All’ultima
serata del Festival Ferré, alla sua diciottesima edizione e a
vent’anni dalla morte di Léo, è di scena la raffinatezza
dell’espressione musicale. Non sapremmo come definire altrimenti il
cammeo di emozioni che ne sono scaturite da parte di artisti che
hanno incontrato la strada di Ferré dandone un’interpretazione al
tempo stesso personalissima e vibrante.
Dopo
l’omaggio vigoroso di un pianista di rango, dalle sorprendenti doti
di abilità improvvisativa e dallo stile modernissimo, dai variopinti
timbri musicali, come Lucio Matricardi che ha accompagnato il poeta
Paolo Cristalli, anima amante del lirismo ferreiano, presenza
“carmelobeniana” di rottura, la serata si è letteralmente
riempita di fascino impregnandosi delle melodie di Carmine Torchia.
Architetto prestato alla musica, già segnalato come artista dalla
marcata personalità, vincitore dei primo “Musica Controccorrente”
e “Musicultura”
rispettivamente nel 2005 e nel 2009, a lui dobbiamo la trasposizione di due inediti ferreiani magnificamente riportati alla luce, con la traduzione firmata dalla figlia di Ferré, Manuela, due opere del maestro monegasco rimaste per molto tempo nell’ombra: La Dernière Chanson e Au Premier Hibou de Service. Torchia ha lo stupore e la gentilezza d’animo, il tatto poetico direi, per interpretare al meglio Ferré, ma anche la carica emozionale e l’incanto e la fascinazione enigmatica, il tessuto setato delle parole misurate e scelte accuratamente per restituircelo attraverso occhi candidi che vedono oltre. Ecco allora la magia di un classico ferreiano come Il tuo stile, resa ancora più preziosa nonostante la difficoltà e la sublimità intense del testo, oppure il suo devotissimo ed intenso ossequio a Ciampi con Ma che ne so, aggraziata incursione in uno dei canzonieri popolari più alti della musica d’autore italiana. Come direbbe il prof Gennari parlando di questo musicista-poeta a tutti gli effetti: “dicono che i bambini sono poeti, e quando un bambino-poeta riesce a crescere senza perdere la sua capacità di sognare e trovare bellezza in ogni cosa, e se metti musica nella sua vita e gli dai carta e penna e la capacità di tradurre sulla carta quello che lui solo riesce a vedere per offrirlo a tutti, allora hai la rara fortuna di trovarti davanti alla poesia”.
rispettivamente nel 2005 e nel 2009, a lui dobbiamo la trasposizione di due inediti ferreiani magnificamente riportati alla luce, con la traduzione firmata dalla figlia di Ferré, Manuela, due opere del maestro monegasco rimaste per molto tempo nell’ombra: La Dernière Chanson e Au Premier Hibou de Service. Torchia ha lo stupore e la gentilezza d’animo, il tatto poetico direi, per interpretare al meglio Ferré, ma anche la carica emozionale e l’incanto e la fascinazione enigmatica, il tessuto setato delle parole misurate e scelte accuratamente per restituircelo attraverso occhi candidi che vedono oltre. Ecco allora la magia di un classico ferreiano come Il tuo stile, resa ancora più preziosa nonostante la difficoltà e la sublimità intense del testo, oppure il suo devotissimo ed intenso ossequio a Ciampi con Ma che ne so, aggraziata incursione in uno dei canzonieri popolari più alti della musica d’autore italiana. Come direbbe il prof Gennari parlando di questo musicista-poeta a tutti gli effetti: “dicono che i bambini sono poeti, e quando un bambino-poeta riesce a crescere senza perdere la sua capacità di sognare e trovare bellezza in ogni cosa, e se metti musica nella sua vita e gli dai carta e penna e la capacità di tradurre sulla carta quello che lui solo riesce a vedere per offrirlo a tutti, allora hai la rara fortuna di trovarti davanti alla poesia”.
Che
dire poi della madrina della serata, Annick Cisaruk? Una
straordinaria interprete capace di lasciarci letteralmente
sbalorditi. Annick, mi piace chiamarla così data la semplicità e
l’immediatezza con cui si è relazionata al pubblico, è riuscita a
valorizzare Ferré con un mix di ingredienti che, se sommati, fanno
veramente il talento: un’enorme capacità scenica, la disinvoltura
e sicurezza interpretative nel portare canzoni complesse e sfumate
come quelle ferreiane, una voce piena, toccante, tersa, come direbbe
di nuovo Gennari, “millesimata” sino a toccare punte di
perfezione e rotondità armoniche in grado di esaltare come per i
migliori e più preziosi champagne. Vita ed arte si fondono
mirabilmente in questa poliedrica interprete che pur essendo una
notevole e polivalente attrice – lavorò con Giorgio Strehler – non
trova nel canto un ripiego, un nostalgico approdo per misurarsi da
attrice con la propria voce, ma un potenziamento delle sue doti, la
quintessenziazione esaltante del suo istinto creativo. Ieri sera era
affiancata da un formidabile compagno di viaggio, David Venitucci,
capace come ha detto Annik, di restituirci in un unico strumento, la
fisarmonica, tutto un mondo di assonanze e coloriture orchestrali.
Medaglia d’oro del Conservatorio di Grenoble, questo
musicista-compositore spazia sulla sua tastiera con la “maestria”,
la più libera e fantasiosa libertà espressiva di un magnifico e
dotato jazzista che all’occorrenza sa calare il proprio estro
armonico e ritmico tra le tramature chiaroscurali e la bellezza
nascosta dei testi di Ferré. Meraviglia ed eccellenza musicali allo stato puro.
Come
se non bastasse, dopo avere assegnato egli stesso l'altra sera la
targa Léo Ferré a Luigi Tenco, tramite uno dei suoi migliori
interpreti, Francesco Baccini, per “avere cantato la libertà di
vivere di morire”, è stata la volta di Pino Gennari ad avere in
consegna il meritato riconoscimento attribuitogli dalla Famiglia di
Léo Ferré per avere sostenuto, con caparbietà e passione, il
magnifico peso della valorizzazione della canzone d’autore
italo-francese (ma non solo) attraverso questi altrettanto
sfolgoranti 18 anni passati al galoppo, con all’anagrafe poetica i
suoi 20 anni “pour tout bagage”.
In
sala era presente anche il regista francese Bernard Gilles che ha
girato alcune scene, all’interno del Teatro Concordia ed in
occasione del Festival, da inserire nel suo nuovo film-documentario
su Léo Ferré intitolato “Léo Ferré. Une voix sans maître”
(“Léo Ferré. Una voce senza padrone”).
Voglio salutare, stringendola idealmente al cuore e
datosi che ho mancato di farlo ieri, tutta la famiglia Ferré, dalla
signora Marie, donna di immenso garbo, sino alle figlie
Marie-Christine e Manuela, nonché Maurizio Silvestri che ogni anno
si incarica di prendersi cura della riuscita organizzativa del
Festival, lasciandoli con le parole di un uomo che Barbara ha
definito “superbo, trasparente, la mia immensa tenerezza”, un
“uomo del sole”: George Moustaki.
“Ma
liberté”
Ma
liberté
Longtemps
je t’ai gardé
Comme
une perle rare
Ma
liberté
C’est
toi qui m’a aidé
A
larguer les amarres
Pour
aller n’importe où
Pour
aller jusqu’au bout
Des
Chemins de fortune
Pour
cueillir en rêvant
Une
rose des vents
Sur
un rayon de lune.
Alceo
Lucidi
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