L’Associazione Giardini San
Michele, in collaborazione con Alchimie d’Arte e UT, organizza
l’incontro “La pazienza tra mitologia e cultura”.
Giampietro De Angelis, presidente dell’Associazione Giardini San
Michele e prolifico animatore socio-culturale, curerà
l’introduzione. Americo Marconi, medico diplomato in filosofia
orientale e comparativa, proporrà il quaderno La pazienza di
sant’Agostino. Si terrà una proiezione di diapositive dal titolo
La pazienza virtù universale.
L’appuntamento
è per sabato 21 Giugno alle ore 17,30 nella sede
dell’Associazione Giardini San Michele: tipica costruzione colonica
color ocra, tra le colline del nostro entroterra, situata in Contrada
S. Michele a Ripatransone.
L’ingresso
è libero. Per raggiungere il luogo, consultare il sito web
www.giardinisanmichele.it.
Nella
sua evoluzione l’uomo, dopo aver assunto la posizione eretta e aver
scoperto il fuoco, centomila mila anni fa si chiese il senso della
morte e diede sepoltura ai propri simili. Per questo gesto di
autoconsapevolezza e per la dimensione raggiunta dal suo cervello fu
chiamato homo sapiens. Iniziò a incidere e dipingere rocce, a
coltivare la terra, allevare animali, vivere in comunità. Nelle
abilità e nella condivisione, apprese ad essere paziente: perciò
oltre a homo sapiens era divenuto homo patiens. Sviluppò capacità
cognitive e simboliche che lo portarono a scrivere e creare sistemi
di pensiero. Fu allora che riuscì a definire la sua pazienza come
una vera e propria virtù.
Fin
dai primi discorsi il Buddha, che fu un riformatore dell’Hinduismo,
raccomandava la pazienza, con la compassione, la non violenza e
l’amore come gli unici mezzi per prendersi cura di se stessi e
degli altri.
Tra
i tanti proverbi dell’Antico Testamento, il saggio re Salomone
enuncia: «Il paziente val più di un eroe, chi domina se stesso val
più di un conquistatore di città» Pr 13,32. Ma è il primo libro
sapienziale, quello di Giobbe del V secolo a.C., a rimanere scolpito
nella memoria. Giobbe, un uomo buono e giusto, perde ogni bene con
tutti i suoi figli e, come se non bastasse, una piaga maligna lo
ricopre costringendolo a grattarsi con un coccio tra la cenere. I
suoi lamenti, i suoi «Perché?» risuonano alti da duemila e
cinquecento anni ed hanno impegnato Agostino e Tommaso d’Aquino,
Kant e Kierkegaard.
Nel
messaggio evangelico il Cristo, simbolo dell’amore, sopporta alla
fine dei suoi giorni scherni, torture, la crocefissione. È il
Christus Patiens che, essendo uomo a differenza del Padre, patisce
nel corpo e nell’anima. Qualche decennio dopo, in piena epoca di
persecuzioni, Paolo di Tarso suggerirà nelle sue lettere, alle
neonate comunità cristiane, la pazienza più e più volte. Agostino
da Tagaste, sulle tracce dell’apostolo, definisce la pazienza un
autentico dono divino. Dono che permette l’accettazione delle
difficoltà del corpo e dello spirito, al fine di conquistare una
perenne felicità futura.
Quanto
alla nostra epoca, fondata sulla velocità e il rapido decadimento di
ogni bene, la pazienza è termine che fa quasi sorridere. Il
paziente, nei confronti dello scattante impaziente, fa la figura di
un tontolone lento ed impacciato che accetta, per mancanza di
reattività, la sua sorte. Eppure, soffermandoci un attimo, capiamo
che l’individuo contemporaneo dotato di pazienza ha una maggiore
capacità di superare gli ostacoli imprevisti. Ed aprirsi alla
speranza con una visione nuova della vita. Ancora oggi dunque vale
l’antico detto: «Il più paziente è il più sapiente».
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