Il
Bergonzoni che apre la sezione di Futura
Festival
dedicata
alla parola - “Les
Mots et les Choses”
il
titolo, significativamente mutuato da Foucault - è ancora una volta
lo straripante funambolo della parola che i più conoscono: ma è
anche molto altro. Oggi, le parole
che
il linguista Arcangeli gli porge costruendovi intorno prudenti
domande, lui le afferra e le trasforma in cose,
oggetti
pesanti e pensanti: e il gioco semantico è solo iniziale esercizio
di riscaldamento (“mi
rivolgo spesso alle mie gambe perché non si sentano arti inferiori”)
che prepara il tuffo nelle acque profonde dell’esistenza e della
coscienza, dell’etica e dell’impegno, della realtà e del futuro;
in quel “voto
di vastità”
che, esso solo, può segnare il passaggio dal ruolo di spettatori a
quello di attori di se stessi e della realtà.
Ne
ha per tutti, Bergonzoni: ne ha per l’economia e per la politica,
per l’arte e per il potere e per la religione-potere, ne ha per
Obama e per il Papa; ne ha per questo reale costruito su parole
logore ed esauste, che hanno smesso di rappresentare “cose” per
diventare schermi funzionali all’ipocrisia, al deserto di azione e
di impegno. La
parola invece urge, ci manda segnali che non riceviamo ed essa ci
strattona, ci chiede di usarla, viverla, portarla, (Quand’è
che mi indossi?, ci chiede la parola).
Ma il cambiamento è possibile solo se sperimentiamo ciò che c’è
dietro la parola e se sperimentando cessiamo di accontentarci, di
subire la violenza della politica e dei palinsesti, della cultura
colluttoria,
se smettiamo di pensare in corto e di volere il poco: il “poco”
uccide, è del “molto” che abbiamo bisogno, dobbiamo essere
“ancorosi”, volere “ancora”. Subire e demandare (“i
dieci demandamenti”…)
è ciò che facciamo quando ascoltiamo la politica condannare le
stragi, il potere parlare di pace, quando accettiamo che ci riducano
i problemi in categorie senza pretendere che trasformare la realtà
in lealtà non sia solo un cambio consonantico, senza operare la
nostra
rivoluzione interna,
la sola che possa aiutarci a morire di utopia e a non morire di
realtà. “La grandezza si crea nello sperimentare”: così ogni
genitore può essere campagna elettorale “antropologica e
antroposofica” per il proprio figlio; se la Costituzione è
necessaria, dobbiamo noi stessi per primi “costituirci”, farci
ognuno la nostra robusta “pre-costituzione” interiore. Un lavoro
politico civile e spirituale che ciascuno può fare su se stesso e su
ciò che gli sta intorno, per capire “come
siamo messi, ad anima”,
per riappropriarci della
lealtà della realtà,
sottraendola e sottraendoci all’oltraggio delle vuote parole grazie
alle quali politica, economia, religione, potere, esercitano il loro
dominio.
E’
un Bergonzoni tonificante quello che scende durissimo su ipocrisie e
incompiutezze; che diverte “parolando” e da giocoliere tira in
aria la domanda del linguista moltiplicandola e sovvertendola, e al
tempo stesso cala fendenti sulle vacuità e sulle ignavie, sulla
manipolazione molteplice e trasversale che ottunde le coscienze, che
genera paura (“Stai
tranquillo, abbi paura”)
e crea “assessori alla pietà”. Chiarissimi e trascinanti il
linguaggio e i suoi contenuti; non chiare e inutilmente arzigogolate
sono solo domande del professore, distante anni luce, nella sua
tranquilla appagata dottrina, dalla potenza travolgente e
rivoluzionaria dell’ospite. Ascoltare
oggi ciò che sempre ci diciamo dentro - con rabbia e frustrazione,
pena e ribellione - è un così efficace alimento all’indignazione,
che riusciamo perfino a perdonare i 45 minuti di ritardo (!)
nell’inizio del programma: ma solo a lui, Bergonzoni (arrivato in
orario, anzi in anticipo), non certo all’organizzazione.
“Proseguiamo
uno spettacolo ma lo spettacolo è finito, l’essere umano è già
distrutto, guarda come vive…”
(A.Bergonzoni)
Sara
Di Giuseppe
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