Fosse esistito iI sindacato, in
quell’estate del 1772, non avremmo avuto la haydniana Sinfonia n°
45 in Fa diesis min. con il sorprendente finale che le valse il
titolo di “Sinfonia degli addii”. Perché Haydn non avrebbe forse
composto - per convincere l’esigente principe Esterházy a mandare
finalmente a casa dalla residenza estiva gli esausti musicisti al suo
servizio - una sinfonia dall’inusuale impianto complessivo: con
novità e allusioni agli umori dei componenti della Cappella Musicale
che non sarebbero sfuggite al musicalmente acculturato principe, e
con quel finale Adagio in cui gli strumentisti smettono di suonare ad
uno ad uno, ad uno ad uno spengono la candela del leggio e… se ne
vanno.
Oggi, intorno a quegli “addii”
l’Orchestra Filarmonica Marchigiana costruisce un percorso musicale
di intensa originalità, che alla “sottrazione” dell’Adagio
haydniano di chiusura, contrappone un’apertura che si dispiega “per
accumulazione”: è la “Sinfonia degli arrivi - Azione rituale per
orchestra” del compositore jesino Matteo Angeloni; gli strumenti
entrano in scena progressivamente in fascinosa stratificazione di
voci che, muovendo dal solitario autorevole incipit del timpano,
accumula prima gli archi poi i fiati, evocazione intensa e maestosa
del “passaggio primordiale dall’oscurità alla luce” (M.
Angeloni).
Ed ecco Bach, le sue note che
sono “un dialogo del Signore con se stesso prima della creazione”
(Goethe); ecco i Concerti per pianoforte e orchestra BWV 1052 in Re
min., BWV 1054 in Re magg., BWV 1056 in Fa min.
Ramin Bahrami al piano è come se
fosse nato con Bach, lo Steinway&Sons sotto le sue dita sembra
far lievitare il teatro. Di certo un qualche dio lo possiede, quando
la “musica divina” si sprigiona da quella tastiera, né gli
applausi fuori luogo di qualcuno del pubblico raggelano il pianista:
lui è al di là e al di sopra, tutt’uno con “l’energia divina”
del pensiero musicale bachiano. La buffa piroetta intorno all’angolo
dello Steinway, con cui ad ogni conclusione prende la rincorsa per
l’inchino, lo riporta fra noi umani: iraniano fuggito dodicenne dal
suo paese in fiamme, a cui Bach ha “salvato la vita” nell’Iran
kohmeynista che vietava la musica; bambino di 5 anni “fulminato”
dalla Toccata della Partita n° 6 eseguita da Glenn Gould in un LP
che un’amica ha portato da Parigi, “come se un virus mi avesse
pervaso, stregandomi”.
Già l’attacco è di una
precisione svizzera, sembra d’essere a Lucerna: Ramin suona a
memoria, non gesticola, non sbraccia, pare non respiri. Non gli si
muovono neanche le code dello smoking. Non si butta sui bassi nè
sugli acuti, non arpeggia, non percuote, non assale la tastiera. Ma
neppure la accarezza, niente romanticherie. I tasti sembrano
costruiti attorno alle sue mani, prendono anima e sublimi velocità
con inumane pienezza e scioltezza, ad intensità non misurabili, hai
voglia a scrivere piano pianissimo mezzopiano
mezzoforte-ma-non-troppo…, dita feline di gatto (persiano), morbide
silenziose scattanti, dolcemente implacabili infallibili… Il Bach
di Bahrami è unico e ineffabile. Dal palco, lo ascolto e lo guardo
di sbieco, tra la paralisi e l’ipnosi. E quel “largo”(BMV
1056)? E l’essenziale assolo in omaggio ad Abbado? E la stasera
inarrivabile Filarmonica Marchigiana, che a momenti pare star tutta
dentro allo Steinway, per poi srotolarsi come un prezioso tappeto
(persiano) di antica manifattura?
“La bellezza ci rigira l’anima
al contrario e se ne va”. Ci lascia, Bahrami, dopo averci scolpito
dentro il “suo” Bach, e sul palco in penombra una piccola squadra
come di folletti silenziosi disancora e spinge via il gigante “a
coda lunga, nero”. Ci si sente un po’ orfani ma per essere subito
rapiti dalla meraviglia di un Haydn superbamente interpretato: ci
travolge la Sinfonia n° 45 in Fa diesis min. con la sua forza
drammatica, i discostamenti dai canoni, il carattere scuro e
meditativo nell’alternanza di modi maggiore e minore, fino
all’ultimo movimento e all’anticlimax di quel finale che termina
in un pianissimo. Uno ad uno o in coppia i musicisti abbandonano la
scena, e nel palco con le luci che un po’ per volta si attenuano,
restano a concludere con la sordina i soli violini del primo leggio.
“Se tutti se ne vanno, dobbiamo
farlo anche noi” disse sportivamente Esterházy in quella lontana
estate, comprendendo il messaggio e, decidendo l’immediato ritorno
alla residenza invernale di Eisenstadt, restituì (senza pressioni
sindacali, eh eh) gli estenuati musicisti alle loro famiglie.
Noi no, noi resteremmo per
sempre, tutt’altro che estenuati e nostro malgrado restituiti alla
mediocrità del presente.
“L'energia, l'entusiasmo e
la vitalità che la musica di Bach mi ha trasmesso mi hanno tenuto
lontano dai pericoli e dagli smarrimenti che colpiscono i giovani di
oggi. In generale posso affermare con tranquillità che nell'arte o
nella cultura si trovano elementi estetici che hanno anche un valore
etico e indicano la via da seguire". [Ramin Bahrami in
un’intervista a L’Espresso del 31.8.2011]
Sara Di Giuseppe
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