Vertiginosi:
così li vedo, Baryshnikov e Dafoe, mentre il teatro viene giù dagli
applausi e loro corrono da parte a parte con agilità di adolescenti,
123 anni in due. C’è qualcosa di irresistibile in questa regia che
adatta i testi fulminanti di un artista tra i più trasgressivi del
‘900 russo: Daniil Kharms (uno dei nom de plume di Daniil Jvanovic
Juvačëv), surrealista, scrittore e poeta fondatore del movimento
avanguardista Oberiu, perseguitato dal potere, condannato ai lavori
forzati e all’esilio, internato nel ’41 in una clinica
psichiatrica detentiva e qui morto (“morto di stalinismo, di
guerra e di fame”) nel ’42, a 37 anni.
Sul
palco del Menotti va in scena un travolgente spettacolo “a quadri”,
intreccio di trame incongrue come tutte quelle di Kharms, testi
“iperkafkiani” al cui confronto “le versioni occidentali
dell’assurdo appaiono timide” (R.Guarini); allo sberleffo e allo
sfrenato immaginario di Kharms danno voce e movenze, con trucco
feroce e clownesco, “accordati” a sapienti scelte musicali, gli
incontenibili Baryshnikov e Dafoe. Filo conduttore i tentativi
dell’io narrante di comporre qualcosa (“Sento in me una forza
terribile, ci ho pensato tutto ieri, è la storia di uno che sa fare
miracoli… Sakerdon Mikhailovich scoppierà d’invidia”…) ma il
proposito deve contendere spazi a situazioni in bilico tra sogno e
follia. (Nel cortile c’è una vecchia, regge in mano un orologio da
parete….”Che ore sono?” “Guardi lei stesso” ribatte la
vecchia. “Non ci sono le lancette” dico io. La vecchia guarda
l’orologio e mi dice “Sono le tre meno un quarto”.) I bambini
strepitano in strada. (“Si sentono le grida dei monelli giù in
strada. Resto sdraiato e immagino modi per punirli. Il mio preferito
sarebbe quello di infettarli tutti con il tetano, in modo che
improvvisamente smettano di muoversi”.
“Cos’è
peggio, Sakerton, i bambini o i morti?” - “Non sopporto la gente
morta e i bambini.” - “Ma cosa pensi sia peggio: i morti o i
bambini?” - ho chiesto. - “I bambini sono forse peggio, li
incontriamo più spesso”)
“Una
vecchia è morta nella mia camera”: imbarazzante presenza, la sua
dentiera irrompe in scena, enorme e fragorosa…(“Sì, bisogna
stare all’erta, coi morti”- “Sciocchezze, i morti non possono
muoversi” - “Un morto è strisciato via dalla camera mortuaria; è
strisciato fino alla disinfezione e ha divorato la biancheria…ha
raggiunto i reparto maternità spaventando le partorienti…”). La
“potenza della cazzata di Kharms” dilaga con la forza sovversiva
della risata, si trasferisce nella forza comunicativa dei due
interpreti, nell’iterazione infinita del medesimo racconto: Una
vecchia, per la troppa curiosità, s’è sporta dalla finestra, è
piombata di sotto ed è andata in mille pezzi. Dalla finestra s’è
sporta un’altra vecchia, e ha cominciato a guardare in giù quella
che si era sfracellata ma, per la troppa curiosità, è precipitata
anche lei dalla finestra e s’è frantumata in squisiti pezzetti.
Poi dalla finestra è precipitata una terza vecchia, poi una quarta,
poi una quinta. Quando è precipitata la sesta vecchia ero stufo di
osservare e sono andato al mercato Mal’cevskij, dove, dicevano, a
un vecchio cieco avevano regalato uno scialle fatto a mano…
I
“quadri” si animano in una scenografia allucinata almeno quanto i
dialoghi: finestre sghembe, che scendono e risalgono; enormi sedie,
stilizzate e sghembe anch’esse; un letto impossibile piegato ad
angolo; alberi con silhouette di chiome aguzze: l’essenzialità
degli elementi evoca e definisce lo spazio più e meglio di qualsiasi
ridondante suppellettile. Sapiente regia che fa piovere dall’alto
la luce e con essa il colore che, modificandosi, modifica gli oggetti
e il senso stesso della scena. Nessun dettaglio, benché minimo, è
casuale: dal colpo sonoro come di martello che scandisce ogni cesura
tra le parti, alla gestualità studiatamente rigida degli addetti ai
cambi di scena, quasi attori anch’essi, allo sfrontato ricciolone
orizzontale nell’improbabile calotta-capigliatura dei due
interpreti, piegato l’uno a destra l’altro a sinistra.
Un’impresa, ritrovare nel ghigno di gesso di Dafoe la tormentata
faccia del sergente Elias in “Platoon”; irriconoscibili dietro la
maschera i bei lineamenti russi di Baryshnikov, ma trapela la grazia
del danzatore in movenze che non potrebbero appartenere ad altri…
Prima
che il boato del pubblico segni il trionfo dello spettacolo e dei
suoi impareggiabili interpreti, scendono sulla sala le note di Randy
Newman, una struggente versione che non conosco di I’ll Be Home; il
buio e le note riconducono nell’ombra i fantasmi e le allucinazioni
di Kharms, poderoso interprete delle contraddizioni di un tempo
ferito e claustrofobico, nel quale “unica via di fuga resta la
parola e, soprattutto, la lettera, il segno” (L.Piccolo, in
eSamizdat 2007, V).
“Bisogna
scrivere versi tali che a gettare una poesia contro la finestra il
vetro si deve rompere” (Daniil Kharms)
Sara
Di Giuseppe
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