Matteuccio
da Firenze a Silviuzzo da Arcore
Compare
mio caro.
Poi
che fu creato questo nuovo Presidente, ho avuto due lettere da voi et
due da messer Totto vostro: le quali mi richiedono che io operassi
che voi foste scritti tra i familiari del Presidente. La qual cosa
avremmo ottenuta, ma per il numero grande né lui né infiniti altri
son stati approvati dalla Camera, perché dicono che tanto numero di
familiari, i quali tutti possono ottenere benefici senza pagamento,
fa che gli uffici non rendono.
Nondimeno, passata questa furia che si fa in principio, tenterò di nuovo. Sono certo, compare, che tra voi medesimo direte che io mi sia dato da fare per la creazione di codesto Presidente: il che confesserò esser vero et procedere in gran parte da me.
Nondimeno, passata questa furia che si fa in principio, tenterò di nuovo. Sono certo, compare, che tra voi medesimo direte che io mi sia dato da fare per la creazione di codesto Presidente: il che confesserò esser vero et procedere in gran parte da me.
Spero
non stare molto a rivedervi, et duolmi potervi poco offerire perché
non posso né mai pensai avere a potere assai.
Raccomandatemi
a tutti gli amici. A voi mi raccomando.
Silviuzzo
da Arcore a Matteuccio da Firenze
Magnifice
domine orator.
Questa
vostra lettera mi ha sbigottito et doluto. Et quanto all’affare di
Totto, la mi dispiace, et vorrei che mi consigliassi se fosse a
proposito che mi raccomandassi al Presidente et gli scrivessi una
lettera, o se fosse meglio che voi faceste a bocca questo officio a
Lui, oppure se fosse da non fare né l’una né l’altra cosa, di
che mi darete un poco di risposta.
La
mia brigata, che voi sapete quale è, pare una cosa dispersa, et
tutti i capi di essa hanno avuto un bollore. Uno è diventato zotico
e fastidioso, uno è rimasto come un barbio intronato, uno sta come
una cosa balorda. Il magnifico Presidente lo troverete disposto per
naturale simpatia a farmi piacere: se dunque il caso mio verrà
maneggiato con qualche destrezza, credo che mi riuscirà di essere
adoperato, et se la magnificenza del nostro Presidente cominciasse ad
adoperarmi, credo che io farei bene a me, et utile et honore a tutti
li amici mia.
Matteuccio
da Firenze a Silviuzzo da Arcore
Silviuzzo,
compare caro.
Se
io non pensassi ai casi vostri, non penserei ai miei, et voglio vi
persuadiate di questo: che quando vi vedessi accrescere in honore et
utile, sarìa come se in me proprio venisse tal beneficio. Et ho
meditato meco medesimo se è bene parlare di voi al Presidente, et mi
risolvo di no perché non credo sarei un intermediario adatto tra voi
et lui, perché mi ha fatto qualche buona dimostratione di amore ma
non come avrei creduto. Per lo intanto, se avrò a fermarmi a Roma,
potrete ottenere licentia di venirci, et vedremo se potremo tanto
ciurmare che ci riesca di concludere qualche cosa; et se non ci
riuscirà, non ci mancherà trovare una fanciulla che ho vicino a
casa, da passare tempo con essa; e questo mi pare il modo che s’ha
a pigliare.
Silviuzzo
da Arcore a Matteuccio da Firenze come fratello honorando.
In
Firenze o dove fosse.
Magnifico
oratore.
Questa
vostra lettera mi fece nel principio smarrito et confuso; ma nel
prendervi confidenza mi è intervento come alla volpe, quando vide il
leone: che per la prima volta fu per morire di paura, la seconda si
fermò a guardarlo dietro a un cespuglio, la terza gli favellò. Et
così io, rassicuratomi, vi risponderò. Non per mio conto, che mi
sono acconcio a non desiderare più cosa alcuna con passione, ma per
vostro, pregovi che proseguiate nello imitare quelli che con
improntitudine et astuzia, più che con ingegno et prudenza, si fanno
strada. Ciò affermato, mi par conveniente farvi noto qual sia la mia
vita in Arcore. Per prima cosa, dove habito, perché mi sono
tramutato, né sono più vicino a tante cortigiane; la casa è assai
buona, et dalla casa s’entra in chiesa, la quale, per essere io
religioso come voi sapete, mi viene molto a proposito. In questa casa
sto con nove servitori, et oltre a questo, un cappellano et uno
scrivano et sette cavalli. Nel principio cominciai a voler vivere
lauto e delicato, con invitare forestieri, dare 3 o 4 vivande,
mangiare in argenti et simili cose; accorsimi poi che spendevo
troppo, senza cavarne miglioramenti, in modo che feci pensiero di non
invitare nessuno, et li argenti restituii a chi me li aveva prestati.
