È
nota l’avversione di Matteo
Renzi per
la specie dei Gufi.
Meno noto è che l’astuto boy-scout ha cercato di neutralizzare
l’influenza esercitata dagli odiati volatili sulla pubblica
opinione e di acquistarne il favore convincendoli con subdoli
stratagemmi della possibilità di riacquistare un presunto potere
regale sottratto loro dagli dei nella notte dei tempi, e di creare
nello spazio aereo che è il loro regno una potente città
fortificata, dal fantasioso nome di “Nubicuculia”, sospesa tra il
mondo degli uomini e quello degli dei, dalla quale poter dominare
sugli uni e sugli altri.
Questi
alcuni significativi momenti, fortunosamente intercettati, dei primi
approcci con un autorevole rappresentante dei rapaci, e della
trattativa successivamente intercorsa.
*Libero
saccheggio da Aristofane, Gli Uccelli, 414
a.C. (trad. Alessandro Grilli)
Renzi
Per
Eracle, e questa che bestia è? E quel piumaggio? Apollo, proteggimi
tu, che becco spaventoso!
Gufo
Mi
prendi in giro per il mio piumaggio e per il becco? Non mi sai dire
niente di più gentile? Eppure anch’io, o straniero, ero un uomo.
Ma dimmi un po’, tu chi sei? E qual bisogno ti ha spinto da queste
parti? Perché volevi incontrarmi?
R.
Io?
Sono un mortale. Volevo incontrarti, primo perché una volta eri un
uomo come noi; ed eri pieno di debiti come noi; e ti piaceva non
pagarli, proprio come a noi; poi, perché ti sei trasformato in
uccello e ormai ragioni in tutto e per tutto come un uomo e come un
uccello insieme; e poi, perché vedo un grande progetto per la stirpe
degli uccelli, che vi darà il potere, se date retta a me. Potreste
fondare una città nell’aria, cioè nello spazio degli uccelli, che
sta a mezza strada fra il cielo e la terra; vi basta insediarvi in
questo posto e fortificarlo: si chiamerà “Stato degli uccelli”,
e da lì voi comanderete gli uomini e gli dei: comanderete gli uomini
come le cavallette, e gli dei li sfinirete per fame.
G.
Evviva!
Per la terra, per tutte le tagliole, le ragne e le reti! Non avevo
mai sentito un’idea carina come questa; sì sì, voglio fondarla,
questa città, se anche gli altri uccelli sono d’accordo.
Venite
tutti qui, stirpi degli uccelli dal collo flessuoso! E’ giunto un
giovane sagace e pieno di idee nuove e capace di opere nuove, un
sottile ragionatore! Venite tutti qua a sentire! E’ una volpe
sveltissima, uno che escogita, azzecca e che sistema, un fior di
parlatore!
R.
(Per
Apollo, che massa d’uccelli s’è radunata, da far paura! Ma…
non ce l’avranno mica con me? Ahimè, mettila come ti pare, ma
questi spalancano il becco e guardano proprio verso di me!)
G.
L’uomo
è creatura infida sempre e comunque, per natura: ma vi dico che
dalla terra degli uomini è venuto qui un giovane, e ci porta il
cespite di un’impresa formidabile! Sarà anche nemico per natura,
ma è venuto qua per insegnarvi qualcosa di utile. Ma parla tu
stesso, avanti, sei venuto qui per convincerci di un tuo progetto:
coraggio, parla! Un discorso collettivo, sicuro, giusto, utile e
dilettevole.
R.
Ebbene…
ehm… sì, ecco: sono a tal punto addolorato per voi che un tempo
eravate re…
G.
Noi?
Re? E di che? Questo proprio non lo sapevo, per Zeus!
R.
….E’
perché siete ignoranti e non avete studiato Esopo, che nelle sue
favole dice che l’allodola è l’uccello che esisteva prima di
tutti in assoluto: e se sono venuti al mondo prima della terra e
prima degli dei, non sono loro i sovrani di diritto, in quanto più
vecchi? E’ chiaro da molti indizi che un tempo non erano gli dei ma
gli uccelli, a regnare sugli uomini: ad esempio potrei cominciare dal
gallo, che è stato il primo sovrano e tiranno di tutti i Persiani,
ecco perché ancora adesso è l’unico uccello che incede come il
Gran Re, con la cresta tutta dritta. E all’epoca era così potente
che ancora adesso per effetto della sua potenza di prima, basta che
canti la mattina e tutti saltano in piedi per andare a lavorare:
fabbri, vasai, conciapelli, calzolai, bagnini, e pure chi vende
granaglie, tornisce lire o aggiusta scudi. Si mettono le scarpe e
via, che è ancora notte. Dopo di che fu il nibbio a prendere il
comando e a regnare sui Greci. Poi fu il cuculo a regnare sull’Egitto
e su tutta la Fenicia. E ogni volta che faceva cucù, tutti i Fenici
nei campi mietevano fave e piselli. Avevano allora un potere tale
che, anche se regnava un qualche Agamennone o Menelao, un uccello gli
si metteva sullo scettro per avere anche lui la sua parte delle
regalìe. Ma la prova decisiva è che Zeus, che regna in questo
momento, tiene sempre un’aquila sulla testa, anche se è lui il re;
e sua figlia una civetta; e Apollo, come un attendente, un falco. E
poi una volta nessun uomo giurava per gli dei, ma tutti per gli
uccelli.
