Sapete cosa sono i rituali? Alzandovi voi compite un rituale e mi
dimostrate così che non siete degli animali. Nella mia classe,
durante le mie lezioni, sarete degli esseri umani.
E’ il prof. di tedesco che
parla, uno che ha scelto Thomas Mann come autore dell’anno,
che sorride poco perché non è stato assunto per farlo, perché non
ritiene sia cosa automatica diventare
l’”amicone” degli
alunni e salire sui banchi per farsi amare di più.
Uno che quando sente Sabina suonare con la mano fresca e un po’ esitante di ragazza di sedici anni il Preludio op. 28 n.15 di Chopin sul piano della scuola, si ferma attento ad ascoltarla, senza badare se l’aula è vuota e si rischia di passare per pedofili chiudendo la porta rispettando il silenzio che la musica esige. Sabina è timida, incerta, irresoluta, non inserita nel gruppo come le altre, grandi occhi verdi sempre sul punto di riempirsi di lacrime. Il prof. le chiede una definizione della parola “fallito”, vuole che parta dalla forza delle parole per imparare a combattere nella vita. Ma Sabina suona meglio di quanto non sappia il tedesco e non bastano Chopin e un prof. “diverso” se tutto il resto è un mondo alieno.
Uno che quando sente Sabina suonare con la mano fresca e un po’ esitante di ragazza di sedici anni il Preludio op. 28 n.15 di Chopin sul piano della scuola, si ferma attento ad ascoltarla, senza badare se l’aula è vuota e si rischia di passare per pedofili chiudendo la porta rispettando il silenzio che la musica esige. Sabina è timida, incerta, irresoluta, non inserita nel gruppo come le altre, grandi occhi verdi sempre sul punto di riempirsi di lacrime. Il prof. le chiede una definizione della parola “fallito”, vuole che parta dalla forza delle parole per imparare a combattere nella vita. Ma Sabina suona meglio di quanto non sappia il tedesco e non bastano Chopin e un prof. “diverso” se tutto il resto è un mondo alieno.
Allora apre con decisione
una porta e un lampo di luce abbaglia lo schermo. La notizia del
suicidio la darà il prof. di tedesco alla classe.
Vincitore del Premio
Fedora alla 70ª Mostra di Venezia, selezionato dalla
Settimana della Critica e candidato all’European Award, Rok
Biček, giovane regista sloveno, ha idee chiare e coraggio,
quello che serve per non stare da nessuna parte e confezionare un
film indipendente capace di farsi strada da solo, con pochi mezzi ma
grandi idee.
Il consiglio è vederlo del
tutto sguarniti di letture precedenti, notizie sull’apparato
critico, note di regia e quant’altro. È utile esercizio lasciarsi
guidare solo dalla visione pura, cercando di indovinare dove siamo,
con chi siamo, chi e cosa ricordiamo. Benché i nomi mettano sulla
strada giusta (Zdenka, Sasa, Nusa, Matjaz, Tadej sono
inconfondibilmente slavi) ci sono anche Sabina, Robert e Chang ad
aprire scenari interetnici ormai consueti in una scuola che non si
trovi nel sud del mondo.
Possiamo quindi
tranquillamente riferire a noi, o a chiunque viva al di qua del
cosiddetto 38esimo parallelo, quell’esemplare scontro generazionale
fatto crescere, maturare ed esplodere in una qualsiasi high school
mediamente attrezzata, popolata da alunni normodotati e guidata da
dirigenza e corpo insegnante dai requisiti standard, cioè
pienamente rispondenti ai parametri richiesti per assunzioni che poco
spazio lasciano al merito, molto ad asettici punteggi di anzianità
di servizio, numero di figli, vecchi nonni disabili a carico e varie
ed eventuali.
Se in un corpo scolastico
così composto arriva l’insegnante “diverso”, e per diversità
non intendiamo colore della pelle o fede religiosa, diverso è chi
ancora crede si possa insegnare a pensare con la propria testa,
allora la defliagrazione è inevitabile, alle porte, pronta ad
esplodere.
Il suicidio di Sabina
innesca tutto il circo mediatico dei pregiudizi che diventano metro
di giudizio, fa diventare Vangelo i mormorìi del giorno prima, il
gossip da corridoio o spogliatoio assurge al rango di verità
conclamata. In un clima di sospensione
che sta tra Seidl e Haneke ma se ne distanzia per una
solida asciuttezza di tono, refrattario a simbologie, metafore e
retrogusti vari, Biček sa trasformare la biografia in storia,
conducendo con mano sicura la macchina in un kammerspiel che
non dà tregua a nessuno dei personaggi in scena, mentre dosa
sapientemente la dialettica che è l’anima del film
(insegnante/classe, scuola/famiglia, vecchi/giovani, giovani/giovani)
costringendo a rifiutare il cosiddetto “partito preso”. Ragioni e torti stanno da
entrambe le parti, restituirci una capacità di giudizio critico è
impresa prometeica e, come Prometeo, si rischia la rupe del Caucaso
per trentamila anni. Insegnare tedesco, essere
molto esigenti (davanti alla parola in tedesco va l’articolo,
neanche la Preside può ignorarlo!) non ricorrere a facile populismo
e ridicolo giovanilismo per blandire chi un tempo terrorizzavamo e
ora ci fa paura, tutto questo apre ad accuse che vanno dall’essere
nazista al sospetto di pedofilia, dal sadismo a chissà quale altra
perversione.
Biček chiude in una
bolla trasparente ma impenetrabile il conflitto, che così diventa
modello di comportamento sociale ad ampio raggio, esportabile a
qualsiasi latitudine. È la morale/immorale dell’orda, della muta,
per mutuare il termine da Canetti che per primo ne studiò i
meccanismi (Massa e potere, 1960). Specchio di un mondo
esterno da cui i protagonisti hanno assorbito tutto il corredo
mentale e comportamentale di cui sono portatori, la scuola diventa il
ring di una partita molto combattuta con alterna vicenda. I
modelli sono tutti in vista, i colpi, bassi o regolari, sono comunque
colpi e c’è chi non li regge, come Sabina. Forse perché è una
figlia adottata, forse perché nessuno della classe è mai andata a
casa sua a trovarla, forse perché nemmeno la compagna di banco sa
niente di lei e il prof. le dice la cosa giusta, ma è troppo tardi,
forse per tutto questo Biček decide di uscire da quella
scuola solo per la gita scolastica di fine anno.
Sabina sarà con la classe
su quel battello che taglia l’acqua in una scia spumeggiante. Il
suo piccolo fantasma triste gira fra i compagni che strimpellano e
cantano, ma noi ascoltiamo Chopin mentre lei si ferma a poppa
a guardare il mare, verde, come i suoi occhi.
Paola
Di Giuseppe
Class enemy
Slovenia 2013, durata 112’
regia di Rok Bicek con
Igor Samobor, Natasa Barbara Gracner, Tjasa Zeleknik, Masa Derganc
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