“In
the Middle Somewhat Elevated” (poco
traducibile, ma più o meno “Al
centro, qualcosa di alto”)
è forse uno dei passaggi più belli della serata, coreografia di
William Forsythe, sulle ossessive martellanti note di Thom Willems.
Ma “Qualcosa di
alto”
è anche metafora di questa sera di danza - e che danza - al Teatro
Rossini: mostri sacri della coreografia internazionale (Béjart e
Forsythe, Nureyev e Petit, Preljocaj e Stevenson), e interpreti che
danno corpo all’idea di perfezione, stelle dell’Opéra di Parigi
ed Eleonora Abbagnato su tutte, raro amalgama di rigore formale,
intensità espressiva e travolgente seduzione.
Il
percorso - antologico - segue uno schema circolare che dall’apertura
sulle intermittenze amorose dei Three
Prelude coreografati
da Stevenson su musica di Rachmaninoff, si chiude nella seconda parte
sulle tre coreografie In
the Night da
notturni di Chopin eseguiti dal vivo al pianoforte da Enrica
Ruggiero.
All’interno
del “circolo”, il programma trascorre dalle vette del balletto
classico all’inquieto vigore della danza contemporanea fra
simmetrie e antitesi: il più romantico dei passi a due, dal Romeo
e Giulietta di
Prokofiev coreografato da Nureyev, è contrapposto a quello
modernissimo di In
the Middle Somewhat Elevated di
Forsythe sulle note urticanti di Thom Willems. Interpretati dalla
stessa coppia di danzatori, il primo imprime alla drammatica
sensualità degli sposi il presagio dell’incombente destino, mentre
la coreografia di Forsyte è pura forza vitale, “balletto astratto
fatto di puro movimento” che destrutturando il linguaggio classico
conferisce alla danza “la caratteristica della dinamica atletica”.
Il
classicismo mozartiano della coreografia di Uwe Scholz con la forza
teatrale del suo “Jeune
Homme”,
torna nell’intenso “Le
Parc” (la
Abbagnato con Benjamin Pech) del franco-albanese Preljocaj, perfetta
congiunzione di età classica e coreografia moderna.
Le
tragiche figure di Esmeralda e Quasimodo (Abbagnato e LeRiche) in
Notre
Dame de Paris animano
un balletto d’azione di prorompente energia drammatica; e ancora,
il potente assolo, di assoluta perfezione formale, di Alessio Carbone
(primo ballerino dell’Opéra) sensuale e sulfureo nel béjartiano
“Arepo”
su musica di Gounot.
Ce
n’è quanto basta per elettrizzare qualsiasi spettatore. Ma proprio
qui è forse il limite della serata: a dispetto dell’eccellenza,
indiscussa cifra di questo appuntamento, è difficile sottrarsi alla
sensazione di aver assistito ad una serata “volutamente”
accattivante, con un impianto antologico eterogeneo e di sicura presa
sul grande pubblico. Penso, per quel che vale, che una partitura
unica o comunque più coesa rispetto ad un’antologica pur stellare,
avrebbe impresso alla serata un sapore forse meno “piacione”,
forse meno turistico, di certo più corroborante.
Tra
il pubblico, presenze decisamente poco consapevoli: quelli che
arrivano in ritardo, quelli che scartano rumorosamente caramelle,
quelli che perfino pescano patatine dal loro bravo sacchetto…
Più
di una pecca, purtroppo, nell’organizzazione: sorvolando sulla
struttura pochissimo funzionale della sala (e quei bagni da stazione
ferroviaria…), dirò “solo” dell’incomprensibile scelta di
far entrare il pubblico in sala tutto insieme (immotivata, essendo i
posti tutti numerati) e a pochi minuti dall’orario d’inizio:
risultato, ammassare i presenti scomodamente e rumorosamente
nell’atrio per un tempo infinito, rallentare inopportunamente la
sistemazione in sala creando disagio e ritardo nell’inizio; dirò
dell’assurda tolleranza di ammettere scostumatissimi ritardatari a
spettacolo iniziato; del continuo passaggio di operatori televisivi
e/o altri - chissà quali - “addetti ai lavori” lungo i corridoi
laterali durante lo
spettacolo;
del vezzo di non comunicare la durata dell’intervallo (basterebbe
indicarlo, insieme alla durata della serata, nel programma di sala
come si fa altrove), che lascia nell’incertezza i puntuali e
incoraggia la maleducazione di chi ama tornare al suo posto
all’ultimo secondo e a proprio comodo. E, ahimè, quel “saluto
dell’autorità” in apertura, insopprimibile insostenibile
municipalistica mania autoctona…
Una
serata stellare, ma anche una serata normale, meritano di meglio.
Sara Di Giuseppe
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