Praga
(nostro servizio). Viene da lontano, questa leggenda di Krabat
che
oggi il Teatro
Nazionale di Praga ci
offre in una superlativa trasposizione coreografica (première 28
febbraio ’14). Favola dark tra le più popolari del folklore
serbo-lusaziano, Čarodĕjův
Učeň/Krabat -
storia del ragazzo orfano e solo che grazie alla forza dell’amore
vince il potere della magia nera - affonda infatti le radici nel
clima plumbeo della Guerra dei Trent’anni (1618-1648), conflitto
dalle catastrofiche ripercussioni economiche e demografiche su
grandissima parte d’Europa. Condizione favorevole al diffondersi di
narrazioni di magia e stregoneria, di favole simili a quella di
Krabat, è
l’opprimente atmosfera del periodo post-bellico, quando sempre più
tra le popolazioni stremate e decimate da guerra, epidemie, fame e
saccheggi, si fa strada la sensazione che solo un miracolo potrà
cambiare i loro destini.
La
vicenda del giovane che la guerra costringe, dopo avergli sottratto i
genitori, a vagare nel gelo invernale in cerca di cibo e riparo; che
chiamato da una voce misteriosa giunge al mulino nel cuore di
un’oscura foresta, dove inizierà a lavorare sotto il malvagio
mugnaio, per scoprirsi più tardi prigioniero di un praticante di
magia nera, si lega abbastanza naturalmente alla semplicità delle
credenze popolari: i mugnai conoscevano i rudimenti della fisica ed
erano in grado di utilizzare l’acqua sotterranea come propellente
per le eliche che azionano le ruote del mulino; niente di strano che
nella fantasia popolare ciò venisse ricondotto alla magia, sia nera
che bianca.
Oggi
leggiamo la favola di Krabat
soprattutto
come una storia di formazione e di conquistata consapevolezza,
metafora del potere dell’amore e della forza dell’anima umana:
opponendosi al potere oscuro che ucciderà il suo unico amico e la
dolce compagna di lui, Krabat
vincerà
il destino che lo sovrasta e sarà padrone e responsabile della
propria vita. Sotto questa luce la storia, dopo aver ispirato il
romanzo per ragazzi di Otfried
Preussler (1971)
e un paio di film di successo (in Rep.Ceca è molto noto il film
animato di Karel Zeman, del 1978) approda alla trasposizione in
danza. “Libro
e film sono molto epici - dice in un’intervista Luca
Trpišovský,
regista e coautore del libretto insieme a Martin
Kukučka e
Jan Kodet -
e trasmettere il teatro epico è problematico soprattutto nella
danza”. Lo spettacolo di oggi ci parla di una “problematicità”
egregiamente risolta in termini di suggestione, raffinatezza,
padronanza tecnica.
La
storia di Krabat,
dice
ancora Trpišovský nella sua intervista a Česká Televizie “è
la storia di migliaia di teenagers, dalle favelas di Rio de Janeiro,
da Sebrenica, e, forse, da Ústí
nad Labem in
Repubblica Ceca o da qualche quartiere di Praga, di adolescenti che
hanno perso le loro famiglie o che le loro stesse famiglie o gli
amici hanno messo nelle mani di gente di malaffare. E’ una storia
di tutti e, ahimè, una storia eterna. E in nessun modo questo sarà
diverso dalle scene fiabesche nella foresta oscura, dal crudele
“Master”, dallo strano “Godpapa”, dal magico libro
“Koraktor”. Ciò che vediamo è la realtà trasferita dentro la
leggenda”.
Le
coreografie di Jan
Kodet realizzano
una “dark dance story” di profonda tensione creativa che può
condensare in un unico gesto convulso i moti dell’animo o evocare
in un movimento dei piedi un volo di uccelli. Si tratta, scrive Petr
Fischer su HNED.Cz, di spektakulární
taneční divadlo,
“spettacolare teatro-danza che opera non solo attraverso il corpo
ma utilizza altre risorse teatrali che consentono di migliorare il
messaggio del movimento”. Per questa “physical and dynamic
choreographie” lo scenografo Jakub
Kopecký allestisce
una scabra cornice che si ispira - ci dice lui stesso - agli edifici
industriali abbandonati nella regione di Liberec. Sulla nudità di
quegli sfondi anche il gesto ordinario acquista il senso di una danza
magica in cui il reale, l’onirico, il trascendente si intrecciano
con il simbolico; le processioni di fanciulle nella foresta per
celebrare i riti della Pasqua e della ritornata primavera evocano
suggestioni di sapore arcaico così come la simbologia dell’anima
umana racchiusa dentro sembianze di uccelli (i 12 corvi), è non
soltanto richiamo ad un classico come il čaikovskijano Swan
Lake ma
evocazione di simbologie ancestrali su cui l’audace musica
contemporanea diZbynĕk
Matĕjů si
innesta con perfetta congenialità.
L’eccellente
“mugnaio”/primo ballerino Alexandre
Katsapov, domina
la scena con l’oscura intensità del suo personaggio, incarnazione
del male assoluto che sovrasta gli innocenti Krabat e Kristýnka, il
coraggioso compagno di sventura Tonda, e la dolce Dorotka. Tutti i
giovani formidabili interpreti disegnano arabeschi di leggerezza
lungo i quali si dipanano i passaggi cruciali della narrazione: la
morte di Tolda e dell’amata Dorotka, vittime del cupo potere del
Male; la prova finale di Kristýnka che, chiamata a riconoscere
Krabat - pena la sua stessa morte - fra i 12 corvi in cui il mugnaio
ha trasformato i 12 apprendisti, riconosce il ragazzo dal pulsare del
cuore che batte di terrore e di amore. È la forza vitale di questo
amore a prevalere sul mulino maledetto distruggendone l’incantesimo
e realizzando la sentenza dello strano personaggio Godpapa:
“L’amore è più forte di qualsiasi magia”.
Sara Di Giuseppe
Sara Di Giuseppe
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