C’è
guerra e guerra. La
prima guerra mondiale, trincea e filo spinato, ancora quasi un corpo
a corpo, e poteva capitare di “vedere gli occhi di un uomo che
muore”. La
seconda, si sganciavano bombe dagli aerei, il nemico era un obiettivo
strategico, ne facevi fuori anche migliaia per volta senza vederne
uno.
Infine,
le guerre d’ Oriente (Iraq, Afghanistan, Siria ecc.) , il nemico lo
devi guardare da molto vicino, dal mirino telescopico del fucile, e
continuare a guardarlo quando è steso a terra stecchito, per
riferire con burocratica precisione al superiore all’altro capo del
telefono tutti i dettagli dell’operazione.
E
questo anche se hai appena fatto a pezzi un bambino e, poco dopo, sua
madre, prima che lancino una granata al tank americano in
arrivo. Guerre di uomini, un tempo; guerre di uomini, donne e
bambini, oggi.
Quello
che fa la differenza, oltre a questo, è lo scenario, la cosiddetta
quinta di fondo. Se per vedere Berlino sventrata dovemmo aspettare l’
Armata rossa e i caccia americani e inglesi, e Dresda e Coventry
furono ben presto ricostruite pietra su pietra, di quelle megalopoli
della Mesopotamia o del Caucaso, dei deserti di Siria, Palestina e
Giordania, simili ad enormi discariche a cielo aperto, cosa sarà,
chi potrà mai ricostruirle o anche minimamente pensare che si possa
continuare a viverci? Luoghi che sembrano fatti per nascondere
cecchini, snipers.
Eastwood
e tanti come lui sanno che parlare di guerra oggi è soprattutto
questo, e se ogni guerra è una guerra sporca, c’è una guerra che
può esserlo ancora di più. L’aveva già capito più di un secolo
fa un grande economista russo, I.S. Bloch, quando in Modern
War and Modern Weapons scrisse:
“La
guerra del futuro sarà una guerra di assedi e posizioni radicate ...
La prima cosa che ogni uomo dovrà fare sarà scavare una buca.”
La
guerra che racconta American Sniper non è
dunque una novità, come per il Vietnam la fioritura cinematografica
è stata e continuerà ad essere fertile, è giusto che ogni grande
regista la racconti e lasci la sua visione a futura memoria. Com’è
accaduto per tutti i grandi eventi, le grandi tragedie dell’uomo, i
posteri daranno l’ardua sentenza. E, forse, continueranno a non
capire. Essere uno sniper, far parte dei Navy SEAL, corpo
speciale della marina americana (il Team 6 nel 2011 catturò Bin
Laden), ritrovarsi affibbiato il soprannome di al-Shaitan
Ramadi (“il diavolo di Ramadi”) e una taglia di 80 mila
dollari da parte dei ribelli iracheni, e infine, avendo totalizzato
160 nemici uccisi, occupare il primo posto nella classifica dei
migliori tiratori scelti americani, non è cosa che lasci la mente
sgombra da turbe, rimescolamenti, condizionamenti e quant’altro.
Eastwood
mette al centro un caso del genere, preso dalla realtà, Chris
Kyle, morto nel 2013 di una morte beffarda, ucciso da un reduce
fuori di testa quando ormai aveva svolto quattro missioni e trascorso
più di quattro anni in zona di guerra.Tornato da moglie e figli si
era ripreso a fatica la sua vita e si era dedicato al recupero dei
reduci. Sapeva cosa fare, ci era passato e la sua testa quadra
l’aveva salvato. Chris era stato uno sniper, prima
faceva il cowboy, domava cavalli, poi si era scoperta questa
“dote di natura”, una mira infallibile, e l’aveva messa a
disposizione della patria. O, almeno, di quello che la patria gli
faceva credere essere il suo dovere. Chris era un ammasso di
muscoli con un cervello lucido ma semplice, uno dei milioni di figli
di un’America in guerra perpetua che partono, spesso pieni di
spirito eroico e patriottico e, una volta lì, capiscono dove sono
finiti. Se riescono a tornare interi magari fanno anche una fine
assurda, come lui, se tornano a pezzi passano il resto della vita a
chiedersi come mai. Perché, nonostante sia trascorso ormai quasi un
secolo, il copione resta lo stesso, cambia solo lo scenario e per le
panoramiche occorrono filtri diversi alla mdp. E questo è tutto
quello che si riesce a pensare durante i 134 minuti del film. E
questo il regista vuole che pensiamo. Credo voglia anche che
riflettiamo sul fatto che, tra ventesimo e ventunesimo secolo, la
guerra è diventata anche un copione cinematografico, in questo caso
nato dall’acquisto della Warner Bros dei diritti del memoriale
scritto da Chris quando tornò dalla guerra, e che la finzione
dev’essere così finta da sembrar vera, brutale, realistica, come
esser sul fianco a fianco con i soldati.
E’
un modo onesto di parlare di guerra? Sì, è l’unico. Perché è
l’unico che nel mirino americano inquadri da vicino la faccia di
Mustafà, bello tanto quanto il suo omologo yankee, e
altrettanto micidiale. Un duello, dall’inizio della storia, ancora
Achille ed Ettore le mura di Troia. E Omero
apparteneva alla razza dei vincitori. Ancora un corpo sfracellato e
l’altro morto di morte beffarda. Ed erano i più belli, forti e
generosi. Come Chris.
Usa,
2014 durata 134’
di
Clint Eastwood
con
Bradley Cooper, Sienna Miller, Kyle Gallner, Luke Grimes
Paola
Di Giuseppe
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