…Gli
“altri” sono i suoi sei
personaggi (il
primo che fa: “in
cerca d’autore”
lo sfido a duello). Marionette sì, ma è facile dimenticarselo:
Francesca parla con loro, ne asseconda la vanità, ne contrasta i
capricci, fanno le primedonne e non è facile tenere a bada certe
teste di legno (di tiglio). Bello vedere i bambini seduti in prima
fila, per una volta non riservata alle tronfie autorità. Che oggi
comunque non ci sono, perché con le lignolae
figurae non
si accattano voti come col Cabaret-amore-loro, e le marionette poi
neanche votano (oppure sì, ne conosco tante…).
Ci
fossero stati sindaco-assessori-notabili, Francesca avrebbe
redarguito anche loro dal palco, dentro il grembiulone nero che mi
ricorda la mia maestra Emilia quinquennio ‘55-’60 del secolo
scorso: via quel telefonino, tu vedi di fare silenzio, giù quel
flash che poi non ci vedo. Scalpitano le marionette: Oscar, Visia,
Cole, pazientate che diamine, no Oscar, il pubblico non è in
smoking, quanto sei esigente, sì va bene, magari gli diamo un’aria
più presentabile… Francesca scende in platea, un set di pettinini
e una ravviata alle chiome del gentile pubblico qua e là… ops, il
signore in terza fila è calvo!... è irrimediabile ma non si
affligga, sa, succede anche ai migliori.
E’
il momento, giù le luci, voilà il teatro di figura, il “Varietà
prestige”: via il grembiule da maestrina, ecco l’abito
civettuolo, calzettoni a righe, bombetta, grammofono. Piccole magie
per scaldare i muscoli, il bimbo chiamato sul palco a far da spalla
scandisce ubbidiente cognomenome tuttoattaccato: Francesca lo fa
inchinare maneggiandolo con scherzosa ruvidezza come farebbe con le
sue teste di legno, applausi applausi.
Da
qui in avanti la scena appartiene alle marionette: docili ai fili
mossi con sapiente naturalezza, ecco il fascinoso pianista (“stiano
in guardia i mariti in sala”), mani seduttive per suonare il suo
jazz; la rossa Misia, chanteuse in rutilante abito da sera: assonanze
con la pantera (di Goro) che da Sanremo approdò a Brecht passando
per la Piaf (“Su
vieni qui, Milord/accanto a me, Milord/se hai freddo il cuor
vedrai/io ti riscalderò”)
; il rauco Fred, finto cinico dal whisky
facile (“Se
c’è una cosa/che mi fa tanto male/è l’acqua minerale/Per stare
bene/io bevo alla mattina/la nitroglicerina”);
la soubrette cioccolato dalle curve esagerate, ritmi africani e
movenze pelviche di epocale audacia nel suo “Banana Dance”, chi
altri se non la Joséphine Baker delle Folies Bergère; e il
mattatore, il Clown che strappa ovazioni e si slancia fino in platea,
si avvinghia al collo e si sbaciucchia con impeto le giovani signore…
Non
solo divertimento e garbata ironia: c’è in ognuna di quelle
marionette l’impronta dello studio attento, della cura filologica
che riproduce così il dettaglio somatico e i costumi, come i
contesti e le suggestioni di culture e tendenze incastonate nella
memoria collettiva.
Per
finire, messe a riposo le capricciose star, Francesca cabarettista e
trasformista diviene una perfetta Liza Minnelli in lustrini e
atmosfere anni Trenta “…Life
is a cabaret old chum/Come to the cabaret…”
I
bambini, scivolati dalla prima fila ai bordi del palcoscenico,
neanche respirano, completamente rapiti: più d’un genitore o nonno
ingaggerebbe Francesca & C. con un contratto domestico a vita.
Perché con lei si capisce che non è marziano rendere educati gli
ipernutriti ipercinetici pargoli: creatività intelligente e poesia
con un pizzico di cultura, invece di PlayStation e TV, e il gioco è
fatto. Alla lettera. Lo si capisce guardando l’allegra piccolissima
che sul palco, senz’ombra di noia o capriccio, osserva la mamma in
bombetta riordinare la valigia dei sogni a fine spettacolo e
rispondere alle nostre curiose inesperte domande. Impariamo anche noi
adulti: che il tiglio è il più adatto perché malleabile e
resistente; che le marionette sono state commissionate allo
straordinario artigiano praghese Jan
Rúžička:
ne constatiamo da vicino la precisa genialità del dettaglio, la
poetica espressività, la tecnica superba delle articolazioni.
Il
teatro-minimo per ora torna in valigia, con la tradizione antica
delle marionette: voci di una cultura millenaria che la maestria di
artigiani/artisti e la grazia di artisti/artigiani come Francesca
sanno ancora portare a occhi e orecchie disabituati alla semplicità
del bello. Ci fossero state, le autorità preposte ai circenses del
popolo votante, avrebbero potuto farne tesoro. Ma
non si son fatte vedere.
Sara
Di Giuseppe
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