In
fondo è la storia di Giovanni Passannante, l'anarchico che il 17
novembre del 1878, armato di coltello, attentò alla vita di Re
Umberto I° di Savoia. Passannante, alto un metro e 61,
venne lasciato in una cella alta un metro e 40 centimetri, senza
grate e con una catena lunga due palmi inchiodata al muro, per 14
anni. Si ammalò praticamente di tutto, fino a diventare cieco.
Liberato, si fa per dire, terminò i suoi giorni nel manicomio
criminale di Montelupo. Subito dopo morto, gli tagliarono la testa e
misero il cervello in un barattolo pieno di formalina, per farne
oggetto di studio e per mostrarlo al museo criminale di Roma. Andrea
Satta (voce dei Têtes de
Bois) e Alessandro De Feo, giornalista dell'Espresso, condussero una
battaglia epocale con i ministri della giustizia dei governi di destra
e di sinistra, per dare una degna sepoltura a quel cervello. Dopo
anni di lotte, arrivato il momento di trasportare quello che restava
dell'anarchico a Salvia di Lucania (divenuta nel frattempo Savoia di
Lucania), arrivarono quelli della Digos e il sindaco del paese che,
quatti quatti, per ragioni di ordine pubblico, infilarono in silenzio
i resti in una fossa.
Perché questo lunghissimo prologo? Perché altrimenti non si comprende l'essenza di un gruppo musicale che fa della raffinatezza delle esecuzioni e dell'impegno politico totale, la sua ragione di esistere. Insomma, doveva essere la serata di Francesco Baccini, è stata quella dei Têtes de Bois, cioè di Andrea Satta, voce; Angelo Pelini, pianoforte; Luca De Carlo, tromba; Carlo Amato, contrabbasso e Stefano Ciuffi alla chitarra. Una performance memorabile la loro. Dieci canzoni di Léo Ferré, tradotte in italiano con l'aiuto di Giuseppe Gennari, che del Festival Ferré è il direttore artistico. Dieci brani di Léo che, rivisitati con arrangiamenti spesso stupefacenti, hanno riacquistato una nuova dimensione e una freschezza che il tempo non ha cancellato. Andrea Satta è un frontman vero. Mica ha bisogno di parlare di “topa”, lui. Anzi, parla di tutti gli anarchici del mondo e di tutti i diritti che ogni giorno, in ogni parte del mondo, vengono spudoratamente violati. A questa capacità di attrarre, forte di un carisma asceso negli anni a livelli inimmaginabili le prime volte che li abbiamo visti sullo stesso palcoscenico del Ferré, i Têtes de Bois sono avanti anni, secoli, rispetto a chi riduce la musica a canzonetta o a semplicistico sperimentalismo post-avanguardistico. E se la voce, sempre melodiosa, di Andrea Satta si fa soffio di vento nell'omaggio a Georges Moustaki, il resto è un continuo scavare in profondità corde emotive uniche e toccanti. Se poi chiude l'esibizione con una versione da spellarsi le mani di “Les anarchistes”, si comprende la ragione per la quale, terminato il terzo bis, la gente ne pretendeva assolutamente un quarto. Poi, Francesco Baccini. Cosa dire di lui che già non si sappia? Arguto, ironico, malinconico, triste, allegro, guascone, abituato a stare sul palcoscenico picchiando il pianoforte, Baccini ha proposto una scaletta assolutamente coerente, che è partita da Luigi Tenco, ha sfiorato De Andrè, soffiato su Léo Ferré, e attraversato la sua carriera con le hit che lo hanno reso famoso. Insomma, se Francesco Baccini ha fatto il Baccini, i Têtes de Bois hanno fatto molto di più: emozionato. L'apertura della seconda serata del Festival Ferré, è stata di Alex Di Salvatore, un cantautore che abbiamo ascoltato in altre occasioni, e che sta trovando una sua personale strada di ricerca musicale e contenutistica in modo ammirevole.
Perché questo lunghissimo prologo? Perché altrimenti non si comprende l'essenza di un gruppo musicale che fa della raffinatezza delle esecuzioni e dell'impegno politico totale, la sua ragione di esistere. Insomma, doveva essere la serata di Francesco Baccini, è stata quella dei Têtes de Bois, cioè di Andrea Satta, voce; Angelo Pelini, pianoforte; Luca De Carlo, tromba; Carlo Amato, contrabbasso e Stefano Ciuffi alla chitarra. Una performance memorabile la loro. Dieci canzoni di Léo Ferré, tradotte in italiano con l'aiuto di Giuseppe Gennari, che del Festival Ferré è il direttore artistico. Dieci brani di Léo che, rivisitati con arrangiamenti spesso stupefacenti, hanno riacquistato una nuova dimensione e una freschezza che il tempo non ha cancellato. Andrea Satta è un frontman vero. Mica ha bisogno di parlare di “topa”, lui. Anzi, parla di tutti gli anarchici del mondo e di tutti i diritti che ogni giorno, in ogni parte del mondo, vengono spudoratamente violati. A questa capacità di attrarre, forte di un carisma asceso negli anni a livelli inimmaginabili le prime volte che li abbiamo visti sullo stesso palcoscenico del Ferré, i Têtes de Bois sono avanti anni, secoli, rispetto a chi riduce la musica a canzonetta o a semplicistico sperimentalismo post-avanguardistico. E se la voce, sempre melodiosa, di Andrea Satta si fa soffio di vento nell'omaggio a Georges Moustaki, il resto è un continuo scavare in profondità corde emotive uniche e toccanti. Se poi chiude l'esibizione con una versione da spellarsi le mani di “Les anarchistes”, si comprende la ragione per la quale, terminato il terzo bis, la gente ne pretendeva assolutamente un quarto. Poi, Francesco Baccini. Cosa dire di lui che già non si sappia? Arguto, ironico, malinconico, triste, allegro, guascone, abituato a stare sul palcoscenico picchiando il pianoforte, Baccini ha proposto una scaletta assolutamente coerente, che è partita da Luigi Tenco, ha sfiorato De Andrè, soffiato su Léo Ferré, e attraversato la sua carriera con le hit che lo hanno reso famoso. Insomma, se Francesco Baccini ha fatto il Baccini, i Têtes de Bois hanno fatto molto di più: emozionato. L'apertura della seconda serata del Festival Ferré, è stata di Alex Di Salvatore, un cantautore che abbiamo ascoltato in altre occasioni, e che sta trovando una sua personale strada di ricerca musicale e contenutistica in modo ammirevole.
Questa
sera, gran finale con Carmine Torchia e Annick Cisaruk con il
fisarmonicista David Venitucci. La prassi è la stessa, ingresso
gratuito ma occorre prenotarsi. Maledetto numero di telefono, ci
sfugge anche questa notte.
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