Donna
folle! Indarno gridi /chi son io tu non saprai!: è condensata in
queste parole, conclude Umberto Curi nel suo viaggio intorno a
Don Giovanni, l’essenza del personaggio. Seduttore o “miles
gloriosus” di millantate imprese erotiche, egli è l’enigma per
eccellenza. Un’ora è trascorsa, dall’inizio della magnetica
Lectio magistralis, quando l’applauso senza fine ci riporta
coi piedi per terra, anzi in acqua (la brutta
tensostruttura che ci
ripara s’è arresa ai rivoli dell’incontinente acquazzone
d’inizio autunno).
Rigoroso
percorso circolare quello che Curi disegna intorno alla figura
e al senso di Don Giovanni, personaggio-enigma che tale
è fin dal suo prototipo letterario (prima metà del ‘600): quel
Don JuanTenorio che ne “El Burlador de Sevilla y
convidado de piedra” dello spagnolo Tirso de Molina [nom
de plume di Gabriele Téllez] opponendosi alla volontà di
Isabella di accendere il lume per dar volto al suo amante
“perché l’anima si accenda del bene di cui ho goduto”,
le dice io spegnerò il lume (“Mataréte la luz yo”) e al
suo "Ah ciel! chi sei allora?" risponde Sono un
uomo senza nome (“¿Quién soy? Un hombre sin nombre”).
Stupefacente
che nel monumentale catalogo di tutte le indicazioni bibliografiche
sulla figura di Don Giovanni (frutto di studio
trentennale pubblicato nel 1965 da un filologo della Virginia)
emergano ben millesettecentottantacique (!) versioni della
storia, divergenti fra loro in caratteri non secondari del
protagonista: unico elemento immutabile, in tutte, è il nome. Qual è
allora, in una tale pletora di versioni, la vera identità del
personaggio? E’ davvero, questi, soltanto emblema del seduttore
impenitente, paradigma della ricerca compulsiva di sempre nuovi
amori? In realtà, in nessuna delle tre grandi versioni classiche del
Don Giovanni (De Molina, Molière, Mozart-Da
Ponte) sulle quali Curi focalizza l’attenzione, Don
Giovanni è il personaggio che ci aspettiamo, aderente ai
collaudati stereotipi.
“Ingannatore”
per antonomasia (Burlador, appunto) nella secentesca versione
originale, non è qui l’archetipo del seduttore: anzi l’amore è
ridotto a inganno e beffa, e le questioni che il testo pone sono
teologiche (fino a che punto ci si può pentire per salvarsi? );
quella di De Molina - autore religioso in tempi di
Controriforma - può così definirsi una grande commedia
teologica.
Dalla
commedia teologica, al testo maledetto di Molière:
blasfemo perché “ha portato l’ateismo in teatro e si è preso
gioco del Paradiso e dell’Inferno” (si scrisse allora con
furore), massacrato dalla censura che ci ha privati della sua
versione originale, il suo Dom Juan è emblema della
contrapposizione tra ragione laica e dogmatismo; in amore egli è
l’archetipo del grande conquistatore, non del grande amatore: la
conquista in sé, lo attrae, non l’amare, non per caso l’area
semantica di riferimento è quella dell’arte della guerra
(“imporsi”, “soggiogare”…) e significativamente il suo
modello ispiratore è il grande macedone Alessandro.
Nell’ultima
delle tre versioni classiche, Mozart (che detestava i
librettisti, come non essere d’accordo?... ) introduce ben 126
varianti al testo di Da Ponte, con intento eversivo rispetto
allo scipito stereotipo del personaggio che il librettista plagia da
modelli precedenti. Gli elementi di problematicità introdotti da
Mozart giungono fino a eliminare (nella rappresentazione
viennese successiva alla prima praghese) l’intera ultima scena con
il suo improbabile forzato lieto fine. Ciò che l’opera mozartiana
porta in scena è in realtà il fallimento del seduttore: tutta la
vicenda va letta per antifrasi, se - come è vero - nell’intero
spazio/tempo del dramma, Don Giovanni… va in bianco, e solo
il travestirsi da Leporello gli concede un successo. Non è
difficile vedervi il riflesso del Miles Gloriosus plautino:
come chi millanta glorie militari, così colui che tanto parla di
amore è incapace di amare, e il grido d’orrore conclusivo con cui
Don Giovanni sprofonda nell’Inferno suggella l’inscindibile
legame dell’amore con la morte…
E’
l’enigma, dunque, il vero denominatore comune delle diverse
identità del personaggio (“¿Quién soy? Un hombre sin
nombre”): ciò che, al di là degli stereotipi, Don Giovanni
comunica e suggerisce intorno allo statuto dell’amore è infine
l’umana incapacità di svelare fino in fondo il grande mistero che
esso rappresenta.
Sara
Di Giuseppe
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