Conoscevo Carlos Sanchez da un paio di
apparizioni (è lecito definirle così) a San Benedetto del Tronto;
apparizioni, perché la sua veste poetica lo accompagna in un alone
particolare, come un sogno incarnato e diventato parte della
fisionomia. Forse il sogno che egli vive materiato di poesia, sua
compagna e “condanna”, che fa di lui che si definisce “gaucho”
un vero e proprio hidalgo, strappato a Cervantes per virtù di un
lampo benefico che gli attraversa gli occhi e la figura mentre legge
in Castigliano, la sua lingua d’origine, i suoi versi pausandoli di
trasparente dolcezza. Sanchez è innamorato della vita, dei suoi
istanti, oltre i quali non vale la pena inoltrarsi; con Eraclito
sente l’acqua del fiume che sfiora una volta sola, le stagioni che
irrompono sul tessuto della storia per portarvi altre storie di vita,
dove la “commedia” di tutti i giorni si mescola al tragico, e
tutto vive nell’estensione del verso come in una poesia sulla
poesia.
“Spero di restituirmi serenamente al caos / come
fosse un’altra poesia”.
“Oggi m’ha preso di cantare/ e lo
faccio zitto zitto/ in questa solitudine di poesia/ che è il mio
canto.
Il verso lento, simile a un passo molle, di Sanchez
vive nelle cose e nel loro “oltre”. Si apparenta al divenire
doloroso come a quello di una grazia immancabile, che rende
percorribile la sua melodia in una malinconia arcana. Il mondo
sanguina di bellezza e infamia, sembra dirci il poeta, mentre tutto
scorre, e alle nostre spalle restano gli amori, gli amici, i paesaggi
che il nostro e il suo errare su questo “mondicino” lascia
in un passaggio che è necessità più che avventura.
”Dài
spazio ogni giorno/ al mistero/ non ti fidare del poi/ di un’altra
vita… / bacia ora/ mentre hai labbra/ festeggia adesso…/ e
questo sta a un passo dal “carpe diem”, ma in una misura più
distesa, da cui il “mistero” trovi alimento, così come il “wu
wei” del Tao, forse perché il canto, questa voce dei giorni trovi
il modo di rigenerarsi e rigenerare.
” Non sapevo allora/che
il destino finale/ non importava/ la meta era un sogno nel sogno/ il
viaggio era tutto/ il viaggio è tutto/. Sembra di ricordare
Kavafis e il Calderòn De La Barca, de “La vida es sueno”, e
nella stessa visione Sanchez accomuna le anime ai corpi, il paesaggio
naturale a quello surreale di certi suoi versi, restituendoci la
misura della fantasmagoria, della poesia delle sue origini argentine,
che come in un tango, una musica distesa nella sua passione mescola
immagini e presenze, errori che la vita ha riscattato, una sensualità
diffusa, che confina con una stremata tenerezza. Una poesia, la sua,
che è viatico, tessitura, abito, mondo.
”Tutto scorre come
un fiume”, (Edizioni Lìbrati, 2012) è, neanche
a dirlo, il titolo del suo ultimo libro, presentato alla Sala della
Poesia del Palazzo Piacentini il 6 luglio scorso, a cura
dell’Associazione La Compagnia dell’Anello. Abbiamo ascoltato un
Sanchez che, come sempre, ha incontrato il suo pubblico in grande
semplicità, offrendo il suo “canto” come un dono senza riserve,
che è stato la poesia di quel giorno in cima all’estate,
accompagnato dalla chitarra slow rock di Nathan Caldaroni e dalle
voci di Anna Rosa Romano e Loredana Maxia.
Enrica Loggi
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