Da
Paul Valéry ("le
vent se lève! ... il faut tenter de vivre!")
a Tatsuo Hori,
autore nel '36 di Kaze
Tachinu (Si
alza il vento), passando
da Ryokan Taigu
(Grande vento nell'alto
dei cieli), Christina
Georgina Rossetti (Who
has seen the wind?) e La
Montagna Magica di
Thomas Mann, titolo che
ricorre nei dialoghi, l’ultima fatica di Miyazaki
Hayao sembra contraddire,
con tante citazioni e così importanti, la cifra distintiva che lo ha
sempre immunizzato da derive intellettualistiche e pretestuosi
approdi letterari.
Il
rischio si rivela però ben presto solo apparente, Miyazaki Hayao
resta l’artigiano di sempre, l’animatore appassionato i cui
interessi letterari, peraltro cospicui, non fanno mai velo alla sua
immediatezza creativa.
Di
tante suggestioni estetiche, fra cui non manca la musica di Schubert,
che arriva con le voci del Die Winterreise (Viaggio
d' inverno) da una finestra aperta, mentre il protagonista è in
cammino per le terre gelide di Germania, Kaze Tachinu si
serve come sostanza creativa, nessun compiacimento intellettualistico
a rompere la magia visiva, quel fluido scorrere di immagini animate
da un pensiero che parla del sogno di un bambino che ama il volo
degli aerei e di un uomo che spende la sua vita per quel sogno.
Il
Wanderer schubertiano, romantico viaggiatore alla ricerca di un
senso alla sua vita, s’incarna in Horikoshi Jirou e nel suo
appuntamento con il destino, e poiché l’opera è sempre il
riflesso dell’ autore, il suo testamento spirituale, nel suo ultimo
film Miyazaki Hayao ha dato forma al suo sogno di sempre,
volare. Non si prenda però questo per semplice autobiografismo.
Se
l’opera è l’uomo, è pur vero che è destinata a trascenderlo
quando diventa arte. Il film ha la sua genesi in un manga inserito
nel genere dei Musou Note (“Appunti
Trasognati”) che l'autore pubblica saltuariamente sulla rivista
di modellismo giapponese Model Graphix, ispirato alla
vita di due importanti figure giapponesi d’inizio '900, l'ingegnere
aeronautico Horikoshi Jirou e lo scrittore Tatsuo Hori,
storia un po’ biografica un po’ romanzata dell’autore stesso.
“Realizzate
in grande formato e interamente a colori, con tavole acquerellate
dallo stesso Miyazaki Hayao, queste storie a fumetti sono
fantasiosamente incentrate su questo o quel celebre tipo di mezzo
bellico d'annata, aeroplani soprattutto, come ci si potrebbe
aspettare da Miyazaki Hayao, che ne è un grande appassionato, e come
si confà a un pubblico di modellisti. Sono chiaramente dei diversivi
artistici che Miyazaki crea per suo proprio diletto e interesse,
sognando e svagandosi sugli oggetti della sua stessa mania, e anche
Kaze Tachinu era da principio uno di questi particolarissimi
manga.”(cit. da un’intervista a Gualtiero Cannarsi
del 23-02-2014 su www.AnimeClick.it)
Figlio
di un imprenditore aeronavale, e come Jirou con problemi di
vista (gli spessi occhialoni sempre in primo piano del protagonista
non lasciano dubbi su quanto pesino per tutta la vita le storie e le
tristezze dell’infanzia) Miyazaki avrebbe sempre voluto
pilotare aerei ed ha imparato piuttosto a far volare le sue
creazioni. Come il suo eroe, genio dell’aeronautica giapponese, che
voleva volare e non potè mai.
Storia
e fantasia si fondono in un film che rappresenta la summa dei
temi cari al regista: crescita individuale e coraggio nell’affrontare
le sfide, amore per la tecnologia applicata e insieme timore per i
rischi che la natura corre (va notato il particolare delle mucche
usate per trasportare pezzi dell’aereo da assemblare, brevissimo
flash che pare un ossimoro ripetuto due volte, sottigliezza di
estrema eleganza a fronte di interminabili pistolotti ecologici tanto
di moda quanto inutili), senso dell’avventura come volàno di una
vita dominata da curiosità e sete di conoscenza e, infine, l’amore,
declinato nelle forme più profonde e insieme schive (più che mai
presente, in questo, la lezione di Ozu Yasuijrou).
Sostanza
della sua poetica, questi temi sono ora affrontati da un angolo
visuale per certi versi inconsueto, avvertiamo lo sguardo dell’
uomo che, vicino al margine estremo della vita, guarda indietro e fa
bilanci.
Nato
durante uno dei momenti peggiori del Giappone, il terremoto e
maremoto del Tohoku nel 2011, il film focalizza il tempo del suo
protagonista, un’età segnata a lungo dal Grande Terremoto del
Kanto del 1923 che devastò Tokyo e dal clima prebellico che vide
crescere ed esplodere a dismisura nazionalismo e militarismo, mentre
magnifiche opere di pace, come gli aerei progettati da Jirou,
diventavano micidiali strumenti di morte .
L’epopea
individuale si sposta allora sulla prospettiva storica, l’immaginario
non è più esclusivo dominio della fantasia, c’è una lunga storia
da raccontare ed è quella di un paese “annientato” (così
fa dire Miyazaki a Caproni).
Non
è più possibile, allora, affidarsi solo alla metafora, alla favola,
bisogna che si risponda alle domande più difficili, e, fra tutte, a
quella più ardua:
"Tu,
tra un mondo con le piramidi e un mondo senza piramidi, quale
preferisci?"
