11/11/13

Dialogo del tifone Haiyan e di un Filippino. Libero saccheggio dalle “Operette morali” di Giacomo Leopardi

Ma ora che [gli uomini] sono tutti spariti, la terra non sente che le manchi nulla, e i fiumi non sono stanchi di correre, e il mare, ancorché non abbia più da servire alla navigazione e al traffico, non si vede che si rasciughi… E le stelle e i pianeti non mancano di nascere e di tramontare, e non hanno preso le gramaglie…”
[Giacomo Leopardi - Dialogo di un folletto e di uno gnomo]


Si narra che un Filippino, il quale era corso per la maggior parte del mondo e soggiornato in diversissime terre, passando in un luogo non mai prima penetrato da alcuno, vide da lontano un busto grandissimo, e, fattosi più vicino trovò che era una forma smisurata d'uomo, seduto in terra col busto ritto, e non finto ma vivo, di volto mezzo tra bello e terribile. Fattosi più vicino, parve al Filippino che il busto smisurato lo guardasse fissamente e poi, messa fuori gran voce, così gli parlasse:
HAIYAN “Chi sei? Che cerchi in questi luoghi dove la tua specie era incognita?”
FILIPPINO “Sono un povero Filippino, che vo fuggendo la Natura, e la fuggo adesso in questa parte della terra”.
HAIYAN “Così fugge lo scoiattolo dal serpente a sonaglio, finchè gli cade in gola: io sono il tifone Haiyan, e ben potevi pensare che io frequentassi specialmente queste parti”.
FILIPPINO “Me ne dispiace fin nell’anima, e tengo per fermo che maggior disavventura di questa non mi potesse sopraggiungere”
HAIYAN “Ma dimmi, che era che ti moveva a fuggir la Natura? ”
FILIPPINO “Tu dei sapere che fin dalla prima gioventù io fui persuaso della stoltezza degli uomini, i quali tanto più s’allontanano dalla felicità quanto più la cercano. Per questo dalla molestia degli uomini mi liberai facilmente e deliberai di vivere una vita oscura e tranquilla riducendomi in solitudine, cosa che nell’isola mia nativa si può recare ad effetto senza difficoltà. Fatto questo, non mi fu però dato di vivere senza patimento, né conservare quella tranquillità della vita alla quale principalmente erano rivolti i miei pensieri: perché le tempeste spaventevoli di mare e di terra, il sospetto degli incendi, non smettevano mai di turbarmi. Così mi posi a cangiar luoghi e climi, per veder se in alcuna parte della terra io potessi, pur non godendo, almeno non patire. Quasi tutto il mondo ho cercato, e fatto esperienza di quasi tutti i paesi: ma sono stato arso dal caldo fra i tropici, rappreso dal freddo verso i poli, afflitto nei climi temperati dall’incostanza dell’aria, infestato dalle perturbazioni degli elementi in ogni dove. In altri luoghi sperimentai la frequenza dei terremoti, la furia dei vulcani, il ribollimento sotterraneo di tutto il paese. Mi risolsi così a concludere che la natura è nemica scoperta degli uomini, e che essa ora ci insidia ora ci assalta ora ci punge ora ci percuote ora ci lacera e sempre ci offende e ci perseguita, e che lei non lascia mai d’incalzarci finchè c’opprime.”
HAIYAN “Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle forme, negli ordini e nelle operazioni sue la Natura sempre ha intenzione a tutt’altro che alla felicità degli uomini o all’infelicità. Quando la Natura vi offende in qualunque modo e con qual si sia mezzo, essa non se n’avvede. Come, ordinariamente, se essa vi diletta o vi beneficia, essa non lo sa. E non ha fatto, come credete voi, quelle tali cose o quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E infine, se anche le avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, essa non se n’avvedrebbe.”
FILIPPINO “Tutto codesto è verissimo. So bene che la Natura non ha fatto il mondo in servigio degli uomini. E ben avrei caro sapere quel che gli uomini penserebbero vedendo che le altre cose, anche una volta che sia dileguato il genere umano, ancora durano e procedono come prima, dove essi credevano che tutto il mondo fosse fatto e mantenuto per loro soli”.
Mentre stavano in questi e simili ragionamenti è fama che un fierissimo vento abbattè a terra il Filippino e sopra gli edificò un superbissimo mausoleo di sabbia: sotto il quale colui, disseccato perfettamente e divenuto una bella mummia, fu poi ritrovato da certi viaggiatori e collocato nel museo di non so quale città d’Europa.

Sara Di Giuseppe


Libero saccheggio da: G. Leopardi, Operette Morali, “Dialogo della Natura e di un Filippino”. 21/31 maggio 1824

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