“E
faceva spavento, respiro di quella belva che era il mondo, il suono
del mare…”:
l’incipit del racconto di Sciascia - Il
lungo viaggio -
saluta il sole già saldo sulla linea dell’orizzonte con il gruppo
di migranti siciliani, ignoranti e ingannati, convinti di arrivare in
America
(duecentocinquantamila-lire-metà-alla-partenza-metà-all’arrivo al
trafficante) e sbarcati dopo undici notti di “traversata” a Santa
Croce Camerina, Sicilia (“Si
buttarono come schiantati sull’orlo della cunetta perché non c’era
fretta di portare agli altri la notizia che erano sbarcati in
Sicilia”).
E’
iniziato all’alba, il breve straordinario nostro viaggio con gli
attori di Re Nudo
lungo
questa spiaggia che ancora dorme e respira lenta. E’ iniziato al
primo chiarore incerto, presso il “Ragazzo
con i gabbiani”
di quel Fazzini scultore
del vento che
il mare l’aveva dentro, che aveva “l’Adriatico addosso”.
Il
mare di questa mattina è tutti i mari, è Mare assoluto, metafora
ancestrale di ogni volo e di ogni approdo, di ogni fuga, di ogni
ritorno, di ogni “solo andata”. E’ il mare che accoglie Odisseo
nell' interminabile andare lontano da Itaca, che lo invita a non
temere i Lestrìgoni e i Ciclopi / o la furia di Nettuno, a
non affrettare il viaggio, a far sì che duri a lungo, per anni,
ma sempre con in mente Itaca / raggiungerla sia il pensiero
costante; è il mare che accoglie la nenia dolente, è il
mare-grembo, materno liquido amniotico che genera e protegge, acqua
lustrale che purifica e battezza. E’ il “troppo vasto mare”
per la piccola foglia sul vascello dove non c’è più vita alcuna.
E’ il mare pascarelliano dell’America scoperta,Eh, cor mare ce
s’ha da ruga’ poco! Che lì pòi camina’ quanto te pare: /Più
cammini più trovi l’infinito / più giri più ricaschi in arto
mare.
E'
il mare dei migranti (Era
linea d’arrivo, abbraccio di onde ai piedi)
“calati da altopiani incendiati da guerre e non dal sole” (Non
fu il mare a raccoglierci / Noi raccogliemmo il mare a braccia
aperte);
che portanoOmero e
Dante, il cieco e il pellegrino / l’odore che perdeste,
l’uguaglianza che avete sottomesso;
del bimbo morto nelle braccia della madre, foglia caduta dall’albero
degli uomini che il
mare avvolge in un rotolo di schiuma;
dei disperati che “Potete
respingere, non riportare indietro / E’ cenere dispersa la
partenza, noi siamo solo andata”.
E’
stato questo, in un’alba sul mare, il viaggio in cui abbiamo
immaginato altri mari, volato oltre l’ottuso frastuono, cancellato
la spiaggia lager di ombrelloni e chalet. E’ il Mare, ciò che
abbiamo visto, non la sua ombra pallida e distorta sulla parete della
caverna del nostro quotidiano. L’intensità degli interpreti,
l’accorta regia, le suggestioni musicali e poetiche di ogni singola
tappa, la purezza del violoncello bachiano (negli arpeggi intimi e
potenti del Preludio della Suite n.1) l’hanno reso possibile. Quasi
una magia.
Ci
ricordano presto che siamo nel borgo selvaggio. Prima è l’auto dei
Carabinieri: intervento discreto e cortese, ma richiesto da
telefonate numerose di abitanti che si dicono “spaventati” (così
nella riposta del gentile Carabiniere). Benpensanti “spaventati”,
suppongo, dall’assembramento in riva al mare (qualcuno vestito di
bianco è perfino sbarcato da un barcozzo!...). Usi ad incassare -
senza muover muscolo - ruspe e camion in manovra sotto casa prima
dell’alba, e i giorni e le notti di becero frastuono vacanziero,
oggi infastiditi dall’assolo bachiano e da suoni di limpido vigore
e di più che civile intensità.
Poi
è l’insopprimibile vezzo del saluto del sindaco (qui in finale, e
puoi almeno scappare; solitamente – sob – in apertura, e te lo
sorbisci): flagello indigeno che non ha riscontri altrove, vocazione
allo spot autopromozionale a cui nessuna amministrazione ha il buon
gusto e l’intelligenza di rinunciare. L’incantesimo è rotto
dalla vanità istituzionale e un’alba in poesia ci lascia nelle
orecchie la prosa di un sindaco…
Ma
quando gli dico
ch’egli
è tra i fortunati che han visto l’aurora
sulle
isole più belle della terra,
al
ricordo sorride e risponde che il sole
si
levava che il giorno era vecchio per loro
Cesare Pavese I
mari del Sud
Sara Di Giuseppe
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