Il
6 agosto del 2006, Ettore Mo venne dalle nostre parti a presentare
quello che allora era il suo ultimo libro, “Fiumi”. Fu una serata
memorabile, non per la bravura, la s-costanza, il ghigno cinico, la
mala sopportazione della gente da parte di uno dei più grandi
giornalisti, inviato di guerra, che il Corriere della Sera abbia mai
avuto (Indro Montanelli e Oriana Fallaci su tutti), ma per il clima
che si era creato in uno chalet in cui, oltre alle stupidaggini che
quotidianamente volano nei divertimentifici italiani, quella sera ci
capitò di avere finalmente chiaro il concetto di “analfabetismo di
ritorno”. Gli analfabeti di ritorno sono coloro che apprendono di
nuovo l'uso di una lingua. Di solito appartengono alle categorie dei professionisti: avvocati, ingegneri, medici, notai, commercialisti,
matematici, scienziati, insomma, spesso, fior di professionisti
che, arrivati a una certa età, si accorgono che qualcosa gli manca e
scoprono di botto la cultura. Si iscrivono ai cineclub, ai circoli
letterati (compresi quelli intitolati a Jane Austin), scoprono Philip
Roth, si addentrano in spericolate discussioni sul cinema giapponese
e pure su quello thailandese (non capendone una mazza), iniziano a percepire cos'è una nota
musicale e, appena scoperta la differenza che passa fra un Do e un
rutto, idolatrano Keith Jarrett e stravedono per Pat Metheny.
Il guaio è che invece di apprendere e di interiorizzare, trangugiano tutto alla velocità della luce, per cui il rischio molto serio di fare la fine dei personaggi della Grande abbuffata (di Ferreri ce n'è stato uno e non fabbricava cioccolatini, poi quello era Ferrero) è sempre presente. Ma quella sera scoprimmo, restandone basiti, che un'altra categoria di professionisti era entrata nel grande club universale degli analfabeti di ritorno: i politici. Roba da tagliarsi le vene. Non volendo suicidarci a causa di quacquaracquà conclamati, abbiamo pensato di ritirare fuori dall'archivio di Pier Giorgio Camaioni (conservato presso il Museo Egizio di Torino, tanto che la prima stesura PiGi la realizzò su un foglio di papiro), il pezzo che scrisse proprio in occasione della presentazione del libro di Ettore Mo al quale, al termine della serata, porgemmo le scuse più sentite a nome della popolazione autoctona.
Il guaio è che invece di apprendere e di interiorizzare, trangugiano tutto alla velocità della luce, per cui il rischio molto serio di fare la fine dei personaggi della Grande abbuffata (di Ferreri ce n'è stato uno e non fabbricava cioccolatini, poi quello era Ferrero) è sempre presente. Ma quella sera scoprimmo, restandone basiti, che un'altra categoria di professionisti era entrata nel grande club universale degli analfabeti di ritorno: i politici. Roba da tagliarsi le vene. Non volendo suicidarci a causa di quacquaracquà conclamati, abbiamo pensato di ritirare fuori dall'archivio di Pier Giorgio Camaioni (conservato presso il Museo Egizio di Torino, tanto che la prima stesura PiGi la realizzò su un foglio di papiro), il pezzo che scrisse proprio in occasione della presentazione del libro di Ettore Mo al quale, al termine della serata, porgemmo le scuse più sentite a nome della popolazione autoctona.
GRANDE
MO
Para
ogni assalto e vince. Non entra nel merito, non recita la fotocopia
del libro, come vorrebbero conduttori incalzanti, politici
presenzialisti vicini di tavolo, interroganti giornalisti
che
abusivamente gli danno del tu (!).
Brilla
istintiva sintonia solo con la brava insegnante di
"Legnano-provincia-di-Milano", che lo ringrazia per averla
aiutata
ad
insegnare geografia a studenti che oggi non vogliono ascoltare nulla.
Grande
Mo.
Neanche si agita, con di fronte una platea che non vuol capire che
lui, anzichè incensarsi per commerciar libri (quanti ne abbiamo
visti), preferisce raccontare
piccole
grandi storie con vocaboli primordiali e potenti, che ti scuotono.
Quindi svicola, evocando l'ultimo guizzo di Nureyev dall'ospedale, o
l'abbraccio polveroso al sapore di vino con Mossud. E potrebbe farci
sentire il paradiso revente dell'Afghanistan, l'annichilimento
disperato dell'Aral, le musiche perse dei Danubi, le disperazioni
ramificate del suo delta... Invece, ancora, gli chiedono di dighe, di
riserve d'acqua e di petrolio, di "scelte giuste" (a lui
che non è un politico!), di come si diventa giornalisti-di-successo
(sic).
Oppure perché nel libro "manca la Senna", di chi veramente
sono quelle scarpe abbandonate sull'argine di Budapest - che, forse
ti sei sbagliato?- ...
Lui
sorride, ma non ci casca. Impacciata (ma anche affettuosa)
disperazione intorno.Grande
Mo.
Come chiedere di computer ad uno che usa l'Olivetti. Infatti. Però
ti fa contento, alla fine: ti promette di studiare l'informatica, i
nuovi linguaggi, ... magari per diventare giornalista moderno, di
successo, brillante, televisivo... Dolce bugia. Grande
Mo.
Pier
Giorgio Camaioni
Massimo
Consorti
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