“Tu
che ne pensi delle ragioni di chi protesta in Val di Susa?”. Inizia
così il film di Daniele
Gaglianone, vincitore del premio
Gli
Occhiali di Gandhi al
TFF
32. È
in didascalia,
un brano dal dialogo del
regista con un funzionario di
polizia durante le riprese, ma la domanda dovrebbe essere rivolta ad
un pubblico molto più ampio, a tutti noi, cittadini di un’Italia
mal informata e mal messa, che di questa piccola valle alpina, poco
conosciuta e poco frequentata, sa ben poco che non sia la
disinformazione sistematica propinata quotidianamente dai media più
gettonati.
Eppure questa popolazione, circa sessantamila valligiani sparsi nei vari centri del territorio, lotta da decenni e sta scontando sulla sua pelle le conseguenze della protesta. Stiamo parlando del NO TAV, movimento che si oppone alla costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione e dei suoi piccoli eroi del quotidiano, gente qualsiasi, massaie e impiegati, ragazzi e contadini, che lottano da anni per salvare la propria terra, la casa, la qualità della vita contro la giustizia ingiusta che scatena interi plotoni di polizia in tenuta anti sommossa a lanciare lacrimogeni e fare addirittura prigionieri.
Eppure questa popolazione, circa sessantamila valligiani sparsi nei vari centri del territorio, lotta da decenni e sta scontando sulla sua pelle le conseguenze della protesta. Stiamo parlando del NO TAV, movimento che si oppone alla costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione e dei suoi piccoli eroi del quotidiano, gente qualsiasi, massaie e impiegati, ragazzi e contadini, che lottano da anni per salvare la propria terra, la casa, la qualità della vita contro la giustizia ingiusta che scatena interi plotoni di polizia in tenuta anti sommossa a lanciare lacrimogeni e fare addirittura prigionieri.
Non
sembri esagerato e di parte, bisogna seguire per due ore Gaglianone
e il suo modo onesto di condurci sui
posti, di far parlare la gente qualsiasi, fuori da ogni retorica,
senza toni tribunizi, semplicemente registrando il cosiddetto stato
dell’arte in un territorio condannato a morte. Ci si convince
ancora una volta di quanto l'informazione e la partecipazione
politica siano dovere civile, non optionals
o, peggio, occasioni per perder tempo. Dieci
abitanti della Val Susa sono stati scelti a campione, il regista li
ha fatti parlare riprendendoli a casa o sui luoghi della discordia, e
il variegato mosaico di questa lunga storia si è man mano
ricomposto. Ognuno ha una storia da raccontare, la sua, ma diventa
ben presto storia collettiva e, insieme, parte di un collage
da cui affiorano le piaghe ben note di un Paese vissuto per decenni
sull’impunità e il malgoverno.
Appalti
truccati e dossier
spaventosi sull’impatto ambientale delle cosiddette Grandi Opere,
studi di settore che dichiarano il traffico passeggeri e merci in
forte calo lì dove s’investono milioni di euro per un’alta
velocità che non serve, anzi, farebbe danni enormi all’ecosistema
e alla gente, esproprio di terreni, taglio di boschi, dissesto
idrogeologico, sorgenti disseccate, alluvioni periodiche e frane: c’è
di tutto nei racconti della gente. Sfilano
davanti all’obiettivo persone semplici e tranquille che un bel
giorno, per caso, han dovuto vedere sul plastico, esposto da qualche
parte, la propria abitazione prossima ad essere chiusa in una morsa
fra autostrada e ferrovia; passano simpatiche massaie che, mentre
fanno il caffè, raccontano di quella volta in cui si sono incatenate
ai cancelli del cantiere e sono state lì per ore; giovani impiegate,
studentesse, operaie raccontano di posti di blocco dove, per passare,
bisognava mostrare i documenti, ogni volta, anche i bambini diretti a
scuola. Medio Oriente? Gaza? No, Val di Susa. E poi le cariche della
polizia, il capitolo più agghiacciante, incomprensibile affronto
alla protesta non violenta di un popolo che lotta per i propri
diritti. Fino alla detenzione di Chiara, Niccolò, Claudio e Mattia,
accusati di terrorismo e in carcere dal 9 dicembre 2013, per cui sono
stati chiesti dalla procura 9 anni e 6 mesi per un atto di
sabotaggio, avendo incendiato un compressore. Il
Tribunale di Torino sentenzierà sulla richiesta nei prossimi giorni.
Fare
una sintesi di tutto l’orrore che emerge da queste videoriprese che
hanno il sapore vero delle riprese amatoriali è impossibile. Video
caricati su you tube
soccorrono dove è utile documentare dal vivo, ma l’impatto forte è
proprio nei volti, nelle parole, nei racconti di queste persone. QUI
accade, qui è la parola che
sentiamo ripetere continuamente, qui è dove siamo tutti noi.
La
motivazione del premio al regista non poteva essere più pertinente:
“Per
aver saputo raccontare in modo onesto e diretto come una comunità
stia portando avanti da tempo una lotta per i diritti e i beni comuni
con molteplici strumenti nonviolenti. Una riflessione sulla
democrazia che rovescia gli stereotipi della politica e
dell’informazione.”
Italia
2014, durata 1h 55’
Paola
Di Giuseppe
Nessun commento:
Posta un commento