"Siamo
fatti della stessa sostanza di cui sono fatti
i
sogni , e la nostra vita è circondata dal sonno"
W.Shakespeare
Nostro
articolo.
Curioso effetto, riemergere al prepotente sole di luglio, al silenzio
assorto del chiostro di San Nicolò, alla calura che pietrifica il
primo pomeriggio: per quasi tre ore il “Sogno” ci ha posseduti,
tra le ombre e le maschere di questo Teatro che già fu chiesa
trecentesca e centro culturale che Lutero visitò ammirato e dove
oggi il genio shakespeariano incontra una regia di genio.
Con
modernità e rispetto, Tim Robbins affronta la complessità
drammatica di una commedia in cui l’esperienza onirica “rovescia
le categorie di realtà e illusione […] per sfiorare il tema
centrale del sogno che è più vero della realtà” (M.Garber). Se
il conflitto realtà-apparenza, il rapporto mondo spirituale-mondo
secolare, la natura dell’amore, la contrapposizione ragione-follia,
compongono la sostanza ideologica e filosofica del “Sogno”,
la regia di Robbins ne coglie acutamente anche la dimensione
metateatrale e metadrammatica.
Le
tre trame su cui la commedia si muove – il mondo reale della corte
ateniese, quello fantastico del bosco, quello dell’arte con la
messa in scena dell’interludio finale per le nozze – si alternano
ciascuna coi propri linguaggi e le proprie dinamiche; e di questi
mondi sospesi fra realtà e sogno, materiale e immaginario, il più
vero e per questo forse il più “comico” appare quello della
finzione per antonomasia: quello degli attori con il loro dramma nel
dramma, ciò che fa del Sogno
soprattutto una commedia sul teatro.
La
versione di Robbins e la felicissima realizzazione della Actor’s
Gang offrono un allestimento lontano da qualsiasi
spettacolarizzazione: nessun orpello o arzigogolo, spicca solo la
magnifica prova attoriale della compagnia (che, nata nel 2004 con una
forte connotazione sociale, con lo stesso Robbins promuove spettacoli
educativi nell’area di Los Angeles e laboratori teatrali per
detenuti). La scena è nuda, solo scaffalature ai lati, da cui gli
attori prelevano e indossano i costumi direttamente sul palco,
entrando e uscendo “come
i giocatori di una partita di basket”;
il parallelismo fra i diversi mondi del dramma è enfatizzato
dall’espediente del singolo attore che interpreta due personaggi
(Teseo e Oberon, Titania e Ippolita, Puck e Filostrato ecc.)come già
nell’innovativa messa in scena di Peter Brook a Stratford negli
anni settanta; la musica dal vivo ne è parte integrante, affidata
alla viola da gamba di Mikala Schmitz e alle percussioni di Dave
Robbins, fratello/fotocopia – solo più giovane – del regista.
Unica concessione, forse, ai trascorsi hollywoodiani di Robbins (fra
l’altro, splendido premio Oscar per Mystic River) l’esilarante
finale in cui i personaggi della corte ateniese assistono con
occhialini 3D all’interludio degli artigiani/attori con la loro
parodia di Piramo e Tisbe (anticipatrice a sua volta della tragedia
di Romeo e Giulietta).
La
recitazione è in lingua originale (provvidenzialmente sottotitolata,
ma ahinoi col display scaraventato quasi sul soffitto): non paludata
alla Lawrence Olivier bensì fedele alle forme dell’antico inglese
shakespeariano, colto e solido impianto linguistico per un’azione
scenica in continuo divenire e in caotico sovrapporsi di realtà e
finzioni, mito e quotidianità, sogno e magia: gioco di chimere il
cui senso è la messa in discussione della superiorità della ragione
sull’immaginazione. Nell’intreccio divertente e spesso crudele
degli equivoci e degli incantesimi, la commedia si delinea infine
come teorema dell’amore e della ingovernabile casualità con cui
gli umani si incontrano e si amano senza possibilità di controllo.
“Coi
suoi comportamenti scandalosi e selvaggiamente divertenti – osserva
il regista – questa pièce teatrale ha così tanto da dirci a
proposito di un mondo in disordine e su come l’amore può essere la
chiave per mettere tutto a posto”. La standing ovation del pubblico
lo chiamerà poi sul palco, dalla platea da cui ha seguito lo
spettacolo - compresso anche lui come noi tapini tra le file troppo
strette delle poltrone - perché si unisca ai suoi travolgenti 14
attori. Anche stavolta il teatro ha aristotelicamente assolto la sua
funzione catartica, per questo forse le domande irrisolte sul nostro
esistere ci appaiono un po’ più leggere, mentre usciamo nell’aria
senza tempo del Chiostro.
“Se
noi ombre vi abbiamo irritato non prendetela a male, ma pensate di
aver dormito, e che questa sia una visione della fantasia… noi altro
non v’offrimmo che un sogno”
Sara
Di Giuseppe
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