Il
Padiglione degli Stati Uniti alla Biennale di Venezia dall’anno
della premiazione di Robert
Rauschenberg
avvenuta
nel 1964, che consacrò il filone della Pop Art e dei mercanti
americani, ha lasciato nel tempo il dubbio su possibili
interpretazioni commerciali. Tali tendenze nel corso degli anni, a
onor del vero, si sono viste più nel Padiglione ex Italia (o
Centrale, o La Biennale) e lungo le Corderie dell’Arsenale,
rispetto ai contenuti proposti dall’edificio del 1930, di struttura
pseudo palladiana, sede Usa.
Infatti,
senza andare troppo indietro nel tempo, nel 2011 il duo Jennifer
Allora (americana) e Guillermo Calzadilla (cubano), attualmente alla
Fondazione Trussardi di Milano, firmarono la loro presenza con il
titolo Gloria
perché “piaceva l’idea di dare un nome femminile al padiglione
degli Usa con opere marcate da uno spirito di attività critica e di
profanazione”. Di conseguenza, l’emblema di due anni fa era
rappresentato da Track
and Field,
ossia un carro armato dai mille significati trasformato in un tapis
roulant usato per fare jogging.
Dunque
un filone concettuale e di basi scientifiche che continua anche nel
2013 alla 55. Biennale di Venezia presso i Giardini, fino al 24
novembre, con il progetto di “Sarah Sze: triple point”.
Come afferma la stessa artista “al centro della mostra è la
nozione di bussola e come noi ci situiamo in un mondo perennemente
disorientante. Ciascuna delle sale opera come un sito sperimentale,
in cui gli oggetti tendono a diventare strumenti o montaggi per
misurare o modellare la nostra posizione nello spazio e nel tempo.
L’aspirazione a costruire modelli che catturino la complessità e
l’impossibilità di quell’impresa, è il punto centrale
dell’opera”. Un grande laboratorio che la Sze compone di “resti
archeologici di esperimenti falliti”. Dal 1990 l’artista Sarah
Sze, classe ‘69, ha sviluppato un’estetica scultorea che
trasforma gli spazi attraverso mutamenti radicali di scala,
colonizzando spazi trascurati o periferici, dialogando con il tessuto
e la storia di un edificio. La percezione dello spettatore e
l’esperienza architettonica sono spostate attraverso interventi
specifici di grandi dimensioni. A livello tecnico tutto parte dalla
definizione che la termodinamica indica al termine “triple
point” che designa una singolare combinazione di temperatura in cui
tutte le tre fasi di una sostanza (gassosa, liquida e solida)
coesistono in perfetto equilibrio. La triangolazione, cioè la
misurazione della distanza da tre punti ordinali, è anche usata per
determinare un punto specifico dello spazio. L’opera di Sze fa
riferimento a entrambi questi concetti, la fragilità dell’equilibrio
e il desiderio costante di ritrovare stabilità e posizione.
Contrariamente ad altri allestimenti di altri artisti, in questa
edizione l’ingresso del Padiglione è stato trasferito a una
vecchia porta di uscita a sinistra della rotonda d’ingresso.
All’interno lo spettatore incontra strutture improvvisate, alcune
apparentemente ancora in costruzione, che richiamano modelli,
macchine e strutture come in un planetario, un osservatorio, un
laboratorio, un pendolo e dispositivi di misurazione o elementi per
localizzare i corpi nello spazio.
Alain Chivilò
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