Un
trio-quartetto straordinario. Ovvio. Da leggendario headhunter,
“cacciatore di teste” come dicono sia, Paul
Jackson i
più bravi li tiene a lungo per sé. Anche quando andavano di moda
nelle aziende, d’altra parte, i cacciatori-di-teste mica
distribuivano le loro scoperte sul mercato semplicemente stabilendone
il prezzo. Individuati i talenti migliori, li valorizzavano e se li
coccolavano, li mettevano spesso “in società” con loro. Con
successo, di solito. Scommettiamo che questo diventerà un quartetto
“stabile”, e il prossimo guest
sarà
magari un eccellente trombonista appena svezzato?
Paul
Jackson neanche ne avrebbe bisogno: bastano e avanzano, lui, la sua
profonda ruvida voce-strumento, il suo temibile basso elettrico (e,
da un po’ di tempo, quel suo nodosissimo bastone - immagino di
sequoia gigante). Non è “solo” JAZZ / FUNK morbido e potente:
ritmi rigorosamente scanditi con gentilissima violenza, invenzioni in
crescendo trascinate da sincopati esplosivi, gli assolo pieni,
corroboranti, sospesi su abissi di musica. Sono, anche e di più,
quei suoni “solidi” dalla fisicità agile, scattante. Eppure in
un certo modo “trattenuti”, quasi per non far male… suoni che
nella timbrica secca e tagliente appaiono concepiti per averne -
all’occorrenza - una scorta sempre abbondante e migliore, per
arrivare più in là e ancora più in là…
I
pezzi di Jackson, inconfondibili, potrebbero insomma non finire mai.
Eppure non c’è nulla di ripetitivo. Ogni tanto scoppia il
silenzio. Che, se sei entrato in sintonia, arriva esattamente quando
lo vorresti o te lo aspetti, profondissimo e stupefacente. Mai nessun
“vuoto”. Allora avverti l’energia che si carica, come un
elastico, mentre gli occhi si guardano , i respiri si coordinano,
l’onda d’urto si prepara, arriva.
Turbamento
intimo e squassante, che forse in CD non si percepisce appieno: Paul
Jackson bisogna averlo davanti, come qui al Cotton Club sotto
il muscoloso reticolo di tubi di rame dell’ex birrodotto. Paul
Jackson leone e domatore, sornione, sorridente, disinvolto,
rassicurante. Ma preciso e tellurico. Devastante, se lo volesse. Eh,
sì… per la “sua” musica ci vogliono i suoi artigli. Felpati.
Unici, tra gli umani.
PGC
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