Se voi mi domandate se ho nessuna cortigiana, vi dico che n’ho una,
la quale è assai ragionevole di bellezza, et nel parlare piacevole.
Ho ancora in questo luogo, benché sia solitario, una vicina che non
vi dispiacerebbe, et benché sia di nobile parentado, non è aliena
da un certo genere di faccende. Voi sapete che io mi diletto un poco
delle femmine, et spesso qualche cortigiana viene a visitarmi per
vedere la chiesa et l’orto attigui alla casa dove abito. Et perciò,
quando abbiate a venirci, non voglio che alcuna remora vi trattenga,
perché di una semplice visita non sarete incolpato. Perché io
credo, credetti et crederò sempre quello che dice il Boccaccio: che
gli è meglio fare et pentirsi, che non fare et pentirsi. Quanto alla
politica, non so che dire, perché ho perduto la bussola. Matteuccio
mio, a questa vita v’invito, et se ci verrete mi farete piacere, et
poi ce ne torneremo a Roma insieme. E perciò stiamo allegri, et
segua quel che vuole.
Io
vi ringrazio di nuovo di tutte l’opere et di tutti i pensieri che
voi avete avuti per mio amore. Non ve ne prometto ricompensa, perché
non credo mai più potere far bene né a me né ad altri. Et se la
fortuna avesse voluto che il Presidente deliberasse questa gratia,
sarei stato contento. Pure, io non dispero ancora del tutto, et
quello che ha da essere, fia. Ricordatevi che io sono al piacer
vostro, et che mi raccomando a voi et all’eccellentissimo nostro
Presidente.
Cristo
vi guardi.
Matteuccio
da Firenze a Silviuzzo da Arcore
Caro
compare, non c’è momento ch’io non pensi in che modo si potesse
fare che voi ottenessi quella cosa che intra le altre più vi preme.
Se io fossi nella vostra condizione, scriverei una lettera, che
contenesse come voi vi siete affaticato tanti anni per acquisire
honore et utile, et che in l’una et l’altra cosa avete a tale
desiderio soddisfatto, ancorchè con disagi et pericoli vostri
grandissimi, di che voi ne ringraziate Iddio. Et fatto un simile
preambolo, io gli mostrerei qual è lo stato vostro, e che al vostro
desiderio di obtenere la gratia
non
si oppone altro che i cattivi modi et le perverse usanze dei tempi.
Valetevi, mentre che è il tempo, di questa riputazione: non avrete
infatti sempre a che fare con dei poveri di spirito. Pertanto non
mancate a voi medesimo, et io vi conforterò: perché il tutto
consiste nel domandare audacemente, et mostrare mala contentezza non
ottenendo; et i nuovi eletti si piegano a far nuovi piaceri temendo,
col negarli, di perdere i benefizii passati, et sempre corrono a fare
de’ nuovi, quando sono domandati in quel modo che io vorrei che voi
domandaste questo.
Compare
mio, io so che questa lettera vi ha a parere sanza capo né coda come
uno pesce pastinaca, perchè queste gran girandole et intrighi et
accordi et tregue che a questi giorni sono seguite, non me le posso
riordinare nel cervello. Tuttavia, non ebbi mai cosa più grata che
la lettera vostra, alla quale non manca che la vostra presenzia et il
suono della viva voce, et parmi essere ritornato in quelli maneggi
dove tante fatiche ho durato et per tanto tempo. Perciò vi prego mi
abbiate per scusato, et facciamo dunque un lieto carnesciale.
Iddio
vi guardi.
Saretta
de' Giuseppini
Spudorato
saccheggio da:
Niccolò
Machiavelli
Lettere
a Francesco Vettori e a Francesco Guicciardini (1513-1527)
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