Spettatori
solo in platea. I bei palchi, a quest’ora tenuti vuoti, possono
finalmente anche loro godersi in pace il concerto. Non potranno
applaudire, ma quanto gli piacerà. Dalla mia postazione (fila 4
posto 13), involontariamente sotto controllo con la coda dell’occhio,
il palco 21 l’ho visto addirittura commuoversi. Ma prima del
concerto si era spazientito anche lui, per la sgradevole voce da
tiggì che chissà quanto ancora si sarebbe dilungata nella piatta
introduzione a Debussy,
se il competente pubblico non fosse insorto: “Basta!”
“Basta!” “Con Menotti
era un’altra cosa!” (signora
della mia stessa fila, cinque posti più a destra).
30/07/13
28/07/13
Futura Festival. Giovanni Bignami: “Cosa resta da scoprire”. Pugno chiuso per Margherita Hack
Non mi
meraviglierei se Giovanni Bignami amasse i gatti e usasse molto la
bici come Margherita Hack, perché le somiglia. Per come si presenta,
per come parla, spiega, racconta. Per come ti fa amare istintivamente
una materia che non ci hanno fatto studiare: lo spazio. E te lo fa
sentire “vicino”, facile, simpatico. Per come ti dice le verità
più brutali senza indugi e con dolcezza, e maneggia numeri
spaventosi senza spaventarti. Per come mette a nudo finti misteri e
credulonerie, squarciando la nostra ignoranza senza offenderci. Per
come, a sua volta, ti attrae con libri che per i titoli sembrano di
fiabe (Il mistero delle sette sfere) o d’avventura alla Jules
Verne (Cosa resta da scoprire).
Il bel
chiostro-spyder di Sant’Agostino è un’aula perfetta, col
campanile che si staglia nel cielo azzurro come a indicare la “Sfera
+1” dove circolano ormai 10.000 satelliti, che se fosse notte tra
le 22 e le 24 ne vedremmo passare molti (magari nell’istante in cui
vengono “zappati”); come a seguire la “Sfera +2”, dove sta la
Luna che già conosciamo bene (“è solo un pezzetto di Terra”); o
la “Sfera +3” che arriva fin dalle parti di Marte, dove sarebbe
“facile” arrivarci con un razzo a fissione nucleare entro il
2030, un annetto di viaggio e 1 trilione di dollari/euro A/R (un
affare in confronto ai 1,7 trilioni/anno di spese militari); per ora
c’abbiamo mandato il trattore Curiosity a “grattare” la
superficie. E infine – ma non è detto - la “Sfera +4”, la più
affascinante ma difficile da concepire per noi tapini: più di 20
anni luce di raggio, dove Keplero (il bravo satellite cacciatore di
pianeti della concorrenza, ma “noi” lo batteremo…) ha scovato 4
– 5 pianeti abbastanza rocciosi (!?) e teoricamente abitabili in
quanto con “indice di somiglianza” zero virgola qualcosa (con
Terra=1, Marte ha indice 0,66), dove ci sarebbe acqua liquida e si
potrebbero addirittura pescare dei simil pesci-ghiacciolo (muniti di
molecole antigelo!) tipo quelli che abitano le estreme profondità
dei nostri mari freddi… Beh, non sono andato in ordine, perché
prima c’erano la “Sfera 0”, dove campiamo, la “Sfera -1”
profonda qualche cento chilometri dove si formano gli “amici”
terremoti, e la “Sfera -2” che in pratica contiene il centro
della Terra (dove “si può“ mandare un satellite, sic). Così
fanno giusto 7 Sfere.
Ma
avendo Bignami anche quel salvifico cognome che “riassumeva” i
nostri pochi saperi, ecco altre sue illuminanti incursioni lampo,
come:
-
Tutto l’oro è affondato, sta nel fondo degli oceani.
-
Nello spazio non si può cucinare la pasta asciutta, perché non ci
sono i moti convettivi, hai voglia a scaldarla, la pentola rimane
fredda.
- Lo
spazio è tutto uguale, come pure le stelle, non c’è una diversa
tavola degli elementi, quando ti dicono che in qualche parte hanno
trovato la “selenite”, è come dire che qui c’è la
“civitanovite”.
- Los
Angeles diventerà un’isola (questa era facile, lo sapevo).
- Per
tirar fuori energia (termica) quanto vogliamo, basta fare due buchi a
5 km uniti da una galleria, l’acqua sale, bolle, ecc.
-
Gli F 35 sono una boiata pazzesca, non ottieni niente, devi solo
firmare un assegno.
-
Ustica: beh, a 8.000 metri sono successe una serie di puttanate.
Ma,
tornando a Margherita Hack, che bello quando, per evitare di
commuoversi ripete, con Cristina-appassionata-di-fantascienza, il
ballo che fece con Margherita in una trasmissione televisiva, per
spiegare empiricamente perché vediamo sempre la stessa faccia della
Luna.
Ciao, incazzatissima Hack. E via col pugno chiuso!
