Dopo
la significativa esperienza di Per non morire di mafia, tratto
dall’omonimo libro, che dopo il fortunato battesimo spoletino è
stato presente sui palcoscenici italiani per due stagioni, vede la
vita al Festival di Spoleto 2013 Dopo il Silenzio. Una nuova
avventura teatrale, questa, una scrittura autonoma che vede la
collaborazione tra una figura come Pietro Grasso ed uno dei più
interessanti drammaturghi italiani, Francesco Niccolini. Un testo
questo che vede la luce, per giunta, in uno scenario politico e
sociale, rispetto a due anni fa, sempre più costantemente
disorientante in cui con una velocità sorprendente tutto è
divorato: dai contenuti culturali, fino alle informazioni di
carattere scientifico e tecnologico. A
fronte di tanta velocità massmediatica, di tanto urlo, di tanto
disagio emotivo e materiale che travolge i cittadini di questo nostro
amato e ferito paese, il teatro può essere sempre di più portatore
di storie, creando le condizioni per conoscere e quindi per poter
decidere sul proprio destino sociale e privato.
Per
questo mi è sembrato importante accogliere l’invito di Sebastiano
Lo Monaco e di Margherita Rubino, inesauribile fonte di energia e
architetto del progetto, a proseguire in un cammino teatrale che ci
veda artisticamente assieme nel portare avanti un organico
ragionamento intorno alle parole ed al pensiero di Pietro Grasso.
In
questo caso il palcoscenico è il luogo della Storia, di una storia
collettiva che attraversa le piccole vicende personali di ognuno di
noi e che quindi può in sé contenere le fondamenta di un possibile
ri-orientamento nazionale.
In
questa ottica anche in Dopo il Silenzio la parola teatrale diventa
strumento di indagine di una Storia di un paese, l’Italia, che
coincide, si scontra talora, diverge e poi trova punti di contatto
con la storia della mafia con i suoi addentellati politico/economici,
con il suo ribaltamento valoriale che si è unito ad un
imbarbarimento dei costumi e della vita pubblica. Questo
certo rappresenta il fulcro narrativo di questo nuovo, spettacolo,
come lo era anche nel primo ma stavolta travalicando l’esperienza
individuale a autobiografica di Grasso, ponendo elementi di un
racconto scenico che, non riducendosi ad una dimensione cronachistica
o di denuncia, mi pare vada verso le forme dell’antica Tragedia
affrontando i grandi temi della coscienza in lotta con la giustizia e
con la morte come orizzonte estremo. La
scrittura di Grasso e la drammaturgia di Niccolini ci proiettano in
una necessità comunicativa che solleciti, incuriosisca e ponga lo
spettatore in un’attenzione profonda verso l’esperienza umana con
tutte le sue contraddizioni e con quella necessaria capacità di
comprensione e sospensione del giudizio.
Il
teatro da sempre fonte di salvezza spirituale e specchio della
collettività, ci consente di viaggiare fra le immagini, i ricordi, i
frammenti di un intero che si è spezzato tra intimidazioni, bombe,
morte portata nelle pubbliche piazze.
Le
generazioni ed il dialogo tra esse, diventa l’asse attorno a cui
ruota la scrittura scenica di Dopo il Silenzio. Il dovere che Pietro
Grasso si dà è quello di passare la storia, di farla conoscere ai
giovani. L’immagine è quella di un Silenzio che parli, opposto ad
un silenzio omertoso che vogliamo cancellare e costruire su quel
"Dopo" il nostro futuro. Un
dialogo acceso e vibrante quindi questo spettacolo, che mette di
fronte due generazioni, due punti di vista totalmente opposti del
leggere la vita. In un
luogo dell’attesa, in un purgatorio dell’anima, in una condizione
fuori dal tempo e dallo spazio dove fa breccia la grande storia con i
suo eventi, i destini di questo giovane e dell’uomo si incontrano
per fare i conti con la propria coscienza. Sul limitare di un tempo
che sta scadendo il giovane e l’uomo fanno un viaggio interiore che
vuole essere una consapevole ridiscussione dei motivi della propria
vita delle scelte più o meno eticamente vissute.
