Entrando
nello chalet “Americo” a concerto appena iniziato, il trio MAT mi
ha subito ricordato quella vecchia serigrafia di Ugo Nespolo cui
tengo molto (benché la mia sia la n.26 su addirittura 2.000: le
regalava agli abbonati circa trent’anni fa la rivista Abitare):
titolo,“Nella riserva circondati dai Cow-Boys”, appunto. E’ che
per arrivarci - comunque in ritardo - io stesso avevo dovuto
faticosamente attraversare la movida del lungomare superando svariate
“linee nemiche” di visi pallidi abbronzati, rischiando se non la
pelle almeno le orecchie: orchestrine di alberghi e chalet, armate di
ferocissimi cow-boys grandi sparatori di decibel, per non parlare
degli altri cow-boys fuori dai ranghi, musicalmente assatanati, anche
loro armati di sassofono-Winchester, chitarre-Colt e voci da lupi.
Oltre
a reggimenti interi di cow-boys-spettatori che, come a comando di
generali invisibili, attaccavano a ondate i radi quanto resistenti
indiani-jazz. Ecco, nel “fortino” dell’Americo, i ragazzi del
trio MAT mi sono sembrati proprio “indiani” accerchiati,
sull’orlo di soccombere alla soverchiante pressione di cow-boys
orrendamente musicisti. Per tutta la sera la “Riserva” ha però
resistito. Con onore e bravura. Senza paura. Sì, mi sono sentito
molto “indiano”.
Pier
Giorgio Camaioni
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