Pier
Giorgio Camaioni
24/07/13
Rassegna Internazionale di musica per organo. Se gli organi a canne fossero portatili
Se gli
organi a canne fossero portatili come gli altri strumenti, vivremmo
tutti più comodi. Potremmo ascoltarli nei teatri, nelle piazze,
nelle arene, nei festival di città, invece d’esser costretti ad
andare sempre in chiesa. Ma potremmo finalmente anche vedere
l’organista che suona, che invece non vediamo mai perché sta lassù
in aria, tra le svettanti canne d’argento e la balaustra barocca
che lo copre. Anche se il bravo organista fosse alto come l’Uomo
Fiammifero (più di 2 metri e meno di 3), possiamo solo immaginarlo
mentre sbraccia su tastiere e registri e sgambetta sulla pedaliera.
Quindi il dubbio: ma è lui che suona o un altro?
Mi
venivano questi pensieri l’altra sera al concerto di Gianluigi
Spaziani, che almeno l’abbiamo visto salire le anguste scale e
affacciarsi di tanto in tanto dal “balcone” per ringraziare degli
applausi. E’ anche alto 2 metri, lo conosciamo, niente dubbi. E poi
meno male che stavolta hanno girato i banchi verso la “fonte” del
suono, in altri concerti stavano rivolti verso l’altare: niente di
più pauroso che ascoltare di spalle, qualche nota potrebbe ucciderti
a tradimento…
E
quelle teste all’insù per tutta la sera? E’ istintivo, si
capisce, non è che così vedi meglio o senti meglio. E a concerto
finito, che per inerzia continui ancora a tenere la testa in su? Ci
fossero almeno dei dipinti sulle volte, chessò, mosaici, rosoni,
lampadari: niente, questa bellissima chiesa è bianca e basta. Quasi
comico, poi, guardare la faccia di chi entra con un po’ di ritardo
a concerto iniziato: che varca circospetto e con un po’ di vergogna
la porta del ‘700 che ZAC gli cigola, che vede trenta gole, tutte
bianche, nude, immobili! E insieme ZA-ZAAANN, l’attacco d’organo
terrificante, del tipo di quelli del “Salve regina”, 7°o 8°
verso mi pare, di Abraham Van Kerckhoven: se non gli dici subito che
non è un film e che non scorrerà del sangue, gli prende un colpo!
Buon
concerto, ci siamo proprio “riempiti” d’organo senza che
nessuna canna c’andasse per traverso. Quattro autori tutti dello
stesso periodo, magari si conoscevano, noi al massimo li avevamo
sentiti nominare. Gianluigi Spaziani ci ha portato per mano nel “suo”
mondo, e siccome lui era impegnato lassù, ci ha “introdotto”
all’ascolto Vincenzo Di Bonaventura. Che ha dovuto sfidare
l’acustica di questa chiesa che evidentemente non tollera
nient’altro che il suo prezioso organo. Si sono così perse alcune
parole, ma non l’alto senso. Grande Vincenzo. Nel
merito: molto “didattico” quell’olandese Van Kerckhoven, 35 + 9
versi (di circa 20 secondi l’uno) appena separati tra loro, tanto
che senza applausi fuori posto siamo sembrati ascoltatori di
professione. Più alla nostra portata l’inglese Bull, mentre
l’austriaco Fux pare quasi dei nostri, specie nella gradevolissima
Ciaccona. Sulla scia, il bis è toccato alla (nota) Toccata di
Frescobaldi. Applausi. Insomma,
ci siamo riavvicinati a Sua Maestà l’Organo. Che, senza
offendersi, a fine concerto è rimasto lassù in solitudine, mentre
noi festeggiavamo i 20 anni dell’Associazione con pizzette vino e
crostatine. In sacrestia.
Pier
Giorgio Camaioni
23/07/13
Concerto della Corale Polifonica Riviera delle Palme. Armonia e senso di comunità in “Dipingi un canto per me”
Il
concerto degli oltre quaranta cantori si è tenuto nei giorni
scorsi nell’intimità della chiesa di S. Giuseppe di via XX
settembre. In programma però c’era qualcosa di diverso, più
articolato: l’esibizione all’aperto, in via Laberinto, con un
repertorio di canti più leggero e frizzante e l’esposizione di
dipinti dei pittori Gabriele
Partemi, Emidio
Mendozzi ed altri,
dell’associazione Pro
Arte.
