Se dovessi dare un nome alla modella
che ha posato per i quadri in mostra a Cupramarittima fino al 19
ottobre, faticherei non poco, vista la discrezione delle pose in cui
è ritratta; a testa bassa, come un fiore tortile, rannicchiata a
proteggere una sua femminilità uscita da poco dall’adolescenza e
affacciata a una vita forse solo d’immagine, fiorita un giorno
solamente, per dirla con De Andrè, tanto
provvisorio e labile mi sembra il suo apparire, sulla scena della tela, chiusa da un unico segno nero che ne intaglia tutto il corpo e lo sospende aldilà del luogo e del tempo.
provvisorio e labile mi sembra il suo apparire, sulla scena della tela, chiusa da un unico segno nero che ne intaglia tutto il corpo e lo sospende aldilà del luogo e del tempo.
Lo sfondo è piatto e d’un solo tono perlaceo,
ripetuto ogni volta, siglato nel suo silenzio incorporeo, come una
pagina dove si legge il presente di questa preziosa silhouette senza
passato, negli abiti che cambiano colore come i suoi giorni di
“spleen”, e descrivono le pose di un corpo che si ritrae, diresti
che si nega, rivelandosi per un incarnato straordinariamente vivo e
quasi dolente, morso da una luce che sembra accendere la pallida
figura dal di dentro, come una lampada antropomorfa, animata da un
estenuato soffio vitale, prossima ad essere l’astrazione di se
stessa: personaggio, fabula vivente un suo crepuscolo precoce,
femminilità che contesta, che si mostra in negativo, volgendosi
altrove, chiamando uno spettatore ignoto, lontano o forse
inesistente.
Così, il dato figurativo, che chiama Gustav Klimt, o
forse più ancora la controversa femminilità dei quadri di Egon
Schiele, sfocia nell’astrazione per via di una concettualità
dominante, e la figura che di tela in tela ci viene mostrata ha la
simbolicità di una carta da gioco: effetto magico conseguito
dall’artista Giuseppe Biguzzi schiacciando le prospettive,
cancellando gli sfondi e rendendo straordinariamente contemporanea
questa bionda creatura che non si fa toccare, che si mostra
addirittura di schiena, come l’opposto di una Paolina Borghese
d’altri tempi: a travestirla, un soffio d’ironia dolorosa.
Una
pittura (bentornata in un mondo di fotografie) che conosce la sua
strada passando attraverso l’eco della didascalia, quando non del
fumetto, salva per la cura mimetica dei particolari, per
l’impostazione narrativa che si fa ben accogliere nel nostro
presente di flashes, di black-out, di colpi di scena.
Enrica Loggi
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