Fin
dall’Età del Ferro, è forse il materiale più comune che c’è.
Ce l’abbiamo anche “dentro”. Non ci facciamo neanche caso, ma
c’è in quasi tutto quello che ci circonda. Lo riconosciamo
d’istinto (magari dalla ruggine), ci è familiare, ci dà
affidamento. Sappiamo la sua forza e i suoi limiti. E’ come un
amico banale e sicuro, a portata di mano, economico. Di ferro sono i
motori e le auto (che neanche s’arrugginiscono più!), i treni e
gli aerei, i fucili le pistole i carri armati. Erano di ferro o di
latta i nostri giocattoli (il mio Meccano n. 5 era tutto
quanto di ferro); tuttora di ferro sono le navi, gli scheletri dei
palazzi, i nervi dei grattacieli… Fino ai comunissimi attrezzi di
casa: martello pinza giravite… e cosa faremmo senza chiodi viti e
bulloni?
Ma
quanto costa il ferro, da dove viene, chi lo fa, sono domande che non
ci facciamo. Ci basta averlo, adoperarlo, consumarlo, buttarlo quando
diventa inservibile ferrovecchio.
Insomma
non lo pensa nessuno, il ferro, neanche quando si nobilita sotto
forma di acciaio: al massimo ce ne ricordiamo per le posate standard
o qualche oggetto di design, perché si presenta inossidabile,
levigato, luccicoso, e ci appare più pulito, più moderno, più
educato, più elegante
Figurarsi
poi se conosciamo “come” arriva a noi, la strada che fa. Del
resto che c’importa?
I
giganteschi altiforni delle acciaierie dove il ferro diventa lastra
tondino bullone, stanno ben lontani, in bassitalia o in altitalia,
noi ne siamo immuni. Mai ne abbiamo udito il rumore e patito l’odore.
Mai ne abbiamo visto il fuoco d’inferno, i fiumi di metallo
incandescente, i densi fumi grigi, le polveri spesse e soffocanti,
massimo alla televisione o in qualche documentario. Taranto è a 500
km, gli altri posti più o meno. Cavoli loro. Nessuno di noi ci deve
lavorare, nessuno di noi deve cuocersi là dentro. Ma poi che lavoro
sarà? Anche loro avranno le macchine, i robot, i computer. E se non
gli va bene possono scegliersi un altro lavoro, no? Poi c’è lo
sciopero, i sindacati… Guadagneranno il giusto, hanno il posto
sicuro, c’hanno la pensione, possono sempre accampare diritti da
lavoro usurante, tanto pizzicano solo i ciechi che ci vedono
benissimo…
Ma
sì, il ferro sarà pure indispensabile come l’aria che respiriamo,
infatti è come invisibile. Noi, l’ILVA di Taranto,
quando ci andammo, non ce la fecero visitare, mica era importante
come il Ponte Girevole! L’ILVA sta di là, invisibile, non
ti riguarda. Certo, da un po’ di tempo ce la raccontano insistendo
sul suo disastro ecologico (toh, se ne sono accorti!), ma come fai a
capire le fatiche bestiali di chi ci lavora, le malattie, gli
incidenti, i rischi continui, le storie tristi, le violenze
psicologiche… se è tutto “invisibile”?
Poi
succede che in una sera di settembre Gli Invisibili ti
sbattono in scena il diario della cruda vita di un operaio qualsiasi
di là dentro. Che deve “solo” LAVORARE, PRODURRE, AGIRE, CREARE.
Il dramma contemporaneo è tutto qui. E allora capisci: se quello
sopravvive, è morto prima. Ed è invisibile, nell’ILVA
invisibile.
Almeno
noi, l’altra sera, abbiamo finalmente visto e capito. Nicola
Pianzola non poteva spiegarcelo meglio.
Pier
Giorgio Camaioni
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