Via
Laberinto è forse la strada più caratteristica di San Benedetto del
Tronto, con la sua forma a imbuto e antiche abitazioni che quasi si
toccano, dove si immagina un passato diverso da quello di oggi: un
vociare, un andare e venire, un gesticolare, qualche festa, un
pullulare di vita insomma. In questa via abitavano anche i pescatori
che, nel tornare a casa, trascinavano ciascuno la propria barchetta,
dominati dalla sfinitezza, ubriachi di onde e di mare, di sale e
pescato e qui, all’interno della propria casupola, tentavano po’
di pace e di rifugio alle tempeste. Ritornando al presente, l’intento
dei cantori era diffondere le soavi melodie anche verso le orecchie
più lontane, nel desiderio non troppo remoto di incantare i
passanti, come fecero le Sirene che sedussero ed ammaliarono Ulisse e
i suoi compagni con l’armonia del canto (ma anche Pan con il
flauto e S. Francesco con la sola voce parlata), ma volevano anche
rasserenarne gli occhi con la vista dei dipinti degli artisti
dell’associazione, nella convinzione che l’arte, in ogni sua
forma, abbia una funzione “terapeutica” e piscagogica per il
cittadino o il turista oggi troppo disorientato, disancorato,
confuso. Invece la pioggia ha deciso diversamente: perciò il
concerto si è tenuto appunto in chiesa, con una variazione del
repertorio e l’esposizione dei quadri è stata completamente
annullata. Ma le note melodiose si sono diffuse ugualmente per le vie
circostanti e chi aveva orecchie per intendere…Il pubblico presente
era entusiasta, emotivamente coinvolto, perché i cantori, guidati
dal bravo maestro Fabrizio
Urbanelli, hanno
espresso con la maestria della voce e il trasporto di anima e volto i
sentimenti contenuti nei canti: nostalgia, speranza, glorificazione,
malinconia. La Corale Polifonica “Riviera
Delle Palme” ,
diretta sin dagli esordi dal medesimo maestro, si è costituita nel
2000 a San Benedetto del Tronto grazie all´iniziativa di un gruppo
di appassionati di musica animato dalla gioia dello “stare
insieme cantando”. Col passare degli anni, ha ampliato il proprio
organico che attualmente conta oltre
quaranta coristi, divisi in quattro sezioni (soprano, contralto,
tenore e basso); ha inserito al proprio interno valenti
strumentisti, e contemporaneamente ha allargato i suoi interessi
musicali, dando vita ad un repertorio che spazia dalla polifonia
classica, sacra e profana, a cappella e con accompagnamento
strumentale, non disdegnando il repertorio tradizionale, popolare,
folkloristico. La
Corale è nata anche con l’intento di praticare e diffondere il
canto come linguaggio universale di pace, e questa vocazione l’ha
vista più volte impegnata in esibizioni pubbliche a carattere
benefico ed umanitario. Tanti i concerti natalizi, pasquali , canti
“in strada” che animano gioiosamente e giocosamente diverse zone
del centro di San Benedetto del Tronto e la tradizionale “Pasquella”
dove rivivono i cosiddetti “Canti
di Questua”. L’Amministrazione
Comunale di San Benedetto del Tronto ha riconosciuto l’Associazione
Corale Polifonica “Riviera
Delle Palme” gruppo
di interesse comunale per la musica popolare ed amatoriale.
Interessante
la strada intrapresa da qualche anno con i concerti a tema che
includono altre forme espressive e altre discipline artistiche dando
vita a spettacoli che fondono canto, teatro, danza, audiovisivi,
musica e poesia. La Corale si avvale della
collaborazione
di un ensemble strumentale formato da
Anastasia Urbanelli:
Pianoforte, Glokenspiel;
Angelica Urbanelli:
Violino; Sergio
Capoferri: Corno
francese, Fisarmonica, Organetto, Percussioni;
Stefano Almonte Lalli:
Chitarra, Charango,
Percussioni
e
dallo stesso
Fabrizio
Urbanelli: Flauto
traverso e Flauto dolce.
Conclusosi
il concerto, terminata la pioggia, il fisarmonicista Sergio
Capocasa con altri due
cantori, in quella stessa via Laberinto, oggi poco popolata, hanno
brillantemente improvvisato musiche da ballo e augurali per un
abitante della via che compiva ottantasei anni e che, levando la voce
al cielo, in tono quasi trionfale, ha detto rivolgendosi alla moglie:
“Questa è la più bella donna del mondo!”, a cui è seguito
l’abbraccio e l’applauso della decina di persone rimaste che
hanno brindato e ballato. Abitano in quella bella via due signore,
che avevano preparato un rinfresco per i coristi, gesto gentile,
genuino che ridà il senso della comunità in consunzione ormai,
senso di coralità, di festa, festa per le orecchie e per il cuore.
Maria
Teresa Urbanelli
22/07/13
Popsophia. Merdre! “Questo non è un musical”. È Patafisica
Accatastata
furiosamente come in una discarica dell’Inferno o del Paradiso, la
scenografia patafisica era già allestita sul palcoscenico dal primo
pomeriggio. Ma non ci avevamo fatto caso: in attesa del “duello”
dei filosofi-Umberti e che il sole smettesse di picchiare sulle
sedie, avevamo preso la strada dei “frigoriferi” di Rocca
Costanza, inquietanti immensi e pensosi sotterranei dove occorre il
cappotto (si sa, è assai caustico pre-ambulare “dentro” una
rocca perfetta prima di un evento, anzi di due). Lì sotto infatti,
come sopra le nostre teste nel cortile quadrato della rocca, proprio
un altro mondo: eh, Popsophia sceglie i posti giusti.
