Troppo
evidente in campo la superiorità tattica, agonistica (e culturale)
dei giovanissimi fuoriclasse Ljuba
De Angelis e Filippo
Poderini,
pur in due contro i ventidue di Inter-Lazio, e fuori-casa e senza
propri tifosi al seguito. Inter e Lazio hanno poi patteggiato e
pareggiato 2-2, ma a lume di naso i (tele)spettatori (diciamo gli
incomprensibili interisti) non si sono granché divertiti. Almeno
quelli del Caffè Soriano, cui l’apericena
-
ma chi glielo ha dato ‘sto nome? - stava per andargli di traverso a
forza di trangugiare nervosi e alla cieca, il collo dolorosamente
ritorto verso i Panasonic XXL che trasmettevano la partita sulle loro
teste. Ma peggio si meritano. Non potevano, piuttosto, ascoltarsi in
pace “solo” il duo Amarchord?
Non gli sarebbe venuto il torcicollo, le loro orecchie avrebbero
goduto, si sarebbero perfino guardati in faccia, ammirato e gustato
cosa mangiavano... e magari pure l’apericena
cambiava
nome.
Ljuba
e Filippo hanno “giocato” una partita perfetta, senza bisogno di
allenatore, di arbitro, di schemi, di tattica e pre-tattica. Davvero
“non c’è stata partita”. Un po’ del loro repertorio
l’avevamo già ascoltato a fine agosto, in un’altra cena/concerto
- un destino! - allo chalet Rosa
dei Venti di
Grottammare (gli era toccato “giocare” contro i rumori estivi, e
anche lì avevano vinto): da Mina a Jobim, da Ivan Graziani ai grandi
francesi, dai Matia Bazar all’ultranoto plurinterpretato ma tosto
My Favorite Things
(sigla
di Fahrenheit), dal morbido Jazz simil-brasiliano agli standard
degli
anni 50-60-70 rivisitati con arrangiamenti freschissimi. Anche
stavolta li seguo da un angolo e, a partita e concerto terminati, ci
parlo un po’, faccio piacevoli scoperte sulle loro persone. Sulle
loro vite-export di ragazzi lavoratori e insieme musicisti quasi
professionisti: lei da 10 anni
commessa-volante/studentessa/insegnante di musica e canto a Parigi;
lui leccese, maestro elementare in Umbria (bambini da 3 a 8 anni, che
cerca di dirozzare anche nella musica). Messi così, quando si
“allenano”? Tutto a distanza. [Mica come quelli di Inter e Lazio,
che fanno continuamente finte partite sennò non si raccapezzano…]
Ljuba
e Filippo hanno passione talento e volontà. Semplice. Pare semplice.
Fosse per loro suonerebbero ogni sera. Già ad agosto, colpito dalla
loro candida bravura, e anche dall’insolita dimestichezza con la
canzone d’autore francese, ipotizzavo un invito dell’infaticabile
Gennari al “suo” prossimo XX
Festival Ferré di
San Benedetto. Riascoltandoli oggi, mi vien da pensare che farebbero
un figurone anche al Cotton
Jazz Club di
Ascoli, dove c’è gente che capisce. Magari in primavera, fuori
programma. Chissà se vorranno chiamarli. Credo che una loro
collaborazione, non episodica, sarebbe preziosa soprattutto per altri
affermati nostri musicisti. Penso a Daniele
Di Bonaventura,
intanto, il fine bandoneista di Fermo, qua vicino. Perché alla fine,
oltre alla bravura e alla compatibilità artistica, è questione di
feeling, di sensibilità, di gusto.
Già
l’immagino, la particolarissima voce-strumento di Ljuba duettare
(alla Paolo Fresu) col bandoneon di Daniele, specie sui pezzi di
grande intimità spirituale tipo quelli eseguiti col Vertere
String Quartet.
E la chitarra acustica di Filippo riempire quasi come un’orchestra
coi suoi inediti ritmi in controtempo, un po’ come fa - per capirci
- la chitarra di Roberto Taufic col clarinetto di Gabriele Mirabassi.
Guarda che pensieri mi vengono. Ma se è vero che l’Antico Caffè
Soriano porta bene, chissà…
PGC
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