Eccola
di fronte a noi. Ancora più piccola di quanto immaginavamo. Gian
Luca Farinelli dice semplicemente “Agnès Varda” e il
pubblico si spella le mani. La Pointe-Courte è il primo film
della regista franco-belga, datato 1954 (uscito nel 1956). Dicono che
rappresenti un accenno (magari inconsapevole) alla Nouvelle Vague
che esploderà di lì a breve. Madame Varda dice, spiazzando
tutti: “Non so cosa rappresenti questo film per la storia del
cinema francese. Quello che so è che l'ho girato esattamente come
volevo che fosse”. André Bazin scriverà: “La storia che
ci racconta Agnès Varda è la più semplice del mondo, è una
storia d'amore.
Un uomo e una donna sono sul punto di separarsi dopo quattro anni di convivenza. L'uomo trascorre le vacanze nel suo villaggio natio, un borgo di pescatori che si chiama Pointe-Courte. La donna lo raggiunge per annunciargli la separazione definitiva, ma...”. Sulla scia della filosofia neorealista, Agnès Varda sceglie gli abitanti del luogo come attori, ad esclusione dei due protagonisti. Lei è Silvia Monfort, attrice non troppo affermata, ma già vista al cinema. Lui si chiama Philippe Noiret ed è al suo esordio davanti alla cinepresa. Fino a quel momento, tanto teatro. La storia d'amore dei due finisce inevitabilmente per intrecciarsi con la vita di tutti i giorni di un borgo di pescatori costretti a sbarcare il lunario pescando a strascico molluschi inquinati. E nelle ore di svolgimento della storia accade di tutto, compresa la visita di due solerti funzionari dell'ufficio d'igiene, la morte di un bambino, i primi passi dell'innamoramento di due ragazzi destinati a un probabile matrimonio. Il bianco e nero della pellicola è folgorante. Il restauro compiuto dalla Cineteca di Bologna sotto la supervisione della stessa Agnès Varda, è perfetto, senza una sfumatura fuori contesto, anche se a volte ci è capitato di notare come le tonalità dei grigi tendano a scomparire. Poi la recitazione: alla Dreyer (Carl Theodor) o alla Antonioni (Michelangelo), volti sovrapposti e sguardi apparentemente persi nel vuoto. Dialoghi lenti, sempre pacati, nulla a che vedere con la nuova commedia francese, piuttosto una rivisitazione di Clément (René) o dell'altro René (Clair). Qualche incertezza di movimento di camera, ma che si può pretendere? È un'opera prima e non ci sono carrellate hitchcockiane. In compenso c'è, in fieri, tutta Agnès Varda, quella di Loin du Vietnam e di Sans toit ni loi. C'è la Varda dei rapporti umani complessi con sullo sfondo le vicissitudini della quotidianità pesante degli anni '50, divisa fra povertà e voglia di affrancamento. Eccola davanti a noi, la piccola, coraggiosa, esemplare Agnès Varda: un pezzo di storia di cinema francese, un pezzo di storia del cinema per chi ama capire.
Un uomo e una donna sono sul punto di separarsi dopo quattro anni di convivenza. L'uomo trascorre le vacanze nel suo villaggio natio, un borgo di pescatori che si chiama Pointe-Courte. La donna lo raggiunge per annunciargli la separazione definitiva, ma...”. Sulla scia della filosofia neorealista, Agnès Varda sceglie gli abitanti del luogo come attori, ad esclusione dei due protagonisti. Lei è Silvia Monfort, attrice non troppo affermata, ma già vista al cinema. Lui si chiama Philippe Noiret ed è al suo esordio davanti alla cinepresa. Fino a quel momento, tanto teatro. La storia d'amore dei due finisce inevitabilmente per intrecciarsi con la vita di tutti i giorni di un borgo di pescatori costretti a sbarcare il lunario pescando a strascico molluschi inquinati. E nelle ore di svolgimento della storia accade di tutto, compresa la visita di due solerti funzionari dell'ufficio d'igiene, la morte di un bambino, i primi passi dell'innamoramento di due ragazzi destinati a un probabile matrimonio. Il bianco e nero della pellicola è folgorante. Il restauro compiuto dalla Cineteca di Bologna sotto la supervisione della stessa Agnès Varda, è perfetto, senza una sfumatura fuori contesto, anche se a volte ci è capitato di notare come le tonalità dei grigi tendano a scomparire. Poi la recitazione: alla Dreyer (Carl Theodor) o alla Antonioni (Michelangelo), volti sovrapposti e sguardi apparentemente persi nel vuoto. Dialoghi lenti, sempre pacati, nulla a che vedere con la nuova commedia francese, piuttosto una rivisitazione di Clément (René) o dell'altro René (Clair). Qualche incertezza di movimento di camera, ma che si può pretendere? È un'opera prima e non ci sono carrellate hitchcockiane. In compenso c'è, in fieri, tutta Agnès Varda, quella di Loin du Vietnam e di Sans toit ni loi. C'è la Varda dei rapporti umani complessi con sullo sfondo le vicissitudini della quotidianità pesante degli anni '50, divisa fra povertà e voglia di affrancamento. Eccola davanti a noi, la piccola, coraggiosa, esemplare Agnès Varda: un pezzo di storia di cinema francese, un pezzo di storia del cinema per chi ama capire.
Massimo
Consorti
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