Quei
due uomini tanto diversi tra loro, confrontano le loro vite in un
faccia a faccia che parte dalla mafia come fenomeno esterno a sé per
arrivare ad una definizione di mafia come condizione interiore
dell’uomo, come reazione a problematiche sociali, come risposta
sbagliata a bisogni inespressi, come prodotto di un Silenzio complice
; una mafia che nasce in ognuno quando il dialogo con propri valori
non sia aperto e leale. In
quel luogo, come se da sempre fosse lì, un uomo pubblico, che da
sempre ha combattuto per le sue idee, per la giustizia, che ha
attraversato la storia d’Italia degli ultimi trent’anni e più,
con le sue delusioni e sconfitte ma anche speranze e vittorie,
attende che quel giovane arrivi. Un uomo che porta con sé la storia,
la drammatica storia di questa seconda repubblica, un uomo con le sue
scelte sempre coraggiosamente ed onestamente affrontate con
altrettanta coerenza affronta il giovane che domanda, pretende e
giudica. Un giovane che non conosce quella storia se non attraverso
la televisione, un giovane che ha venduto sé stesso e la propria
libertà, un giovane senza parole per costruire il proprio futuro. Di
fronte a lui quell’uomo adulto sente il dovere di portare le sue
parole, i suo pensieri, le sue esperienze perché tutto questo
diventi patrimonio condiviso. Tra
quei due uomini di età ed esperienza diverse, si crea
progressivamente una comprensione, un abbraccio ideale, un
ricongiungersi etico e morale che possa fondare simbolicamente una
Nazione più civile, capace di una rivolta morale e di dire "Noi
no!" Davanti
alla sacralità della morte, al limite che anche l’antica tragedia
greca segnava come punto di svolta e trasformazione dell’uomo, la
pietas reciproca trova un gesto con cui realizzarsi e quella
dimensione etica dell’azione politica diventa comprensione
dell’altro, ascolto dell’altro e atto concreto. Quel
ragazzo e quell’uomo sono due facce di noi: la coscienza del
degrado, la percezione della radice profonda di esso di cui la Mafia
è solo la punta più immediatamente leggibile e dall’altra parte
troviamo l’incoscienza del non sapere, del non voler capire e del
non voler leggere la realtà che ci circonda con occhi nuovi. Tra
quei due uomini, in quello spazio metafisico della memoria, in quella
sorta di archivio della mente, fatto di volti, nomi, luoghi, c’è
una donna, un pensiero al femminile che pone la speranza della
trasformazione e che impone la conoscenza ed il sapere come strade
verso il futuro. L’emergere
di una figura di donna che si pone accanto all’uomo come
educatrice, eticamente rivolta verso il giovane, mi pare il dato
importante di questo nuovo racconto teatrale. In questo testo si
vuole quindi parlare di una Storia collettiva di uomini ma anche di
donne che hanno vissuto con naturalezza scelte importanti, che hanno
portato lutti profondi ma che con quella capacità di accoglienza che
porta con sé il femminile, hanno superato prove importanti e
decisive.
Insomma
quella donna agisce lo svolgersi del dialogo tra i due e quando
interviene è per portare un "vento" che apra le finestre,
spalanchi le porte per far emergere una verità, un onestà che c’è
in ogni azione che possa salvare un giovane! Quella donna incarna il
futuro, la possibilità di una trasformazione, una nuova alba
possibile per la città distrutta e dilaniata. Quella
donna oppone alla cultura del sangue, la cultura dell’amore e come
le antiche Troiane difende quei valori familiari depositati nel
segreto dell’esperienza matrimoniale. Quell’uomo
e quella donna, con accanto a sé il giovane, con i loro volti
sfiorati dal vento, possono così finalmente celebrare coloro che non
ci sono più, coloro che hanno dato la vita per difendere e costruire
la democrazia e sulla terra così inginocchiarsi e sentire il calore
del sole.
Alessio Pizzech
regista di Dopo il silenzio
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