20/07/13
Mikhail Baryshnikov e Willem Dafoe al Festival dei 2 Mondi: The Old Woman
Vertiginosi:
così li vedo, Baryshnikov e Dafoe, mentre il teatro viene giù dagli
applausi e loro corrono da parte a parte con agilità di adolescenti,
123 anni in due. C’è qualcosa di irresistibile in questa regia che
adatta i testi fulminanti di un artista tra i più trasgressivi del
‘900 russo: Daniil Kharms (uno dei nom de plume di Daniil Jvanovic
Juvačëv), surrealista, scrittore e poeta fondatore del movimento
avanguardista Oberiu, perseguitato dal potere, condannato ai lavori
forzati e all’esilio, internato nel ’41 in una clinica
psichiatrica detentiva e qui morto (“morto di stalinismo, di
guerra e di fame”) nel ’42, a 37 anni.
19/07/13
Marco Fulvi. La mostra al Palazzo Pretorio di San Sepolcro (Firenze). “Icone 2013”, dal 20 al 28 luglio.
La
scelta del ritratto è un esercizio amoroso, nel talento della
conoscenza.
Nel caso di Marco Fulvi è l’immergersi nella
storia, vista nel suo momento irripetibile, di chi passa con noi
sulla scena del mondo, compagno di strada, amico, conoscente o
sconosciuto la cui immagine è stata intercettata nel respiro della
sua esistenza.
Marco dipinge visi come corolle tratteggiate al
millesimo, basta guardare la foggia dei capelli, la curva del mento,
il lago degli occhi. Un’infinita attenzione. Il desiderio di essere
parte della sagoma umana che gli sta davanti, o di riconoscerla nei
tratti comuni: un sopracciglio, l’arco delle labbra, l’orecchio,
in una meditazione che si fa attimo e corpo, presente che sfuma
nell’istante successivo, nel quadro magicamente coevi.
Ricreare
la vita partendo da un’immagine è un dono che ogni volta qui
scaturisce, e tratteggiare le linee perché l’immagine sia
propriamente quella,
17/07/13
Festival dei 2 Mondi. Madness - Spettacolo sulla “Follia”: bravi da matti
Ci
capitiamo per caso nell’attraversare i Giardini, diretti in
centro e ai luoghi canonici del Festival, e non si può non notarli:
disseminati per il parco, sono giovani e tutti in bianco, bianchi gli
abiti, i camici, bianchi gli oggetti di scena; spiccano tra il verde,
così come le grandi lettere verticali che annunciano “FOLLIA”.
Che fate? chiediamo. Spettacolo sulla follia, più tardi, bisogna
prenotasi. Ci prenotiamo. Si entra a gruppi, intervalli di un quarto
d’ora. Infermieri in camice bianco le nostre guide nelle stazioni
di questa Via Crucis del disagio mentale. “Sconsigliati ad
un pubblico non adulto” avverte il pieghevole: già, che sia realtà
o finzione scenica, la follia ci turba, forse per questo la vestiamo
di bianco. La bravura dei giovani allievi d’Accademia ci attrae
verso ogni scena con la perentorietà di una calamita: anche senza i
due “infermieri” a guidarci scivoleremmo dall’una all’altra
risucchiati dalla forza attrattiva di quei monologhi.
16/07/13
La rassegna Jazz all'Americo Village. La riserva indiana del Marcello Allulli Trio
Entrando
nello chalet “Americo” a concerto appena iniziato, il trio MAT mi
ha subito ricordato quella vecchia serigrafia di Ugo Nespolo cui
tengo molto (benché la mia sia la n.26 su addirittura 2.000: le
regalava agli abbonati circa trent’anni fa la rivista Abitare):
titolo,“Nella riserva circondati dai Cow-Boys”, appunto. E’ che
per arrivarci - comunque in ritardo - io stesso avevo dovuto
faticosamente attraversare la movida del lungomare superando svariate
“linee nemiche” di visi pallidi abbronzati, rischiando se non la
pelle almeno le orecchie: orchestrine di alberghi e chalet, armate di
ferocissimi cow-boys grandi sparatori di decibel, per non parlare
degli altri cow-boys fuori dai ranghi, musicalmente assatanati, anche
loro armati di sassofono-Winchester, chitarre-Colt e voci da lupi.
Oltre
a reggimenti interi di cow-boys-spettatori che, come a comando di
generali invisibili, attaccavano a ondate i radi quanto resistenti
indiani-jazz. Ecco, nel “fortino” dell’Americo, i ragazzi del
trio MAT mi sono sembrati proprio “indiani” accerchiati,
sull’orlo di soccombere alla soverchiante pressione di cow-boys
orrendamente musicisti. Per tutta la sera la “Riserva” ha però
resistito. Con onore e bravura. Senza paura. Sì, mi sono sentito
molto “indiano”.
