I
segnalati, primo romanzo di Giordano Teodoldi dopo la fortunata
raccolta di racconti Io odio John Updike, è un libro decisamente
spiazzante; a lungo mi sono chiesto come fosse possibile parlarne, se
non evocando immagini e suoni: l’angoscia straziante e finemente
modulata del Pierrot Lunaire di Schoenberg, ad esempio, o l’Urlo di
Munch o ancora, e più in generale, quelle atmosfere decadenti e
arcaiche così care ad un certo pensiero mitico-magico degli anni
Venti e Trenta del secolo scorso. Forse il modo migliore di procedere
è per avvicinamenti progressivi. Iniziamo allora con il titolo, che
è un chiaro riferimento all’opera Die Gezeichneten (I predestinati
o, appunto, I segnalati del 1918) di Franz Schrecker (1878-1934). Le
trame dell’opera di Schrecker e del romanzo di Teodoldi sono, come
è ovvio, molto diverse, ma comuni sono i temi fondanti: la
deformità, la sessualità morbosa, l’inquietante inafferrabilità
della bellezza (tutti temi, del resto, usuali dell’espressionismo
tedesco del tempo); comune a Schrecker e Teodoldi è poi l’azzardo
massimalista di trattare e fondere tutti questi motivi all’interno
di un’unica opera.
Il
romanzo di Teodoldi si configura innanzi tutto come una discesa agli
inferi dei due protagonisti: Fulvia, la ragazza con le all-star rosse
e ossessionata da un senso di colpa tanto pervasivo quanto
ingiustificato, e il narratore della storia, un ventiquattrenne
romano senza nome. Detto questo, tuttavia, non si è detto (quasi)
nulla del potere ipnotico della narrazione, ambientata un una Roma
contemporanea ma senza tempo (mitico-magica, appunto), notturna,
ctonia; attorno ai due protagonisti si muove poi tutta una serie di
personaggi sulfurei, ambigui - sessualmente e psicologicamente - e
che aiuteranno, più o meno inconsapevolmente, Fulvia e il suo
compagno/amante/gemello a compiere il loro destino di «segnalati».
Parte del fascino della narrazione risiede nel perfetto gioco di
rimandi e allusioni costruito da Teodoldi: personaggi e oggetti hanno
un loro doppio al quale infondono alcune loro qualità salienti (ad
esempio, il pugnale Regina Nigra duplicato nel Regina Ossea, il
flautista prodigio Giovanni come doppio di Ruggero, morto all’inizio
del racconto). Il mondo de I segnalati è alchemico, ovvero mostra
continuamente la segreta corrispondenza tra le cose. Più che mettere
in scena delle individualità, Teodoldi mostra quindi le forze e
ossessioni da cui gli uomini sono agiti. Eppure i personaggi riescono
tutti memorabili, proprio perché incarnano forze e ossessioni in
modo particolarissimo prima ancora che esemplare. Viene in mente il
Mishima del Tempio dell’alba, e per il continuo gioco di rimandi
tra i personaggi, e per la teoria della reincarnazione che conclude -
ovvero non conclude - il libro. (Anche se, al contrario di quanto
accade in Mishima, qui la reincarnazione non è studiata nelle sue
diverse declinazioni filosofico-religiose ma solo accennata). Se ad
una tale trama, intricata e profondamente anti-realistica,
aggiungiamo poi l’insistenza freudiana sul sogno e sulle colpe dei
padri, nonché il tema saggistico della musica colta - da Mozart a
Schoenberg - che attraversa come una lama tutta la narrazione,
capiamo immediatamente fino a che punto Teodoldi abbia scritto un
romanzo lontano dallo «spirito del tempo». E non è detto,
ovviamente, che tale distanza sia un male. Se, da una parte, non si
può non ammirare la qualità della prosa - una prosa matura, sempre
sorvegliata - nonché il fascino sinistro della trama, d’altro
canto si rimane anche un po’ interdetti a chiedersi quale sia il
senso profondo di un romanzo che si situa in una terra di mezzo tra
il kitsch e l’iper-colto. Nella sua recensione per Il giornale,
Marco Drago, dopo essersi chiesto se I segnalati non rappresenti «una
versione di alto profilo del genere fantasy o un testo di letteratura
tardo-romantica fuori stagione», ipotizza che esso sia, al
contrario, un romanzo della piena contemporaneità, se non
avanguardistico, ovvero uno di quei romanzi «onnivori, predicati da
Giuseppe Genna e Antonio Moresco». Potrebbe anche darsi; io credo
però che Teodoldi sia un outsider vero, indifferente - se non
insofferente - a poetiche e mode, anche quelle che si presentano come
anti-mode. I segnalati è un viaggio nella Pazzia («Prima che il
caos regnasse tra Fulvia e me fu molto bello […] Giunsi invece alla
Pazzia» leggiamo nella prima pagina), un viaggio al fondo di
ossessioni che sono dolorosamente intime perché culturali; cosa c’è,
infatti, di più singolare, di più profondamente nostro della nostra
storia intellettuale? Ecco: forse, al di là del dolore riversato a
piene mani in tutto il racconto, Teodoldi ci consegna anche questo
piccolo messaggio cifrato: il nostro essere più vero e originale è
fatto da tutte le opere d’arte che abbiamo amato. Non è,
soprattutto di questi tempi, messaggio da poco.
Raffaello Palumbo Mosca
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