Spettatori
solo in platea. I bei palchi, a quest’ora tenuti vuoti, possono
finalmente anche loro godersi in pace il concerto. Non potranno
applaudire, ma quanto gli piacerà. Dalla mia postazione (fila 4
posto 13), involontariamente sotto controllo con la coda dell’occhio,
il palco 21 l’ho visto addirittura commuoversi. Ma prima del
concerto si era spazientito anche lui, per la sgradevole voce da
tiggì che chissà quanto ancora si sarebbe dilungata nella piatta
introduzione a Debussy,
se il competente pubblico non fosse insorto: “Basta!”
“Basta!” “Con Menotti
era un’altra cosa!” (signora
della mia stessa fila, cinque posti più a destra).
Stupendo: l’annunciatrice si spegne, come da telecomando. Ci si guarda in faccia. Vittoriosi. Oh, yes! T’accorgi già dal pubblico che sarà un concerto memorabile. Rari smartphone, leggera prevalenza femminile, età media appena sostenuta, ma con netti salti d’età: dove mai li trovi dei ragazzini ad ascoltare Debussy.
Stupendo: l’annunciatrice si spegne, come da telecomando. Ci si guarda in faccia. Vittoriosi. Oh, yes! T’accorgi già dal pubblico che sarà un concerto memorabile. Rari smartphone, leggera prevalenza femminile, età media appena sostenuta, ma con netti salti d’età: dove mai li trovi dei ragazzini ad ascoltare Debussy.
Jin
Ju,
cinese, spicca elegantissima, in rosso. Scarpe pure rosse. Righine
rosse sullo sgabello dello Steinway,
fettucce rosse tra le chiavi delle corde che si riflettono sul
coperchio. Toh, rosso pure il mio moleskine...
Niente spartiti. I 12 Studi
di
Debussy,
scritti in memoria di Chopin,
cominciano proprio dalle “elementari”: prima la scala Do Re Mi Fa
Sol e indietro Fa Mi Re Do, poi su di quinta Sol La Si Do Re e
indietro Do Si La Sol, ma le cose facili finiscono qui perché già
dagli arpeggi e dagli intervalli cromatici si arriva a vere
esplosioni pirotecniche. Jin
Ju si
posiziona subito su un livello di eccellenza, per tecnica,
espressività, potenza, originalità, ma di Studio
in
Studio
è
un crescendo continuo. Immagino uno Studio
13,
poi un 14, un 15… Debussy
non avrebbe spaventato Jin
Ju.
Ma
poi la leggerezza: può averla così solo chi ha passato ore a
studiare e ad esercitarsi con una tastiera disegnata su una tovaglia
(Jin
bambina non poteva permettersi un pianoforte a casa).
I
tasti sembrano abbassarsi da soli, mossi dal pensiero, senza la pur
lieve pressione dei polpastrelli. Penso ai passi da gatto
dall’agilità nascosta, imprevedibili e misteriosi, pronti allo
scatto ma placidi. E i famosi “incroci di mani” di cui -
diciamocelo - Debussy
abusava un po’, mai visti così naturali e mai in affanno.
Ricordano voli di cicogne vicino al nido, volteggi di gru della
Manciuria
dell’isola di Hokkaido,
mentre escono suoni quasi giapponesi, o alla Jarrett
(3° Studio).
A ogni nuovo attacco le mani scendono parallele dall’alto al
ralenti,
come frenate da ali, come coppie di fenicotteri rosa di Molentargius
in atterraggio sullo stagno. A volte le mani passano attraverso i
capelli liscissimi, come tra una tenda di seta nera. Ma non mancano
le velocità supersoniche, allo Steinway
vengono i sudori, i suoi acciai tesi s’arroventano, ma lui rimane
impassibile.
Nell’Étude
retrouvée poi
c’è di tutto, opulenza, colore, potenza, dolcezza. E Debussy
quando lo scrisse stava male. Musica pura. Molto La
minore.
Ma
mezzogiorno è passato da un bel po’, viene fame, occorre un “bis”
diverso, quasi disimpegnato se non facile, defatigante anche per Jin
Ju.
E allora niente di meglio della “doppia gavotta” (di autore che
non ricordo) in La
minore,
orecchiabile, leggera, delizioso aperitivo. Potrebbe esser suonata
anche alla spinetta. Motivo nitido ed elegante, più volte ripetuto
ma ogni volta nuovo nei contrappunti. Veloce, specie sulla sinistra
che pare un motorino elettrico, ma senza ansia. Stupefacente.
Applausi. Ragazzini che schizzano in piedi. Felici anche i palchi,
dicevo, specie il 21…
Quando usciamo abbiamo una faccia un po’ così, un’espressione un po’ così, abbiamo visto Shanghai.
Pier Giorgio Camaioni
Quando usciamo abbiamo una faccia un po’ così, un’espressione un po’ così, abbiamo visto Shanghai.
Pier Giorgio Camaioni
Nessun commento:
Posta un commento