Pier
Giorgio Camaioni
Cuore di Palestina ai Teatri di vita: “Suicide note from Palestine”
Prima
di tutto, voglio ricordare i loro nomi: Christine Hodali, Milad
Qunebe, Ahmed Alrakh, Alaa Shehada, Saber Abu-Ashreen, Anas Arqawi,
Micaela Miranda, Nabil Al-Raee. I primi sei gli attori, gli ultimi
due i registi di Suicide Note from Palestine, la pièce teatrale
ispirata a Psicosi delle 4.48 di Sarah Kane e rappresentata il 13 e
14 luglio scorsi nell'ambito del festival Cuore di Palestina
organizzato dai “Teatri di vita” di Bologna. La città emiliana
ha offerto un palcoscenico alla prima europea di questa produzione
del “Freedom Theatre”, il “Teatro della libertà” che ha sede
nel campo profughi di Jenin, in Cisgiordania. Il titolo parla da sé:
tra teatro fisico e videoarte, l'opera racconta allegoricamente la
storia della Palestina e come è vista dalle giovani generazioni dei
territori occupati.
15/07/13
La presentazione di UT Il desiderio n.2/2013. Giovedì 18 luglio - Chalet La Bussola
L'uomo è una creazione del desiderio non del bisogno
Dalai Lama
?
Ci sono due tragedie nella vita: non riuscire a soddisfare un desiderio e soddisfarlo.
Oscar Wilde
??
Tendiamo sempre verso ciò che è proibito e desideriamo quello che ci è negato.
Ovidio
???
[.................]
Il desiderio è un pensiero libero
con su scritto UT...
con su scritto UT...
La redazione
UT/2/2013/7°anno
Il desiderio
*
giovedì
*
giovedì
18/07/’13/21.30
day / month / year / hour
presso lo chalet-ristorante
La Bussola
Lungomare
San Benedetto del Tronto
Conc. n.32
*
Saranno presenti personalmente o con i loro testi e opere:
Alessandro Cascio, Roberto R. Corsi, Rossella Frollà, Enrica Loggi, Alceo Lucidi, Mariagrazia Maiorino, Alessandra Morelli,
Michele Ortore, Umberto Piersanti, Giuseppe Piscopo,
Ivan Pozzoni, Miriam Ravasio,
Antonella Roncarolo, Silvia Rosa, Dante Marcos Spurio
e...il trio di UT
Alessandro Cascio, Roberto R. Corsi, Rossella Frollà, Enrica Loggi, Alceo Lucidi, Mariagrazia Maiorino, Alessandra Morelli,
Michele Ortore, Umberto Piersanti, Giuseppe Piscopo,
Ivan Pozzoni, Miriam Ravasio,
Antonella Roncarolo, Silvia Rosa, Dante Marcos Spurio
e...il trio di UT
*
Nel fumetto sopra: Miriam Ravasio, Desiderio New Pop, particolare.
Nella striscia: allegato e corpo rivista, Opera di Miriam Ravasio, ‘Oggetto pensante’ di Francesco Del Zompo, Fotografia di Dante Marcos Spurio, Vignetta di Giuseppe Piscopo
14/07/13
Pietraia dei Poeti. “Cani randagi, la nuova poesia delle Marche”. La poesia della natura e la poesia civile alla rassegna estiva “SOGNI e biSOGNI”
Il
museo Pietraia dei poeti si adagia su un promontorio di
arenaria quasi sospeso sulla fertile vallata prospiciente il mare. Il
museo, fondato dall’artista sambenedettese Marcello Sgattoni,
offre allo sguardo del passante, in un’ esposizione permanente, le
sue sculture lignee, un folto popolo di “anime” del dolore che
accompagnano il visitatore lungo la strada dell’ “Inferno”
verso la piazzetta della rinascita. Posta in fondo al “tunnel”,
la piazzetta è un piccolo palcoscenico per musicisti, danzatori e
poeti che ogni anno, specialmente d’estate, contribuiscono con le
loro suggestioni a esaltare la sacralità del luogo. Che il luogo sia
sacro il visitatore se ne accorge non appena imbocca la Contrada
Barattelle, iniziando un viaggio spesso solitario verso il centro di
sé, su una strada sterrata in mezzo alla campagna palpitante di
grilli. Nell’ora che precede la notte e le passioni della giornata
finalmente si placano, lo spettatore comprende poco a poco che non è
venuto qui solo per assistere ad uno spettacolo, ma si accorge presto
che, sospeso tra terra e cielo, contornato
13/07/13
“Riscoperto” un altro film di Ivo Illuminati. “Tragico convegno” del 1915, dal Nederlands Filmmuseum al Cinema Ritrovato di Bologna
E sono
tre. Dopo Selika
(1921, conservato presso la Cineteca
Nazionale) e Il
vetturale del San Gottardo
(conservato sempre presso la Cineteca
Nazionale e presentato
alla Mostra del cinema di
Venezia del 2011), grazie
al Cinema Ritrovato di
Bologna
è stato possibile proporre, in Italia,
Tragico convegno,
un film del 1915 del quale Ivo
Illuminati, nativo di
Ripatransone,
fu regista e protagonista. La presentazione del film, proveniente
direttamente dall'EYE
(come si chiama oggi il Nederlands
Filmmuseum di Amsterdam),
al festival bolognese, è la conferma di quanto pensiamo ormai da
tempo, e cioè che i film di Ivo
Illuminati, introvabili
in Italia
La mostra personale di Franco Pirzio. Le “pirziate” a Forsedesign? “Non sono una Bugatti” (?)