La
pone a Jirou Giovanni Battista Caproni, conte di Taliedo,
personaggio dell’Italia mussoliniana (fu il Duce a insignirlo del
titolo di conte per i meriti bellici della sua industria aeronautica)
Caproni
vive nell’immaginazione del protagonista, è protagonista di quel
sogno che del film è parte costitutiva, scorrendo parallelo alla
dimensione del reale.
Il
sogno di Jirou si è realizzato ed ha creato bellissimi aerei.
Questi
aerei sono nati come strumenti di morte ed hanno contribuito
all'annientamento del suo paese, Horikoshi lo sa bene e questa
consapevolezza appartiene al suo personaggio.
L’intento
enunciato da Miyazaki di "rappresentare un uomo a
tutto tondo" è pienamente assolto ed in questo va
rintracciato il senso centrale dell’opera, che non rinuncia a fare
i conti con quel groviglio di contraddizioni che è l'uomo.
Del
resto, i caccia A6M, fiore all’occhiello degli arsenali militari
della Mitsubishi, sono sempre stati oggetto di fascinazione per lo
stesso Miyazaki, nonostante il pacifismo militante suo e di
tutto lo Studio Ghibli e l'impegno sempre critico verso
qualsiasi recrudescenza nazionalistica nel proprio paese.
Ha
persino provato a ricomprarne uno vero e integro dagli Stati Uniti,
per farlo volare sopra casa sua, finché la moglie non gli ha detto
di "smettere di essere un tale cretino".
Si
può giocare, come i bambini, l'innocenza è un dono e quei magnifici
aerei nel mondo di Jirou bambino erano favole, in quello di Jirou
adulto l’opera della sua intelligenza.
Quello
che poi la Grande Storia fa degli uomini è cosa che sfugge ad ogni
previsione, o forse a volte manchiamo di lungimiranza.
“Bisogna
vivere" è lo slogan ufficiale del film, ma ormai
siamo agli antipodi da Ponyo e dal suo "Che bello
essere nati!".
Parlare
delle tragedie di un'epoca e di un uomo che vive in quell'epoca, dire
delle sue opere che sono contemporaneamente grandi successi e
terribili fallimenti, non può però essere indolore, neppure per
Miyazaki.
Lungi
dall’avanzare proposte di lettura politicizzata del suo cinema,
forti della consapevolezza che quel “vagheggiamento
fantastico” che è leggerezza di immagini e di senso,
“fanciullesca rappresentazione di una realtà idealizzata
popolata da personaggi idealizzati”, in Miyazaki Hayao è
fondamento costitutivo, avvertiamo però una frattura stilistica
rispetto al passato.
Il
sogno infantile non ha la magica forza di un tempo, così come la
storia d’amore fra il protagonista e Nahoko, malata di tubercolosi
polmonare, si rivela desolatamente tragica.
Componente
fantastica innestata sul ricordo del personaggio storico, l’amore
di Jirou e Nahoko interviene nella costruzione del film in simbiotica
convivenza con la crescita professionale dell’ingegnere
aeronautico.
Dal
sogno giovanile (l’amore è nato fra i due, ancora studenti, quando
una folata di vento ha fatto volare il cappello di Jirou e Nahoko
l’ha catturato) al vento della Storia che spazza via le idealità
lasciando a terra macerie. Miyazaki Hayao ha parlato
esplicitamente del "vento di un'epoca" (jidai no
kaze), la sua volontà è stata esplicita nel sottolineare questo
intento programmatico.
L’uomo
del ventesimo secolo, i suoi sogni e le sue cadute.
E
dunque, mentre le note di Hisaishi Joe accompagnano gli
ideogrammi di coda, cosa resta oltre le ultime, tristi immagini, i
bagliori di fuoco nel cielo, la fuga di Nahoko malata che voleva
farsi vedere dal suo uomo solo nel suo splendore?
Forse,
ancora e sempre, quell’umanesimo militante che scorre come filo
rosso fra i personaggi creati dalla sua matita e che fa dire:
“Come
per Horikoshi Jirou, così anche di Gianni Caproni, Miyazaki sembra
quasi voler celebrare la gloria nella sconfitta, il trionfo dei loro
sogni persino sulla cruda realtà determinata anche dal realizzarsi
di quelli. Anzi, mi pare proprio che l'autore voglia come 'ripulire'
la candida, pura bellezza del sogno originario dalla lordura del suo
risultato concreto — quasi l'ergersi titanico dell'uomo sulla sua
stessa umana tragedia. Certo mi torna un po' in mente un certo tipo
di filmografia di Ozu Yasujirou, che guarda caso Miyazaki ha citato
proprio mentre parlava delle atmosfere del suo Kaze Tachinu, ma
altrettanto non posso fare a meno di percepire una certa ingenuità
quasi infantile nell'assolvere lo spirito di due figure storiche che
non si può negare abbiano avuto certe responsabilità per l'appunto
storiche. Forse Miyazaki le considera piuttosto come vittime del loro
tempo? Vittime del vento della loro epoca? Vittime della loro stessa,
quasi compulsiva passione? Magari il regista ha pensato un po' di
tutte queste cose, nel rapportarsi a certi temi, e benché si possa
certo dire che la realtà è fatta sempre di congiunture di
circostanze, altrettanto rilevo una spiccata tendenza al far
prevalere, pure in questo film che vuole definirsi 'realistico', la
sfera dell'idealità su quella della realtà.” (Gualtiero
Cannarsi, cit.)
Paola
Di Giuseppe
Si alza il vento
Giappone
2013 durata 126’
Genere:
Animazione
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