Curioso
trovarsi ad ascoltare Giacomo Marramao una sera nelle Marche, a
Fermo, e il giorno dopo in Umbria, a Perugia (tanto che gli chiediamo
dove sarà l’indomani, magari capita di incontrarlo di nuovo…).
Ma l’esperienza è apprezzabile, e la visuale offertaci dalla
conferenza marchigiana nell’interessante contenitore “Fermo Sui
Libri” non è meno suggestiva della Lectio Magistralis perugina,
“L’Europa dei filosofi”.
Tema
centrale degli incontri, il ruolo dell’Europa nel mondo
globalizzato. Punto di partenza, l’idea di
universalismo, oggi.
“Il fenomeno di vastissime proporzioni che va sotto il nome di globalizzazione o mondializzazione non può essere inquadrato entro limiti esclusivamente tecno-economici”, ma va ripensato nella prospettiva di un “universalismo delle differenze”. Come osserva il filosofo, nella degenerazione delle democrazie odierne condizionate dai poteri finanziari non si è realizzato il pluralismo delle identità bensì quello degli interessi, e il modello unificante del mercato non è più in grado di funzionare come strumento di governo poiché accoglie una dimensione della vita, quella economica, che non produce identità (e “questa è una delle tragedie della modernità”).
“Il fenomeno di vastissime proporzioni che va sotto il nome di globalizzazione o mondializzazione non può essere inquadrato entro limiti esclusivamente tecno-economici”, ma va ripensato nella prospettiva di un “universalismo delle differenze”. Come osserva il filosofo, nella degenerazione delle democrazie odierne condizionate dai poteri finanziari non si è realizzato il pluralismo delle identità bensì quello degli interessi, e il modello unificante del mercato non è più in grado di funzionare come strumento di governo poiché accoglie una dimensione della vita, quella economica, che non produce identità (e “questa è una delle tragedie della modernità”).
“La
casa dell’universale non è già costruita”: va costruita
dunque multilateralmente, come un sistema aperto che parta da una
nuova idea dell’inclusione e realizzi una “politica universalista
della differenza” (che implichi, aggiunge il filosofo, una politica
interna europea - per esempio una politica dei flussi migratori - e
una politica estera europea, e una politica del lavoro europea,
ecc.).
Muove
dall’antico, il filosofo, per ricordarci ciò che grandi storici
americani, tedeschi e francesi hanno da tempo dimostrato: che le
civiltà delle poleis declinarono proprio a causa della loro tendenza
entropica, non contemplando al loro interno l’inclusione delle
diversità. La cittadinanza greca non comprendeva infatti i
“barbari”, gli stranieri, così come escludeva le donne:
gli uni e le altre erano fuori dalla politica cui avevano accesso
solo i maschi adulti liberi e autoctoni. Saranno i due grandi
macedoni, Filippo II° e poi Alessandro con la sua orientalizzazione
del mondo greco, a realizzare la prima globalizzazione della storia:
da essa la civiltà greca risorge dal declino cui la condannava
l’assenza di quell’indispensabile dispositivo di civiltà che è
l’inclusione. D’altra parte, ricorda Marramao, “la storia è
sempre stata storia di fenomeni migratori”, e questi hanno sempre
preceduto i grandi cambiamenti nella struttura delle società. La
globalizzazione realizzata da Alessandro delinea già, a quanto pare,
una configurazione dell’Europa, segnata da quattro città-simbolo:
Atene, Gerusalemme, Alessandria e Roma (è in quest’ultima in
particolare che si realizza l’idea della civitas come spazio
suscettibile di racchiudere una pluralità di gentes, pur nel
rispetto delle leggi di Roma).
A
partire dal Medioevo, e poi soprattutto dalla pace di Westfalia
(1648) - con il nuovo sistema geopolitico che ne nasce e che ingloba
quasi tutta l’Europa - un fenomeno di intensissima urbanizzazione
fa di questa il “continente delle città”: città fortificate,
economicamente autonome e in affari tra loro, la cui nascita precede
quella degli Stati e che - differentemente da questi - realizzano
un’integrazione orizzontale che è nel contempo sociale, etnica,
culturale, religiosa. Anche la cultura è in movimento, così le
città vanno rassomigliandosi, nell’arte come nell’architettura,
come nell’urbanistica. Importanti più delle “Regioni”, più
delle stesse “Nazioni”: un modello vincente, quello delle
città-mondo.
Ecco,
ci dice Marramao, è attraverso le città che l’Europa va
ricostruita; e l’Italia, che in questa Europa è il paese delle
città-mondo per eccellenza (Firenze, Venezia, Palermo, Ferrara,
Perugia, ecc. sono tali, nel giudizio del filosofo), ha un potenziale
straordinario che le consentirebbe oggi di svolgere un ruolo guida.
Oggi, il modello della piccola e media impresa la rende simile
infatti a ciò che essa è stata nel ‘500, quando era il paese non
solo più culturalmente avanzato d’Europa, ma anche il più ricco
dell’Occidente per la rete di tecniche manifatturiere e bancarie
che le conferivano un livello economico-produttivo-tecnologico
sofisticato e apprezzato fuori dai confini. Una realtà sulla quale
rifletteva con passione Machiavelli, convinto che non trovare il
moltiplicatore in grado di sfruttare questa potenzialità avrebbe
portato i “barbari” a sopravanzarci (ciò che è effettivamente
avvenuto).
Purtroppo
- sottolinea il filosofo - mai come oggi la coscienza collettiva
appare lontana da questo obiettivo. Scetticismo da condividere, ci
sembra, specialmente riguardo al ruolo dell’Italia. Il “paese
delle città-mondo per eccellenza” appare lontano dalla possibilità
di realizzare quella auspicata “rete di città auto-organizzantesi
in creativa autonomia”. Ciò che le città europee - anche se non
tutte - furono capaci di realizzare secoli fa, riunendosi in reti di
leghe e associazioni (le città anseatiche, ad esempio, che durarono
secoli: economie simili, la dipendenza dall’acqua, esportazioni,
importazioni, traffici) appare utopico di fronte al separatismo
municipalistico e competitivo delle città italiane.
Certo
l’Italia del 1500 può essere considerata un prototipo di Europa
come osserva Marramao. Ma nell’Italia di oggi queste “città-mondo”
- mi pare - sono prive di respiro comune, lontane da quel progetto di
“civitates” legate, in un sincretismo di esperienze, all’idea
di una rete delle città; frenate piuttosto da campanilismi e
individualismi, divise da protezionismi e conservatorismi (l’assurdo
perpetuarsi delle Regioni a statuto speciale, la gelosa conservazione
di Province e Regioni, per esempio…). Devastate infine dalla
cattiva politica.
O
forse Marramao ha ragione, al di là degli scetticismi, nel dare
fiducia alle nostre città come “punto di partenza” per un’Europa
diversa. Ma occorrerà approfondire il problema, magari in un…
terzo incontro: forse nella cornice pesarese dell’imminente
Popsophia, il cui tema conduttore - l’intrigante “Nostalgia
del presente” - ci porterà ancor più lontano.
Sara
Di Giuseppe
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