Ecco
fino a che punto prima vi consideravano importanti e venerabili,
mentre adesso vi trattano come i figli della serva, vi catturano e vi
vendono dieci un soldo e una volta che vi hanno comprato vi fanno
arrosto e vi portano in tavola; e vi grattano sopra pure formaggio,
olio, silfio, aceto, poi anche un battuto dolce, bello unto, e ve lo
spargono sopra caldo caldo, come su carogne rinsecchite.
G.
Quante
cose tremende, terribili, ci hai raccontato! Ma tu sei giunto a
salvarci, per fortuna e per volontà del cielo: ora vogliamo vivere
così, affidando a te noi stessi e i nostri pulcini. Ma dicci cosa
dobbiamo fare, per noi la vita non ha più senso se non recuperiamo
ad ogni costo la nostra dignità di re.
R.
Allora
innanzi tutto i Gufi devono riunirsi in un’unica città, e poi
devono fortificare il cielo intero e tutta l’aria in mezzo con
mattoni cotti, come a Babilonia; poi si chiede a Zeus di restituire
il potere; se rifiuta e non viene subito a patti, gli si dichiara una
guerra sacra. Agli uomini dovete mandare questa ambasciata: d’ora
in avanti i sacrifici vanno fatti agli uccelli perché a regnare sono
gli uccelli; agli dei si potrà sacrificare solo dopo, inoltre a
ciascun dio va affiancato l’uccello che meglio gli si adatta.
G.
Ma
come faremo a farli diventar ricchi? Sai bene che questa è la loro
grande passione!
R.
Loro
vanno sempre in cerca di auspici: dunque gli uccelli gli faranno
trovare le miniere, e diranno agli indovini quali spedizioni
renderanno bene, ecc. E se gli affari andranno bene, essi si
sentiranno anche in salute, e gli uccelli gli allungheranno la vita
anche di trecento anni!
G.
Per
la miseria, eri il più odioso dei bellimbusti, ma adesso sei
diventato quello a noi più caro! Nessuno ormai ci impedirà di tener
dietro alla tua idea! Le cose più importanti gli uomini le devono
tutte a noi uccelli; un auspicio, un uccello augurale è la prima
cosa che andate a cercare per qualsiasi progetto, che si tratti di un
viaggio d’affari, d’un acquisto di beni, d’un matrimonio.
Insomma, se ci considerate degli dei potrete contare su di noi, vi
staremo vicini e vi daremo ricchezza e salute, pace e abbondanza,
allegria e gioventù, danze, feste e latte di gallina. Vi sfiniremo a
forza di regali, a tal punto vi faremo ricchi, tutti quanti.
Ma
prima di tutto bisognerà dare alla città un bel nome che sappia di
nuvole e di spazi celesti, una roba bella gonfia. Che ne dite di
Nubicuculia? Sì, magnifico, ho trovato proprio un nome bello
e grande. Sarà un lavoro splendido e imponente, il muro sarà così
grosso che ci potrà passare anche Prossenide di Sparalagrossa con
due carri tirati da cavalli come quello di Troia! E lo faranno gli
uccelli, tutto da soli! E se Zeus ci darà fastidio, chiamerò le
aquile flammigere e gli ridurrò in cenere la casa!
E
a te, Matteo, tutti i popoli rendano onore e ti incoronino per la tua
sapienza, per aver fondato nell’aria questa gloriosissima città!
Alata stirpe degli uccelli, tre volte beata, prospera in tutto,
accogli il tiranno nella sua casa felice. Eccolo che avanza. Mai
stella lucente brillò tanto nella sua corsa dorata, né mai
splendore raggiante del sole altrettanto rifulse. Un profumo
indicibile si spande in alto nel cielo, brezze leggere muovono il
fumo che si leva dagli incensi. Schieratevi in fila, fate spazio!
Volate intorno al fortunato e portategli fortuna. Grandi sorti
davvero arridono alla stirpe degli uccelli per mezzo di quest’uomo:
suo è il tuono che scuote la terra, le saette infuocate di Zeus, il
lampo terribile della folgore. Venite dunque alla festa! Alalà,
urrà, peana! Vittoria! Evviva il vincitore, dio supremo!
Sara
Di Giuseppe
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