Capitava
a tanti di noi (di ieri), di disegnarsi nella mente un sogno e poi di
costruirselo con le proprie mani. Quasi mai usciva fuori qualcosa di
“bello”, rustici com’eravamo, ma dopo eravamo contenti,
orgogliosi, soddisfatti, scorticati. Dimostrare capacità e bravura,
più che un gioco era una necessità, perché così si stabilivano le
gerarchie di banda, e anche nelle sfide non restavi a mani vuote.
Qualsiasi base di partenza andava bene, oggetti trovati, rubati,
avanzi di cantieri, scarti di falegnami, di fabbri e di carrozzieri
della via. Costruivamo strani giocattoli contundenti, capanne a terra
e sugli alberi, armi. Improbabili barche, qualche volta. Senza
passare per i “disegni preliminari”: c’avevamo tutto in testa,
i cambiamenti e le modifiche si facevano d’istinto, o per forza. La
fase successiva, quella finale soprattutto, era sempre la distruzione
violenta di quanto fatto (da noi o dai “nemici”). Gli davamo pure
fuoco. Non eravamo raffinati, avevamo furia. Fino alla seconda media,
o al secondo avviamento, niente “stile” o teorie. Si lottava per
diventare grandi in fretta, a tutti i costi; ognuno si adoperava,
senza saperlo, per costruirsi il miglior curriculum…
12/07/13
Il solipsismo di Vincenzo Di Bonaventura. “La storia della tigre” di Dario Fo. Ieri. A San Benedetto del Tronto. Chalet La Bussola. Di fronte al mare
Quando
siamo arrivati, lui, Vincenzo
Di Bonaventura,
era già nella sala della Bussola,
curvo sui cavi, i microfoni e i bonghi da collocare e tarare per lo
spettacolo.
Via
via, sono arrivati gli altri spettatori, a gruppetti, attratti dalla
qualità degli spettacoli proposti da Note
di Colore.
Si sono salutati e, con un sottile senso di spaesamento, si sono
seduti compostamente per l’imminente cena di vongole e pesce fritto
(annaffiata con un delicato vino in brocca). Lui, Vincenzo,
allestito il suo “spazio essenziale”, si è appartato per
rientrare poco dopo in sala, nel suo abito nero di scena, ed è
venuto a sedersi al nostro tavolo,
11/07/13
Popsophia Festival del Contemporaneo: “Eroi e Antieroi”. Umberto (Curi) & Umberto (Galimberti)
Sul
palco del Festival si trovano inaspettatamente in contemporanea, i
due Umberti: slitta la presenza di Matteo Renzi e per effetto domino
si tira dietro (così che per un attimo mi diventa addirittura
simpatico il Renzi) il gradevolissimo imprevisto dei due filosofi in
coppia, a parlarci di Eroi e Antieroi, nel giorno penultimo del
brillante Festival in cui “La filosofia indaga il pop e il pop
racconta la filosofia”. Di eroine antiche ci parla Curi, e di
misoginia anch’essa antica: che Tiresia l’indovino fosse mutato
in donna per… punizione, la dice lunga sulla forza del pregiudizio
anche nella luminosa democratica Atene.
10/07/13
“Todo fluye como un rio”, l’ultima raccolta di poesie di Carlos Sanchez
Conoscevo Carlos Sanchez da un paio di
apparizioni (è lecito definirle così) a San Benedetto del Tronto;
apparizioni, perché la sua veste poetica lo accompagna in un alone
particolare, come un sogno incarnato e diventato parte della
fisionomia. Forse il sogno che egli vive materiato di poesia, sua
compagna e “condanna”, che fa di lui che si definisce “gaucho”
un vero e proprio hidalgo, strappato a Cervantes per virtù di un
lampo benefico che gli attraversa gli occhi e la figura mentre legge
in Castigliano, la sua lingua d’origine, i suoi versi pausandoli di
trasparente dolcezza. Sanchez è innamorato della vita, dei suoi
istanti, oltre i quali non vale la pena inoltrarsi; con Eraclito
sente l’acqua del fiume che sfiora una volta sola, le stagioni che
irrompono sul tessuto della storia per portarvi altre storie di vita,
dove la “commedia” di tutti i giorni si mescola al tragico, e
tutto vive nell’estensione del verso come in una poesia sulla
poesia.
“Spero di restituirmi serenamente al caos / come
fosse un’altra poesia”.
“Oggi m’ha preso di cantare/ e lo
faccio zitto zitto/ in questa solitudine di poesia/ che è il mio
canto.
