Accatastata
furiosamente come in una discarica dell’Inferno o del Paradiso, la
scenografia patafisica era già allestita sul palcoscenico dal primo
pomeriggio. Ma non ci avevamo fatto caso: in attesa del “duello”
dei filosofi-Umberti e che il sole smettesse di picchiare sulle
sedie, avevamo preso la strada dei “frigoriferi” di Rocca
Costanza, inquietanti immensi e pensosi sotterranei dove occorre il
cappotto (si sa, è assai caustico pre-ambulare “dentro” una
rocca perfetta prima di un evento, anzi di due). Lì sotto infatti,
come sopra le nostre teste nel cortile quadrato della rocca, proprio
un altro mondo: eh, Popsophia sceglie i posti giusti.
Sicché tornati sopra (anche di 20°), l’indistinta ferraglia sta ancora lì, che disorganizzazione pensiamo. Devono pensarlo - si capisce dalle facce perplesse - anche i filosofi-Umberti, che per la doppia lectio magistralis vengono fatti accoccolare nei “pop-seggioloni” di legno appena davanti a quel presunto magazzino di robivecchi. Ma, come loro non se ne cureranno, neanche noi. Pare che, assieme al sole, fosse scesa una ubuesca naturalezza tra gli eroi e antieroi…
Sicché tornati sopra (anche di 20°), l’indistinta ferraglia sta ancora lì, che disorganizzazione pensiamo. Devono pensarlo - si capisce dalle facce perplesse - anche i filosofi-Umberti, che per la doppia lectio magistralis vengono fatti accoccolare nei “pop-seggioloni” di legno appena davanti a quel presunto magazzino di robivecchi. Ma, come loro non se ne cureranno, neanche noi. Pare che, assieme al sole, fosse scesa una ubuesca naturalezza tra gli eroi e antieroi…
Dopo
gli Umberti, e dopo cena, con il buio e le luci rosse, è tutto
diverso. Anche se, ci pare, quel palco ancora un senso non ce l’ha.
Poi ti avvisano che “questo non è un musical” (!?), ma allora
‘sta Compagnia della Rancia come la racconterà la storia di Padre
UBU usurpatore di Re Venceslao della leggendaria Polonia, marito
della debordante Madre UBU Regina per farsa, lui (come tutti) avido
di potere e di denaro, ingordo, cinico, ingannatore, assassino,
pauroso, piccolo borghese, vile, mostro ripugnante… ecc. ecc.?
Semplice: con “lucida gioia patafisica”, come perfino Alfred
Jarry avrebbe approvato. Due personaggi di latta mossi da due
formidabili attori di carne (in tuta bianca compresi gli occhi), che
si destreggiano nell’accozzaglia di oggetti esauriti con furore e
grazia involontaria, con chiasso e disperazione, autocostruendosi
come in una fabbrica, demolendosi, annientandosi, uccidendosi senza
sangue visibile.
Allora
ogni oggetto non solo ha un senso, ma la sua posizione ha un senso,
quella iniziale del pomeriggio e quelle via via assunte dopo gli
sbattimenti, gli sfracellamenti, gli smontamenti che costituiscono la
loro accidentata nuova “seconda vita”. La rete sfondata del letto
separata dalla testiera in ferro battuto, le innumerevoli macchine da
caffè Moka, il rullo da pittore come attaccapanni, il cestello di
lavatrice, il WC scollegato e senza coperchio, i cavi elettrici
ammatassati, i palletts vuoti, i quadri elettrici volanti, i coni di
altoparlanti di tutti i diametri che diventano tette ed occhi
inquietanti, le molle come orecchie, le parti di bicicletta (forse la
Clèment de luxe dai cerchioni in legno da 525 franchi che Jarry
comprò senza mai pagarla), la tenda sbrindellata, i bidoni azzurri
di “indifferenziata”, gli sci gialli che mai videro neve, il
“senso unico” verso l’alto, i secchi di ferro di diverse misure
come teste rotanti superespressive…
Quasi
tutto viene fatto muovere come una macchina per esplorare il tempo
(morto), tra fragori di latta uccisa al posto della musica, e parole
senza controllo, come dislessiche, ma chiarissime nell’esprimere la
più esilarante grottesca e feroce satira. Certo, non uno spettacolo
che si potesse prevedere. Ma alla fine dovremmo saperne di più di
Patafisica, “la scienza che studia le leggi che regolano le
eccezioni”. E la stupefacente impresa di raccontare in maniera
patafisica la storia di UBU Re, ci ha convinto ancor più di quanto
gli uomini siano disposti a ingannare e farsi sottomettere. Quasi
senza eccezioni, Merdre!
Pier
Giorgio Camaioni
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