del potere ipnotico della narrazione, ambientata un una Roma contemporanea ma senza tempo (mitico-magica, appunto), notturna, ctonia; attorno ai due protagonisti si muove poi tutta una serie di personaggi sulfurei, ambigui - sessualmente e psicologicamente - e che aiuteranno, più o meno inconsapevolmente, Fulvia e il suo compagno/amante/gemello a compiere il loro destino di «segnalati». Parte del fascino della narrazione risiede nel perfetto gioco di rimandi e allusioni costruito da Teodoldi: personaggi e oggetti hanno un loro doppio al quale infondono alcune loro qualità salienti (ad esempio, il pugnale Regina Nigra duplicato nel Regina Ossea, il flautista prodigio Giovanni come doppio di Ruggero, morto all’inizio del racconto). Il mondo de I segnalati è alchemico, ovvero mostra continuamente la segreta corrispondenza tra le cose. Più che mettere in scena delle individualità, Teodoldi mostra quindi le forze e ossessioni da cui gli uomini sono agiti. Eppure i personaggi riescono tutti memorabili, proprio perché incarnano forze e ossessioni in modo particolarissimo prima ancora che esemplare. Viene in mente il Mishima del Tempio dell’alba, e per il continuo gioco di rimandi tra i personaggi, e per la teoria della reincarnazione che conclude - ovvero non conclude - il libro. (Anche se, al contrario di quanto accade in Mishima, qui la reincarnazione non è studiata nelle sue diverse declinazioni filosofico-religiose ma solo accennata). Se ad una tale trama, intricata e profondamente anti-realistica, aggiungiamo poi l’insistenza freudiana sul sogno e sulle colpe dei padri, nonché il tema saggistico della musica colta - da Mozart a Schoenberg - che attraversa come una lama tutta la narrazione, capiamo immediatamente fino a che punto Teodoldi abbia scritto un romanzo lontano dallo «spirito del tempo». E non è detto, ovviamente, che tale distanza sia un male. Se, da una parte, non si può non ammirare la qualità della prosa - una prosa matura, sempre sorvegliata - nonché il fascino sinistro della trama, d’altro canto si rimane anche un po’ interdetti a chiedersi quale sia il senso profondo di un romanzo che si situa in una terra di mezzo tra il kitsch e l’iper-colto. Nella sua recensione per Il giornale, Marco Drago, dopo essersi chiesto se I segnalati non rappresenti «una versione di alto profilo del genere fantasy o un testo di letteratura tardo-romantica fuori stagione», ipotizza che esso sia, al contrario, un romanzo della piena contemporaneità, se non avanguardistico, ovvero uno di quei romanzi «onnivori, predicati da Giuseppe Genna e Antonio Moresco». Potrebbe anche darsi; io credo però che Teodoldi sia un outsider vero, indifferente - se non insofferente - a poetiche e mode, anche quelle che si presentano come anti-mode. I segnalati è un viaggio nella Pazzia («Prima che il caos regnasse tra Fulvia e me fu molto bello […] Giunsi invece alla Pazzia» leggiamo nella prima pagina), un viaggio al fondo di ossessioni che sono dolorosamente intime perché culturali; cosa c’è, infatti, di più singolare, di più profondamente nostro della nostra storia intellettuale? Ecco: forse, al di là del dolore riversato a piene mani in tutto il racconto, Teodoldi ci consegna anche questo piccolo messaggio cifrato: il nostro essere più vero e originale è fatto da tutte le opere d’arte che abbiamo amato. Non è, soprattutto di questi tempi, messaggio da poco.

Raffaello Palumbo Mosca

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