09/07/13
Luciano Canfora e Gustavo Zagrebelsky a “Stasera parlo io all'Archiginnasio”. I pericoli “democrazia” e “oligarchie”
Stasera
parlo io all'Archiginnasio è il titolo della rassegna estiva
bolognese organizzata dalla Libreria Coop Zanichelli in
collaborazione con la Biblioteca dell'Archiginnasio. Fino al
30 luglio, nell'elegante cortile del palazzo cinquecentesco
progettato dall'architetto “Terribilia” (vero nome Antonio
Morandi), si susseguiranno incontri-dialogo tra noti studiosi
e scrittori con implicita presentazione delle loro recenti
pubblicazioni. Il tutto all'insegna della volontà di far riflettere
su temi attuali (politica in primis) e/o universali, unendo un
taglio storico-filosofico a una dinamica affabilità comunicativa.
Alf Wilhelm Lundberg. Una chitarra norvegese nella Chiesa di Sant'Agostino
Il
pezzo migliore di Alf Wilhelm Lundberg, quel Mannheim Love
(se ricordo bene), non potrà certo mai competere in fama con la
vecchia nostra Chitarra Romana, una delle più classiche
canzoni/stornello italiane. Del resto Alf è di Trondheim
e quello che suona è un chitarrone molto particolare, con tasti a
trapezio e 8 corde (due La in più), tenuto in piedi e
abbracciato come un violoncello, con tanto di puntale e disco
metallico antiscivolo. E Mannheim Love non la puoi
canticchiare, nemmeno “in sordina” e “sotto un manto di
stelle”.
08/07/13
Il Festival del Cinema ritrovato. Ci sono reperti e reperti...
Quello
che si vede nell'immagine, è un proiettore cinematografico muto,
modello Splendor della Prevost. È datato primi anni '20,
l'avanzamento della pellicola è a mano e i fotogrammi al secondo
sono 16. Al Cinema ritrovato si è visto anche questo, un proiettore
da commozione cinefila pura, con tanto di “camino di scarico” per
l'ossido di carbonio prodotto dai “carboncini” per
l'illuminazione della pellicola: nessun fascio di luce, al cinema, è stato mai come quello prodotto dai vecchi, indimenticabili, elettrodi o carboncini (cfr. Nuovo Cinema Paradiso su tutti).
07/07/13
Il Cinema ritrovato. Il suono della suspence: Alfred Hitchcock e Bernard Herrmann “letti” da Timothy Brock
L'uomo
che sapeva troppo, Psycho, Intrigo internazionale e
Vertigo: quattro colonne sonore scritte da Bern Herrmann
per Hitch, quattro pagine indimenticabili nella storia
della musica da film. Il mini concerto dell'Orchestra del Teatro
Comunale di Bologna, prima dei fuochi artificiali tatiani sullo
schermo, ha rappresentato la degna conclusione di un Festival che dà
alle colonne sonore (restaurate o eseguite dal vivo) un peso quasi
pari a quello delle immagini. E se a dirigere il concerto viene
chiamato Timothy Brock, che fra tutti è il maggior esecutore
di colonne sonore oggi al mondo, il conto è presto fatto e il
risultato finale si può dare per scontato: un brivido continuo lungo
la schiena (caldo permettendo).
06/07/13
Il Festival del Cinema ritrovato. Lo ricordate Jacques Tati?
E chi
se lo ricorda, Jacques Tati? Persi fra quattro comici
d'accatto dalla volgarità direttamente proporzionale alla loro
scempiaggine, spesso dimentichiamo che perfino un film del 1936 e un
altro del 1949 possono farci ridere a crepapelle. Non occorre
attraversare l'Oceano a bordo del Titanic per imbattersi in
alternative validissime ai Charlie Chaplin o ai Buster
Keaton. Basta fare un salto a Bologna durante il Cinema
ritrovato, e si rientra in contatto con un certo Jacques Tati,
francese fin dentro il midollo ma con una visione della comicità
universale, e ci si rende conto che si può anche ridere di una
bicicletta che corre da sola o di un palo che non ne vuole sapere di
star su.
05/07/13
Festival del Cinema ritrovato. Hiroshima mon amour 54 anni dopo: se Marguerite Duras...
Guai a
parlar male dei “miti”: si corre il rischio di prendersi una
pallottola in pieno petto. Il fatto è che non si stava parlando male
di Hiroshima mon amour (operazione impossibile e un po' da
mentecatti). La riflessione riguardava piuttosto il taglio che
Marguerite Duras, nel ruolo di sceneggiatrice, dà al monologo
tutto al femminile, lungo 92 minuti, che caratterizza il film di
Alain Resnais e l'interpretazione ancora oggi stupefacente di
Emmanuelle Riva. Come tutti coloro che amano il cinema ormai
sanno, Hiroshima mon amour è una di quelle classiche
pellicole che si presta alle interpretazioni più fantasiose.
