Lo
scorso anno, a Spoleto, erano “bravi
da matti”:
figure (maschere) che nei Giardini della Casina dell’Ippocastano raccontavano ciascuno, al pubblico itinerante, la propria stralunata
follia. Oggi, per la seconda edizione di European
Young Theatre,
eccoli
ancora a Spoleto: stessa scuola - l’Accademia Silvio D’Amico -
altri allievi (I° anno del Corso di Recitazione) con un
riconoscibilissimo “marchio di fabbrica”; e che siano
pazzescamente
bravi
anche loro è evidente da subito.
Il Largo che li ospita è un perfetto teatro a cielo aperto, per fondale il muro di contenimento a vista con la grande fontana in basso, per quinte gli edifici della piazzetta; una sola fila di sedie e tutto il resto è pubblico assiepato ovunque, appollaiato sui muretti e sui gradoni della salita: quelli che lo sapevano e sono venuti apposta, e quelli che passavano di lì e si sono fermati, magari con cane e passeggino, e i bambini mai così buoni (è teatro, altro che baby sitter).
Il Largo che li ospita è un perfetto teatro a cielo aperto, per fondale il muro di contenimento a vista con la grande fontana in basso, per quinte gli edifici della piazzetta; una sola fila di sedie e tutto il resto è pubblico assiepato ovunque, appollaiato sui muretti e sui gradoni della salita: quelli che lo sapevano e sono venuti apposta, e quelli che passavano di lì e si sono fermati, magari con cane e passeggino, e i bambini mai così buoni (è teatro, altro che baby sitter).
Oggetti
di scena: un tamburo, un cembalo, due piatti, per scandire
ritmicamente i “quadri”; lunghissime pertiche di legno chiaro; un
drappo rosso. E le maschere, naturalmente. Ventitré giovanissimi,
bianchi dal viso alle scarpe, sviluppano l’azione mimica su un
canovaccio in tre livelli. “Sviluppiamo progressivamente il caos”
- scandisce il conduttore/percussionista - “non progettate il
movimento, pensate solo a reagire”, e un quadro fatto di
rapidissimi movimenti di gruppo - esercizi di mimo e di biomeccanica
- apre la performance per confluire poco dopo nell’ossessivo
percuotere in terra di lunghissime pertiche; eccole ora issate contro
il muro, dalla sommità del quale si affacciano impenetrabili
inquietanti maschere bianche. Tra le movenze lentissime e assorte di
queste, un drappo rosso scende giù dal muro e raggiunge la fontana
sottostante: da qui l’azione per contrasto si fa vivacissima, quasi
indiavolata, mentre il pathos tragico si stempera in una animatissima
giocosità che è un po’ teatro di Pulcinella un po’ Commedia
dell’Arte. Gli “zanni” si alternano alla maschera demoniaca che
occupa la scena in un frenetico assolo mentre il tambureggiare
incalza e il “coro” scandisce un’ossessiva litania di sapore
infernale, in bilico tra il dantesco Pape
Satàn pape Satàn aleppe e
una disarticolata intraducibile filastrocca. Il racconto mimico
culmina nella ricomposizione del gruppo intorno alla coppia avvinta e
annodata dal drappo rosso, finale in cui “vince la presa, il
contatto, la completezza dell’uomo con la sua metà”. Un’ultima
percussione di tamburo e un comando secco del conduttore segnano la
conclusione. “Alzare la maschera”, e i ventitré ringraziano il
pubblico, ciascuno con la propria maschera appoggiata al fianco.
Incuranti di stanchezza, replicheranno fra pochi minuti la
performance: il pubblico sarà in parte cambiato, in parte sarà
rimasto per assistervi una seconda volta e goderne ancor meglio;
questi attori non si risparmiano, e il pubblico ne ricambia con
calore la generosità. C’entra, magari, che lo spettacolo sia
gratuito – a fronte di tanti appuntamenti spoletini dai costi fuori
misura – ma il pubblico che è qui, e che resta, vuol farsi
emozionare ancora dal tragico e dal comico, dalla burla e dal
terrore, dal sacro e dal profano così intensamente evocati da questi
giovanissimi che né caldo né fatica scoraggiano, e neppure la
petulante pioggerella di fine pomeriggio.
Se
saranno
famosi non
sappiamo, ma “da grandi” saranno certo i bravissimi appassionati
attori che oggi annunciano di essere.
Sara
Di Giuseppe
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