La sinistra invece pare
di un Mehldau fratello siamese, se ne sta nel suo territorio
libera per conto suo, indipendente, componendo altre melodie, con
tempi e controtempi pure strani, 5/4, 7/4… Arie in swing e
blues. Rallentati, ma senza trucco. Potrei dire intimi,
riservati. Sincopati pensosi ma limpidi, che ti tengono sulla corda.
Sambe senza carnevali, alla Jobim. Lenti proprio lenti.
Dissonanze inimmaginabili che si inseguono, che dire jazz è poco.
Musica da impressionisti. Quadri che suonano, o suoni di quadri.
Aleggiano nel teatro anche tracce di classica. Larry Grenadier
e Jeff Ballard completano il perfetto trio. Il contrabbasso,
suonato come uno Steinway in verticale, sostituisce un’intera
orchestra; la batteria, coi rullanti gemelli, le spazzole rosse che
sembrano pennelli, o a mani nude, sofficemente, pare ne sostituisca
una seconda. Armonie, accordi, contrappunti, decine di arie che si
sovrappongono e scivolano a strati, intensi ma senza stress, quasi in
silenzio.
Arie: non si sa come
comincino, dove vadano, come si fondano. Sembra di attraversare
nuvole di Jarrett, di Bill Evans, di Petrucciani,
di Ray Charles, di Lelio Luttazzi… In Holland
il rullante (di destra) tambureggia da lontano come in una battaglia
napoleonica, ma t’immagini paesaggi di lavanda di Provenza,
non eserciti. In Baby Plays Around il tempo si ferma, senti
accordi di silenzio, note rare (eppure stanno lì, mica erano
nascoste), e poi guizzi quieti, eleganti, in sospensione, come di
danza. Non mancano momenti di vigore, corde d’acciaio che
s’arroventano, legni di Val di Fiemme che pulsano,
supersonici raggi di sguardi incrociati, ma è sempre tutto composto,
equilibrato. Invenzioni calcolate. Decibel sotto controllo. Il piano
(senza pedale) dalla timbrica di Gibson-Lucille
di B.B.King, il contrabbasso funambolico come un ginnasta
russo, la batteria dolcemente implacabile come una clessidra ma senza
la monotonia.Le arie si
incrociano, si perdono, si ritrovano, si mescolano, diventano una e
poi di nuovo dieci. Ma non è un cocktail liquido, ogni nota puoi
seguirla come una farfalla senza perderla, anzi puoi sfiorarla e
quasi giocarci per conto tuo.
Stipati nella grande
platea e nei 5 ordini di palchi, le nostre 1500 orecchie e più hanno
goduto per un’ora e mezzo tese, dritte, allungate come quelle dei
bassotti; i nostri 1500 occhi e più han tenuto sempre lo zoom; poi
colli allungati, muscoli tesi, respiri controllati, bocche chiuse, in
astrazione cosmica, quasi ipnosi. Sorridendo, anche a noi è balenata
l’idea di fare stretching o yoga imitando quel Brad
serissimo, un paio di volte in equilibrio a gambe incrociate sullo
sgabello come un fachiro, jeans granata e scarp de tennis rosse,
quando ha lasciato un po’ le sue due “orchestre” far da sole…
Abbiamo invece senza
riposarci gustosamente trangugiato il resto del concerto come un
dolce non proibito, che non ingrassa e non dà il diabete. Certo, non
lo trovi dappertutto. Ma Where Do You Start, su CD, può
essere terapeutico quasi quanto lo stupefacente assolo di chiusura al
Teatro dell’Aquila.
Sono arie. Arie
salubri. Arie che fanno bene.
PGC
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