07/12/14

Bennie Maupin e il Michał Tokaj Trio al Cotton Jazz Club: l’Imperatore che stupisce

Dopo tutto quello che ha fatto, in una vita che è già storia del Jazz, suonando con tutti i grandi e influenzandoli col suo talento – giovanissimo fu anche nel famoso Bitches Brew con Miles Davis – oggi è qui, in carne e clarinetto, sotto un cielo di tubi di rame nell’ex birrodotto al Cotton Jazz Club di Ascoli Piceno.
Aspettando, esamino attento e devoto la pregiata mercanzia di ottoni al centro del palco in penombra, con dietro il contrabbasso disteso su un fianco, ai lati la poco appariscente batteria dalla piccola cassa e ilpianoforte a coda lunga, nero con la riga bianca dei tasti - come i denti splendenti della pubblicità - illuminati radenti dal faro.
Troneggia su tutto il regale clarinetto-basso, magro e lungo come giraffa, ritto su una sola gamba come una gru, un po’ inclinato come se guardasse pensoso lontano…
Trenta persone si sono già da un po’ allineate in “platea”: lo zoccolo duro del Cotton Club penso, ma anche i molti che stanno chiudendo la cena nell’ala sopraelevata si accoccolano prendendo le misure tra loro. Sembrano tutti “mirare” il clarinetto-basso, ovvio. Mentre lungo il curvilineo bancone newyorchese le birre “lavorano” di continuo ed è giusto così, una gran serata Jazz ha bisogno di buon lubrificante… L’atmosfera è giusta, come sempre. Quando Bennie Maupin arriva ti viene in mente un imperatore. Saranno i suoi gesti al ralenti, lo sguardo al futuro, sarà la signorile modestia, sarà la calma. Dopo un inizio simil-classico in quieta agilità, sui sax, col “trio grigio” che accarezza gli strumenti valorizzandosi a turno ma senza spingere, dopo un secondo pezzo dalle sonorità alla Miles Davis, col piano avaro di note un po’ alla Meldau, la batteria soft quasi sempre sui martelletti e il contrabbasso esuberante ma silenzioso, finalmente Maupin prende il clarinetto-basso. Quasi basta il gesto. Il clarinetto-basso sembra destarsi, ondeggiando come un cobra. All’istante tutte le birre rimangono sui tavoli e sul bancone, inarchiamo le schiene come in palestra, aguzziamo orecchie e sguardi, registriamo “dentro” i suoni da foresta primitiva, dai pochi hertz vibranti e solitari, pieni come un’orchestra, perforanti e liberatori. Pezzi che iniziano un po’ camuffati, che non si capisce dove andranno a parare, ma che pian piano si “formano” e si scoprono e si semplificano, talvolta giocando alla milonga. Poi qualcuno lo riconosciamo, anche se i vecchi 33 giri, lassù in alto nella libreria, non li abbiamo più colpevolmente ascoltati. E quando Maupin si ferma per lasciar spazio al “suo” trio, appoggiandosi con dolcezza al clarinetto-basso, ecco che pare un imperatore…
Seconda parte del concerto, e ormai gli ottoni li ha provati tutti, ma Bennie sa che abbiamo ancora bisogno di note basse-bassissime: calde, vulcaniche, africane, misteriose, rare. Così ce ne regala ancora, gustosamente, e l’affiatamento col suo trio è la perfezione. Il “trio grigio”. Lo chiamo così perché vestono grigio, polacchi veraci senza fronzoli. E ragazzi formidabili, brillantemente non-convenzionali. Non sono spalla di nessuno. Né gregari. Il loro CD “The Sign” è profondo, futuribile, affettuoso, dal sapore di Cracovia.
Se Bennie Maupin ha scelto da tempo di vivere in Polonia, un motivo ci sarà.



PGC

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