Lady'n'Jazz,
come si scriveva una volta per il rythm'n'blues più arrabbiato,
illumina la scena. Parte con Le chien, Léo, ed è tutto dire.
Tiziana Ghiglioni è oggi la punta di diamante del panorama vocale
italiano. Usa la voce come le aggrada, la tira e la molla come se le
corde vocali fossero elastici e non parti anatomiche. Quelli che
escono dalla sua gola sono suoni perfetti, quasi gorgheggi, che però
finiscono per comporre una sequenza di note che sembra infinita.
Quanta tecnica c'è nel suo canto! Lo “scat” predomina e duetta a
volte con il sax di Piero Bittolo Bon (eccellente), altre con i tasti
(e le corde) del pianoforte di Alfonso Santimone. Tre assoli, di cui
uno vocale, non è roba da tutti i giorni e se ne resta folgorati
prima, estasiati poi, quando le note fluiscono come un sorso di vino
buono nell'esofago. E arriva Se stasera sono qui, e il cuore canta
con Lady'n'Jazz, non perdendosi neppure una parola, un sospiro, uno
dei refoli che Luigi Tenco prima avvertiva sulla pelle e poi scriveva
sul pentagramma. L'interpretazione di Tenco da parte di Tiziana
Ghiglioni, ci ha commosso, che gran cosa quando una voce riesce ad
entrare nell'anima delle persone fino a farle sorridere!
Il fatto è, poi, che la Ghiglioni smonta le canzoni e le rimonta per se stessa: la melodia è quella, l'arrangiamento ovviamente no, ma la voce è uno stiletto, uno dei più sottili, uno dei più letali, ma solo per i poveri di spirito e di cuore. La serata è stata aperta da Luca Matricardi, giovane cantautore molto “francese”, soprattutto nelle atmosfere, che abbiamo trovato decisamente più maturo di qualche anno fa; più deciso, più convinto dei propri mezzi espressivi e uno studio del pianoforte che deve essere stato sicuramente profondo, sia dal punto di vista della tecnica pura che della composizione. Ma la parte del leone, l'ha fatta il livornese Bobo Rondelli. Perché abbiamo specificato la provenienza del cantautore? Perché solo un livornese può mettere la “topa” al centro della sua esibizione, trasformandola in un oggetto di culto da tormentone. Di professione, Bobo Rondelli, che a cinquantanni vive con la mamma (almeno così dice), fa il “Prendiperilculista” (è una autodefinizione, quindi non smentibile). E in effetti un po' di presa per il culo c'è ma si sa, i livornesi son fatti così e se dalle parti del porto si respira la stessa aria di Piero Ciampi, tutto (o quasi) è perdonato. Lui è un “maudit”, o almeno si sente tale. In alcuni momenti lo sembra davvero, ma alla fine viene sempre fuori quella strana sensazione che fa domandare, a un pubblico che non beve proprio tutte le palle che spara, “ma questo ci è o ci fa”? Noi una risposta ce la siamo data. Ci fa. Ha provato, Bobo, a fare anche del discreto cabaret. Ha infilato un paio di buone battute a sfondo politico-sociale ma, visto che nessuno ha riso, è tornato paro paro alla topa che, in fondo, è stato l'unico vero omaggio che ha reso a Ferré. A quel Léo che una volta disse: “La topa è il sorriso verticale di Dio”. Ferré non disse “topa”, ma il senso era quello.
Il fatto è, poi, che la Ghiglioni smonta le canzoni e le rimonta per se stessa: la melodia è quella, l'arrangiamento ovviamente no, ma la voce è uno stiletto, uno dei più sottili, uno dei più letali, ma solo per i poveri di spirito e di cuore. La serata è stata aperta da Luca Matricardi, giovane cantautore molto “francese”, soprattutto nelle atmosfere, che abbiamo trovato decisamente più maturo di qualche anno fa; più deciso, più convinto dei propri mezzi espressivi e uno studio del pianoforte che deve essere stato sicuramente profondo, sia dal punto di vista della tecnica pura che della composizione. Ma la parte del leone, l'ha fatta il livornese Bobo Rondelli. Perché abbiamo specificato la provenienza del cantautore? Perché solo un livornese può mettere la “topa” al centro della sua esibizione, trasformandola in un oggetto di culto da tormentone. Di professione, Bobo Rondelli, che a cinquantanni vive con la mamma (almeno così dice), fa il “Prendiperilculista” (è una autodefinizione, quindi non smentibile). E in effetti un po' di presa per il culo c'è ma si sa, i livornesi son fatti così e se dalle parti del porto si respira la stessa aria di Piero Ciampi, tutto (o quasi) è perdonato. Lui è un “maudit”, o almeno si sente tale. In alcuni momenti lo sembra davvero, ma alla fine viene sempre fuori quella strana sensazione che fa domandare, a un pubblico che non beve proprio tutte le palle che spara, “ma questo ci è o ci fa”? Noi una risposta ce la siamo data. Ci fa. Ha provato, Bobo, a fare anche del discreto cabaret. Ha infilato un paio di buone battute a sfondo politico-sociale ma, visto che nessuno ha riso, è tornato paro paro alla topa che, in fondo, è stato l'unico vero omaggio che ha reso a Ferré. A quel Léo che una volta disse: “La topa è il sorriso verticale di Dio”. Ferré non disse “topa”, ma il senso era quello.
E questa sera, secondo appuntamento del Ferrè. Ci sono,
nell'ordine: Alex Di Salvatore, i Têtes
de Bois e Francesco Baccini, con una scaletta tutta da inventare e che
prevede brani di Léo Ferré, di Luigi Tenco e suoi. L'ingresso è
gratuito ma occorre telefonare. Ci dispiace ma non abbiamo il numero a
portata di mano, altrimenti...
Massimo
Consorti
Nessun commento:
Posta un commento