Moriva
a Nola il 19 agosto del 14 d.C., Gaio Giulio Cesare Ottaviano,
Imperator Augustus: nella celebrazione del bimillenario, i
marmi confluiti da grandi musei del mondo e da prestigiose collezioni
private alle romane Scuderie del Quirinale per questa superba
mostra, raccontano il fascino ambiguo di una stagione politica nata
dal sangue delle guerre civili e dal colpo di stato che ne segna la
fine: il secolo d’oro della controversa pax augusta, pace
ferrea che “ricompone una patria dai frantumi delle guerre civili”
creando “dal caos un ordine non esaltante ma duraturo e possente”
(L.Canali).
E’
l’imperatore stesso a delineare, nella prosa lapidaria delle Res
gestae Divi Augusti, i contorni di un’auctoritas pragmatica e
rivoluzionaria che si fa potere carismatico e personale fondato
sull’osservanza del mos maiorum; principato che, vanificando
l’ordinamento costituzionale, nella visione di oppositori e storici
riduce la repubblica a “un nome senza corpo né forma”
(così in Svetonio). Nella mostra romana è l’epopea della
vittoria, del trionfo e della divinizzazione di Augusto a
venirci incontro, nelle forme di una produzione artistica in cui
qualità estetica e potenza espressiva prevalgono sull’assunto
celebrativo. A un quarto di secolo dalla mostra berlinese tenutasi
nel 1988 al GropiusBau, incentrata sul tema del passaggio
dalla repubblica al principato (“Kaiser Augustus und die
verlorene Republik”), quella romana del bimillenario si
concentra piuttosto sul carattere distintivo della produzione
artistica in età augustea, su quella visione della classicità che
volle essere anche rappresentazione di una fase sociale e politica di
pace, prosperità, bellezza.
Provenienti
da musei di Grecia ed Egitto, di Spagna e
Ungheria, e da Vienna, Copenhagen, Parigi,
New York, le opere esposte raccontano l’irresistibile ascesa
di un pater patriae che nel lunghissimo suo principato informò
di sé un’epoca intera. La silente penombra delle sale museali
colloca quei marmi in un tempo sospeso, dominato dalla figura
imperiale nella pluralità delle rappresentazioni celebrative e
simboliche (come Apollo, o capite velato come Pontefice
Massimo, o in vesti militari) che ne sintetizzano il ruolo di
pacificatore, custode della norma e della tradizione.
L’intento
apologetico è superato dal pregio artistico di capolavori che
attingono alla grecità classica rinnovandola con linguaggio e
movenze propri: nei panneggi marmorei delle vesti sembra insinuarsi
un’aria leggera che tende le stoffe e le piega e suggerisce
trasparenze; nei fregi decorativi trionfa il pathos di una visione
naturalistica che è sintesi di arcaico e di classico, come negli
intensi rilievi Grimani in cui la cinghialessa, la pecora, la
leonessa allattano i loro piccoli: testimonianze di un amore per il
mondo animale e vegetale che, con l'ideale dell'otium agreste,
è peculiare della cultura romana.
Difficile
vedere nella effervescenza e nella qualità formale di questa
produzione solo l’emanazione di un’arte ufficiale volta ad
esaltare, come nel Clipeus virtutis (scudo d’oro celebrativo
appeso nella Curia), “il valore, la clemenza, il senso
della giustizia e del dovere verso gli dei e la patria”
dell’Imperator Augustus.
La
rara bellezza dei tesori riuniti in queste sale - si pensi, fra
tutti, ai raffinatissimi argenti del tesoro di Boscoreale,
provenienti dal Louvre - trasmette piuttosto il senso di
un’epoca che pur rappresentata come aurea per volere imperiale, si
espresse anche con la voce autonoma di una eccelsa dimensione
culturale e artistica. L’abile propaganda che tacendo su
contraddizioni, menzogne, ipocrisie del potere, enfatizzò della
nuova stagione politica il raggiungimento di agognate prosperità,
pace e abbondanza, resta dunque in penombra in queste sale, dai cui
capolavori promana l’afflato di un’età irripetibile per il
portato culturale e artistico di cui ancor oggi la civiltà
occidentale gode e si nutre.
“Di
solito, dopo Augusto, gli imperatori hanno compiuto la loro
metamorfosi nel senso più ovvio della patologia del potere: dalla
normale virtù alla follia criminale. Lui la percorse a ritroso: da
gangster a padre della patria. Da questa canaglia sbocciò infatti il
fondatore di uno dei più gloriosi regimi della storia”.
(Giorgio
Ruffolo, 2004)
Sara
Di Giuseppe
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