A
Philippe Daverio, amabile
raccontatore, puoi assegnare qualsiasi tema. Non solo d’arte e
architettura, ma pure filosofico. Intanto ti riempirà il teatro, la
piazza, l’auditorium, la tenda, vai tranquillo. Di gente di tutte
le culture e di tutte le età, dai (quasi) vegliardi come me agli
scatenati ma educati teen-agers (li si chiamava così, una volta)
armati di smart-phone/tablet, capelli a cresta pantalonacci e
zainetto. Ma mica perditempo. I primi, ancora ottimisti non si sa perché, li trovi seduti già da una due ore, pazienti, mediamente silenziosi ma vispi, con i scarp de tennis e i pullover. I ragazzi invece arrivano in grupponi all’ultimo, quando glielo dice feissbuc, riempiono ogni spazio libero con allegria e fantasia, si ficcano anche dove mai pensavi che potesse starci pubblico (e alla fine si fotograferanno festosi con lui sorridente e gioioso come il più ragazzo di loro). Quando la platea si è sistemata come un’orchestra, eccolo: ma non fa il direttore, per questo Daverio, “materialista dialettico”, piace. Lui è il pubblico, come il pubblico è lui.. Nessuna confusione, certo: nessuno di noi potrebbe “fare” il Daverio. Ma lo sentiamo dei nostri, lo amiamo come ameremmo un professore magico, lo seguiamo come un santone laico, accendiamo la TV a pranzo di domenica espellendo i tigì, a notte fonda scansando i film; sfogliamo i suoi libri d’arte in libreria; lo cerchiamo nei festival e accorriamo. Perfino a Sassuolo, mai stato in vita mia prima d’ora.
zainetto. Ma mica perditempo. I primi, ancora ottimisti non si sa perché, li trovi seduti già da una due ore, pazienti, mediamente silenziosi ma vispi, con i scarp de tennis e i pullover. I ragazzi invece arrivano in grupponi all’ultimo, quando glielo dice feissbuc, riempiono ogni spazio libero con allegria e fantasia, si ficcano anche dove mai pensavi che potesse starci pubblico (e alla fine si fotograferanno festosi con lui sorridente e gioioso come il più ragazzo di loro). Quando la platea si è sistemata come un’orchestra, eccolo: ma non fa il direttore, per questo Daverio, “materialista dialettico”, piace. Lui è il pubblico, come il pubblico è lui.. Nessuna confusione, certo: nessuno di noi potrebbe “fare” il Daverio. Ma lo sentiamo dei nostri, lo amiamo come ameremmo un professore magico, lo seguiamo come un santone laico, accendiamo la TV a pranzo di domenica espellendo i tigì, a notte fonda scansando i film; sfogliamo i suoi libri d’arte in libreria; lo cerchiamo nei festival e accorriamo. Perfino a Sassuolo, mai stato in vita mia prima d’ora.
Quella
di ieri sera, da programma, era una Lectio magistralis. Ma non
lo è sembrato affatto, pur avendo Daverio sviscerato il tema “Amor
sacro, Amor profano” con maestria e da tutte le latitudini. Al
solito, prendendosi duemilacinquecento anni di storia e di cultura e
srotolandoceli addosso. Per lui è normale, anche se dovesse parlarti
chessò di automobili, lui troverebbe affascinanti addentellati nella
Grecia antica, nei babilonesi, in Carlo Magno, in Garibaldi che stava
quasi per comprarsela…
E’
stato un tempo unico intenso e bello, senza cali d’attenzione, ma
impossibile da raccontare, ci vorrebbe talento. Un sapiente quanto
divertentissimo ping-pong tra Sacro e Profano (non solo
amore), che partendo dal Tiziano della Galleria Borghese (le due
signore del ‘500 accanto a un sarcofago) ha spaziato dal VI sec.
a.C. (le eccitate sacerdotesse del tempio di Corinto che in completa
euforia di danza vanno fuori di testa, così passano nella dimensione
di Dio) alla bacchettoneria della cultura ebraica che tuttora ci
condiziona nella nostra modernità contorta. Le contraddizioni tra il
Dioniso venuto dall’Est, elegante e palestrato, e l’etrusco
pingue che, sul triclinio inventato per la bisogna, mangia per
l’eternità e tromba allegramente; la ieratica estetica bizantina
(il Cristo in croce che sanguina un po’ ma forse sta comodo)
contrapposta al pathos di Giotto col suo Cristo struggente sofferente
ammalato; il modernismo del genio di Goethe nel Faust che giura col
Diavolo; il dibattito infinito tra libertà comportamentale e
repressione; San Francesco che corre nudo declamando versi ovviamente
in francese (ah, la cultura cortese); il sangue-sangue-sangue
di Caterina da Siena, le Estasi di Santa Teresa d’Avila…
La
Morale e le Regole. Il rapporto tra fisicità e intellettualismo. Il
patto “democristiano” del sessuofobico Concilio di Trento, che
però evitò in Italia grosse guerre per 4 secoli. E Freud, e il
Picasso de Les demoiselles
d’Avignon che inventa l’arte moderna con l’esaltazione
del brutto! “L’arte moderna è brutta”.
Insomma
viviamo un momento etico complicato e pensoso, oggi. Siamo come in
gabbia: politici vecchi, sessualità da avanspettacolo, né
danza-fumo-vino ed extra ci sono d’aiuto, com’era per gli
Etruschi. Ci è toccata pure l’antipatica Gelmini… Clap-Clap
Clap-Clap
Pier
Giorgio Camaioni
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