Il Festival del Cinema ritrovato. Il giorno di Agnès Varda e di La Pointe-Courte
Eccola
di fronte a noi. Ancora più piccola di quanto immaginavamo. Gian
Luca Farinelli dice semplicemente “Agnès Varda” e il
pubblico si spella le mani. La Pointe-Courte è il primo film
della regista franco-belga, datato 1954 (uscito nel 1956). Dicono che
rappresenti un accenno (magari inconsapevole) alla Nouvelle Vague
che esploderà di lì a breve. Madame Varda dice, spiazzando
tutti: “Non so cosa rappresenti questo film per la storia del
cinema francese. Quello che so è che l'ho girato esattamente come
volevo che fosse”. André Bazin scriverà: “La storia che
ci racconta Agnès Varda è la più semplice del mondo, è una
storia d'amore.
Bologna. Il Cinema ritrovato. A Piazza Maggiore “I proscritti” di Sjöström: un capolavoro datato 1918
Il
fatto è che non ci scappa il termine “capolavoro” per un film da
una decina d'anni, e l'ultima volta che lo abbiamo fatto ce la siamo
dimenticata: non era evidentemente un capolavoro. Diverso,
totalmente, il discorso del secondo film di Viktor
Sjöström
(il primo fu Terje Vigen
del 1917), un grandissimo
regista svedese uscito come nuovo da una operazione di restauro degna
della massima lode. Berg-Ejvind
och hans hustru, tradotto
in italiano in I
proscritti, figura
ancora, con buona pace di Ingmar
Bergman, al primo posto
dei film più costosi della storia del cinema svedese, e lo si
capisce vedendolo. Girato in condizioni estreme nel nord della
Svezia,
I proscritti
narra “la storia di Ejvind
(lo stesso Sjöström),
un uomo in fuga dal passato e costretto a rifugiarsi sulle montagne
con Halla,
la donna amata, interpretata da Edith
Erastoff che era, anche
nella vita, la moglie del regista-protagonista”.
Spoleto. Festival dei 2 Mondi. E’ tornata una stella:“The piano upstairs”. Alessandra Ferri – Boyd Gaines
“Mia
moglie mi ha lasciato, e non so il perché…”. E’ l’inizio del
viaggio del Marito dentro se stesso, a cercare le ragioni di un
fallimento, le radici di un abbandono; un filo si dipana attraverso
la parola che cerca, confessa, ricorda; all’altro capo del filo c’è
lei, la Moglie, che danza e nella danza risponde, accusa. Lo scavo
attraverso la parola è spietato, non meno del corpo di lei nel
disegnare il dolore , l’abbandono, lo smarrimento. I due linguaggi
si accostano si sovrappongono si fondono: metafora di due mondi
interiori incapaci di oltrepassare la prigione che li separa.
Sceglie
Spoleto, Alessandra Ferri, per tornare a splendere, e va in scena la
perfezione.
04/07/13
Festival dei 2 Mondi. L'orchestra del Teatro Carlo Felice: così bravi da ridursi da soli gli stipendi
Quando,
all’inizio, il brillante direttore presentatore Alvise Casellati
confida al pubblico che questi suoi maestri orchestrali, per
continuare ad esistere si sono perfino ridotti lo stipendio, m’è
venuta in mente l’incredibile scena dell’orchestra della TV greca
in lacrime in quello che per fortuna poi non è più stato il suo
ultimo concerto. Poi la tristezza per un po’ svanisce, grazie alle
intense e coinvolgenti interpretazioni della Manfred Ouverture di
Schumann, del Concerto per violino e orchestra in Re maggiore Op.35
di Tschaikovsky, e poi Bach (solo violino), e poi ancora Schumann.
Poi quel pensiero torna: se si sfaldano le orchestre come questa,
cosa resterà?
02/07/13
Margherita Hack e i gatti di Spoleto. Gli incontri di Pier Giorgio Camaioni al Festival dei 2 Mondi
Non
era il solito indolente sonno diurno. Il bel siamese adulto del
Teatro Romano in Via delle Terme proprio ci ignorava, acciambellato
in posa “invernale” sul suo millenario rudere sicuramente
arroventato dal sole pomeridiano. Cercavano di richiamarne
l’attenzione, oltre l’inferriata, anche altri spettatori in
anticipato avvicinamento al concerto serale dell’Orchestra del
“Carlo Felice” di Genova. Lui niente. Finto morto. Solo un occhio
aperto - pensoso o triste - puntato su un preciso punto focale
visibile solo lui. Non certo una stella, a quell’ora. O forse sì?
Prima, in tarda mattinata, accasciato senza eleganza a bordo strada,
sulla curva di Piazza Mentana, un giovane gatto delle foreste
norvegesi, sofferente e malandato, sembrava volersi far uccidere
dalle macchine di passaggio.
01/07/13
Festival dei 2 Mondi. Sogni Vicari con Pina Sambugaro e Giorgio Flamini
Nato come omaggio ad Antonio Tabucchi,
il libro di Pina Sambugaro riprende lo schema ideativo di Sogni di
sogni e, attraverso la finzione del sogno sognato, illustra i nodi
essenziali del pensiero, dell’opera, di alcuni momenti essenziali
del percorso compositivo di alcuni grandi Maestri della Letteratura
occidentale, secondo una visione che, a sua volta, non può che
risultare filtrata dalla "letteratura seconda" che oggi si
interpone tra noi e l’Autore.
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