L’arte
contemporanea tende sempre di più alla multimedialità. Anche nel
primo decennio del nostro nuovo secolo gli artisti operano al confine
di molti linguaggi, tendendo verso la produzione di opere di arte
totale, frutto di una sintesi capace di sviluppare un intreccio tra
arte figurativa, cinema, teatro, letteratura, fotografia. L’artista
contemporaneo sembra riprendere da una parte il modello
rinascimentale di Leonardo e Michelangelo che hanno operato a 360
gradi e dall’altra quello di Wagner che ha teorizzato e praticato
l’opera lirica come luogo capace di totalizzare tutti i linguaggi
dell’arte. Tale tendenza si è sviluppata in modo continuo sin
dagli inizi del secolo scorso, a partire dalle avanguardie storiche:
Futurismo, Astrattismo, Surrealismo e Dadaismo. Dagli anni Cinquanta
in poi gli artisti hanno sentito il bisogno di abbandonare
ulteriormente il proprio specifico: scendere dalla parete, uscire
dallo schermo, oltrepassare lo spazio del palcoscenico per arrivare
all’opera come installazione capace di ospitare forme di intreccio
dei diversi linguaggi, frutto dunque di assemblaggio e contaminazione
dei generi. Il progetto - che prende avvio questo anno con un prologo
alla Rocca Albornoz - intende documentare l’opera di artisti già
noti sulla scena internazionale dell’arte, ma si propone anche,
nella cornice e nello spirito proprio di Spoleto Festival dei 2Mondi
per tradizione aperto alla sperimentazione e al dialogo tra i diversi
linguaggi dell’arte, di essere artefice di nuove scoperte e di
sconfinare infine verso performance, concerti, incontri e proiezioni
per l’intera durata del Festival.
Achille Bonito
Oliva
Shoja Azari
The
King of Black
2013,
HD video colore, suono, 24’
Courtesy
Leila Heller Gallery, New York
Il
video The king of black mescola in un modo originale le tecniche del
film muto, le immagini delle preziose miniature persiane, l’azione
teatrale e l’animazione digitale. Il racconto è basato sul poema
epico Haft Paykar (le sette bellezze) scritto nel 1197 da Nizami di
Ganja, il più grande scrittore epico della letteratura persiana che
con i suoi poemi offrì materia a tutti i miniaturisti dei secoli
successivi. Il
racconto morale di Nizami descrive l’impazienza di un principe che,
violando l’appello alla perseveranza di una delle sue sette mogli,
è costretto ad abbandonare il giardino dell’Eden. Dietro
l’allegoria dell’antico poema, l’artista Shoja Azari nato a
Shiraz e residente a New York critica così la realtà sociale e
politica del suo paese.
Peter
Greenway
The
Ice Time
40,000
years in 4 minutes
2012,
5 media players e 5 monitors, 4’, colore editing
Irma de Vries, soundtrack Huibert Boon, programming Matteo Massocco
"Possiamo
certamente affermare che molto presto si avrà una ri-dislocazione
delle terre emerse poiché gli oceani si innalzano sempre di più. E
ci sarà presto una inondazione a cui seguirà il ghiaccio. Possiamo
dire che l’umanità è un tipo di vita costretta a fiorire nei
brevi intervalli tra due ere glaciali. I cambiamenti metereologici
sono lenti, continui e devastanti per l’evoluzione della specie.
Qui in cinque sequenze vi è il racconto del previsto prossimo evento
condensato in quattro minuti. Quarantamila anni in quattro minuti."
Così descrive la sua ultima installazione il filmaker gallese, con
una formazione ed una vocazione di pittore, che - predicando la morte
del cinema - si è fatto pioniere del crossover tra linguaggio
cinematografico, pittura, letteratura e nuove tecnologie digitali.
Ahmet
Güneştekin
Belek
(Memorie)
2012-2013,
proiezioni video e suono
Sulle
pareti e sul pavimento di una stanza in penombra scorrono in sequenza
le immagini di date comprese tra il 1909 ed i nostri giorni, tra il
massacro degli Armeni di Adana e gli avvenimenti odierni di Piazza
Taksim. Una colonna sonora diffonde sincronicamente voci e suoni
originali che si riferiscono a quegli avvenimenti. L’artista
turco Ahmet Güneştekin interroga così la memoria collettiva nostra
e della sua gente sulla serie di violenze e attentati ai diritti
umani che si sono succeduti in poco più di un secolo in quella parte
del mondo.
Shrin
Neshat
Il
teatro è vita. La vita è teatro.
Don’t
ask where the love is gone.
Fotografia
di Luciano Romano
2012,
B/W, 9 stampe giclee su carta hahnemühle e dibond
Commissionata
da Comune di Napoli/Stazione Toledo/Metropolitana di Napoli spa
Al
termine di una residenza a Napoli per concorrere anche con una sua
opera alla realizzazione della stazione metropolitana Toledo
progettata da Oscar Tusquets, Shirin Neshat ha fissato in drammatiche
immagini in bianco e nero nove attori ed attrici del teatro
underground napoletano. Sono nove corpi che sembrano forzare le
pareti di una prigione senza luogo e senza tempo. "Cerco
l’universalità che possa valere per tutti", afferma l’artista
americana di origine iraniana. "La bellezza dev’essere unita
al sentimento, all’ impegno sociale e politico. Da soli la bellezza
resta un canone estetico e l’impegno un grido. Solo uniti
diventano qualcosa che possiamo chiamare arte".
Sri
Astari Rasjid
Undercover,
Underwear, Underworld Troops
Soundtrack di Rahayu Supanggah
2013,
fiberglass, stainless steel mesh & mixed media
La
preoccupazione costante del lavoro artistico dell’indonesiana Sri
Astari è quella di rileggere le tradizioni della cultura di Giava e
del suo simbolismo attraverso le lenti dell’invadente life style di
origine occidentale che rapidamente ha cambiato lo scenario dei
valori nella vita sociale del suo paese. In
particolare al centro della sua critica vi è la posizione della
donna, con tutte le sue contraddizioni, tra radici della tradizione e
consumismo dilagante. Ma spesso tale critica prende la forma dello
humor, come nella rappresentazione delle sette figure sospese tra
eleganze antiche e ammiccamenti erotici, ambiguamente in contrappunto
con la colonna sonora di Rahayu Supanggah.
Sislej
Xhafa
Shhhhhhhhhhhhht
2013
blanket, newspaper, clothes
Courtesy
Galleria Continua, San Gimignano / Beijing / Le Moulin
Un corpo è
disteso per terra, interamente nascosto da una vecchia coperta. Non
sappiamo chi sia, se dorma o se sia ubriaco, se riposi o sia morto.
Il titolo che l’artista kosoviano ha dato all’opera non ci aiuta
a sciogliere l’enigma ed anzi contribuisce a rinforzare i nostri
dubbi di spettatori casuali. Ma anche incolpevoli? Sisley Xhafa punta
il dito proprio sulla complessità della realtà politica, economica
e sociale della realtà contemporanea e lo fa con mezzi semplici, ora
con ironia e ora con acida irrisione, che non è facile classificare.
"La realtà è più forte dell’arte – afferma Sisley Xhafa –
Come artista non mi interessa riflettere la realtà, ma voglio
interrogarla e metterla in discussione".
Progetto
e produzione: Change Performing Arts
Direzione
creativa: Elisabetta di Mambro/Franco Laera
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