Praga.
Tanto rutilante l’interno “secondo rococò” del Teatro
dell’Opera di Praga, splendente di oro e porpora, quanto
minimalista e quasi nuda è la scena su cui si alza il sipario di
questo “Romeo and Juliet” di Prokofjev, coreografia e
regia di Petr Zuska, direttore del Corpo di ballo del Teatro
Nazionale di Praga.
La
lettura che Zuska ci porge della tragedia shakespeariana gioca sugli
opposti o, come recita la brochure, sulla polarità (“Romeo,
Juliet and… polarity”): uomo e donna, morte e vita, odio e
amore. L’essenzialità della cornice prepara già, per contrasto,
il gioco potente delle passioni in campo. La figura di Lorenzo apre
il primo quadro: il frate è solo, su una scena nuda, apparentemente
al di là del tempo e dello spazio; l’ombra della tragedia aleggia
nell’aria, egli avverte che qualcosa sta per accadere, qualcosa che
lo sovrasta e che non è in grado di controllare. Alle sue spalle una
nera parete che nell’aprirsi disegna una silhouette femminile quasi
in stile cubista: incede da quell’apertura, figura ieratica e
lucente nel bianco di cui è vestita, Queen Mab, regina del regno dei
Sogni e delle Ombre.
Evocata nel testo shakespeariano da Mercuzio (I, 4), all’inizio di uno dei più lunghi e immaginifici monologhi (Oh, then I see Queen Mab hath been with you…), essa diviene figura concreta nella realizzazione di Zuska: fin dal suo ingresso in scena è lei protagonista e motore di ciò che seguirà. Dopo un maestoso assolo carico di simbolismo, Mab torna nell’oscurità e la parete si chiude dietro di lei: Lorenzo è solo nel vuoto, intorno ogni cosa è sparita, si protende ad afferrare l’inafferrabile, poi, schiacciato dal peso della sua premonizione, cade sulle ginocchia.
Evocata nel testo shakespeariano da Mercuzio (I, 4), all’inizio di uno dei più lunghi e immaginifici monologhi (Oh, then I see Queen Mab hath been with you…), essa diviene figura concreta nella realizzazione di Zuska: fin dal suo ingresso in scena è lei protagonista e motore di ciò che seguirà. Dopo un maestoso assolo carico di simbolismo, Mab torna nell’oscurità e la parete si chiude dietro di lei: Lorenzo è solo nel vuoto, intorno ogni cosa è sparita, si protende ad afferrare l’inafferrabile, poi, schiacciato dal peso della sua premonizione, cade sulle ginocchia.
L’originalissima
intuizione di Zuska addensa le diverse polarità che permeano il
dramma shakespeariano intorno alle figure di Lorenzo e di Mab: sono
queste le vere protagoniste (fin quasi a mettere in ombra i due
giovani amanti), prototipi di un’opposizione in cui Lorenzo è
simbolo della fede umana in Dio, nella Bontà, nell’Ordine, forze a
cui affida la speranza in un piano che potrà alla fine soddisfare
tutti. Mab, ci dice lo stesso Zuska nell’ “Introductory word”,
è la sua avversaria, regina delle ombre, entità astratta in cui si
concentra l’irrazionalità della vita e dell’essere: nè cattiva
né buona e unione di tutto questo al tempo stesso, Mab personifica
tutto ciò che è imprevedibile e incontrollabile e, benché appaia
come figura eterea e invisibile all’occhio umano (solo chi sta per
morire può vederla: la vedranno Mercuzio e Tebaldo, la vedrà
Paride, e poi Romeo, e infine Giulietta) è lei sola a reggere i fili
della storia.
Lorenzo
è tra i due la figura più tragica: la sua bontà è causa indiretta
della tragedia finale, e la condanna è il sopravviverle. Potremmo
anche spingerci, aggiunge Zuska, a vedere nel conflitto tra Frate
Lorenzo e la Regina Mab il contrasto tra l’umano e il divino, nel
quale all’Uomo non è offerta alcuna chance. Nell’odio tra le
parti, che chiude ogni altro orizzonte, non fede religiosa, non
pietà, non clemenza possono far breccia: solo l’amore, il grande
escluso, sradica I giovani amanti dall’ ”aiuola triste” che li
stringe, ma essi possono afferrare solo un bagliore di quella luce:
Romeo, Giulietta, lo stesso Lorenzo, nell’affrettarsi ciascuno
verso il compimento, sentono che “l’attimo dopo li scaglia in un
tempo che essi devono solo temere”.
I
bravissimi Romeo (Francesco Scarpato) e Giulietta (Andrea
Kramešová) hanno ali di leggere farfalle mentre danzano
incontro alla catastrofe. Un costante simbolismo permea il dipanarsi
della storia: a cominciare dalle maschere, tutte uguali fra loro -
solo differenziate in maschile e femminile - che dal ballo in casa
Capuleti pervadono le scene successive: presenza costante nei quadri
corali in cui i Montecchi sono originalmente interpretati da soli
uomini, i Capuleti da sole donne; poi la mano di Mab (Miho
Ogimoto), coperta da un lungo guanto bianco che si posa sul volto
di colui o colei che sta per abbandonare la vita e solo in
quell’attimo si rende visibile; infine Lorenzo (Alexandre
Katsapov), nella sacerdotale tunica nera, quasi sempre solo
all’interno di uno spazio vuoto: è solo nella scena d’apertura,
è solo nell’epilogo con la sua finale capitolazione, con il suo
Dio che lo ha perduto, così come egli ha perduto ogni sua fede.
“Andiamo
a parlare ancora di queste cose tristi.
Alcuni
saranno perdonati altri puniti.
Perché
mai vi fu storia più dolorosa
Di
questa di Giulietta e del suo Romeo”
Sara
Di Giuseppe
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