Capitava
a tanti di noi (di ieri), di disegnarsi nella mente un sogno e poi di
costruirselo con le proprie mani. Quasi mai usciva fuori qualcosa di
“bello”, rustici com’eravamo, ma dopo eravamo contenti,
orgogliosi, soddisfatti, scorticati. Dimostrare capacità e bravura,
più che un gioco era una necessità, perché così si stabilivano le
gerarchie di banda, e anche nelle sfide non restavi a mani vuote.
Qualsiasi base di partenza andava bene, oggetti trovati, rubati,
avanzi di cantieri, scarti di falegnami, di fabbri e di carrozzieri
della via. Costruivamo strani giocattoli contundenti, capanne a terra
e sugli alberi, armi. Improbabili barche, qualche volta. Senza
passare per i “disegni preliminari”: c’avevamo tutto in testa,
i cambiamenti e le modifiche si facevano d’istinto, o per forza. La
fase successiva, quella finale soprattutto, era sempre la distruzione
violenta di quanto fatto (da noi o dai “nemici”). Gli davamo pure
fuoco. Non eravamo raffinati, avevamo furia. Fino alla seconda media,
o al secondo avviamento, niente “stile” o teorie. Si lottava per
diventare grandi in fretta, a tutti i costi; ognuno si adoperava,
senza saperlo, per costruirsi il miglior curriculum…
Ma a
nessuno di noi venne in mente, neanche più tardi negli anni, di
costruirsi un modellino (grande) di Bugatti. Neppure una Balilla, una
600… Chi sapeva destreggiarsi con balse e compensati, uno su cento,
si dava al modellismo. Però ci volevano soldi, io anche ai tempi
dell’università passavo ore in un meraviglioso negozio di
modellismo di Piazza Salerno a Roma, ma la cosa finiva lì. Invece,
una Bugatti azzurra degli anni ’20, telaio in compensato da 8 mm.,
carrozzeria in compensato di betulla da 2 mm., ruote tornite a mano
in compensato marino, reticella copri scarichi in metallo, e altre
minuzie, Pirzio la costruisce nel 1986. La conserva gelosamente per
decenni in chissà quale “garage”, poi non contento la disegna
con l’acquerello. Prima 3D poi 2D, capito? Adesso le espone
insieme, anche se lui non è sicuro che siano Bugatti…
La
rossa biciclettina Cirilli di Macerata degli anni ’50 invece Franco
l’ha restaurata alla sua maniera, 3D ovvio. Non bastandogli, ne ha
fatto pure un acquerello (2D). Esposte insieme, una davanti
all’altra. Wow!
Ancora
in 3D un piccolissimo pattìno d’antan biancoceleste tutto di
legno, prima che quelli diventassero plasticosi pedalò e si
estinguessero. Per gustarlo meglio lo osservo con lo zoom della
fotocamera, uno squarcio nei ricordi, gli odori, i calli alle mani, i
maldestri colpi di remo, i tuffi, i molli tràini a rimorchio…
L’acquerello corrispondente (2D) sembra ancora fresco e bagnato,
magari sa pure di sale. “Dei remi facemmo ali al folle volo”,
vabbè.
Non
racconto il resto della deliziosa mostra, anche se ne avrei voglia.
Non faccio neanche gli elogi del progetto espositivo, in Forsedesign?
il gusto sopraffino è la normalità. Ah, c’è anche l’anteprima
mondiale dell’acquerello elettrico, quell’enorme bastimento
(stavolta solo in 2D) con i finestrini accesi, vien voglia di oziose
crociere anche a chi le odia.
A
giusto coronamento delle “Pirziate”, tre belle Bianchi con freni
a bacchetta della collezione Pirzio, “tutte prodotte nel ‘900,
conservate e da lui restaurate” con poesia, appese in traiettoria
curva come in un immaginario decollo. Tre bici tre. Ma a me sembrano
tre fotogrammi di un antico film di una bicicletta sola… un Barone
Rosso che decolla a pedali per un’avventura… tre bici una dietro
l’altra che fuggono senza pedalare e Pirzio che (senza troppa
convinzione) gli ordina di ritornare subito nel quadro…
Pier
Giorgio Camaioni
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