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febbraio di 70 anni fa, Carnevale. Alle 22.08 l’allarme aereo
interrompe i clown del Circo Sarassini nel carosello finale del
martedì grasso e spinge gli abitanti di Dresda nei rifugi:
compostamente, in fondo l’ultimo bombardamento risale a mesi prima,
e non è stato granchè. D’altra parte, perché prendersela con la
più bella città tedesca, colta luminosa città del mondo lontana
dalla tenebra nazista…
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febbraio 2015, di nuovo Carnevale. Da Praga il treno per Dresda è
lento, due ore di ovattato scivolare tra campi, villaggi, casette per
vacanza sul fiume che ad Ústí
nad Labem
e
Děčín
è
già Elba. E qualche fabbrica, certo. Cielo grigio e basso che si
rompe via via, l’arrivo è un trasparente azzurro di vento gelido
che spezza il respiro e piega le spalle. La luce inonda, dalla cupola
in fibra di vetro e teflon, la Stazione Centrale, la magnifica
Dresden Hauptbahnhof: funzionalità e gusto amalgamati dalla sapienza
di chi ricostruisce dall’antico avendone fatto tesoro. Sembrano
freschi di fabbrica, i tram che scivolano rapidi e silenziosi; agili
le bici dalle selle altissime, gente d’ogni età pedala nelle
folate gelide, perfino senza berretto o guanti, e pensi ai nostri
lungomari tiepidi anche d’inverno ma deserti di bici “perché fa
freddo”…
E’
struggente questa città dilaniata e arsa e risorta: vi aleggiano le
ombre dei bruciati, dei soffocati, dei volatilizzati dalla tempesta
di fuoco, Feuersturm
da
300-400 gradi centigradi al suolo; i turisti in falangi compatte
dietro le guide si fanno riguardosi mentre percorrono gli itinerari
canonici, costeggiano piano le architetture severe, tendono
l’orecchio all’eco sommessa della tragedia remota. Il sole
discorre con le pietre scure, i massicci volumi barocchi si slanciano
con leggerezza inattesa nello spazio dilatato delle piazze, si
offrono alla vista dall’altra sponda dell’Elba lento e azzurro;
il rigore teutonico si attenua nella luce romantica della Brühlsche
Terrasse, nella colorata genialità dei giubbotti da lavoro
arancio-fluo “indossati” dalle monumentali statue sulla cornice
del Landtag; nel pannello sulla facciata dell’Accademia d’Arte
Moderna col goethiano monito - di sconvolgente modernità – del
West-östlicher
Divan: “Il
paese che non protegge gli stranieri, presto sprofonda”;
nei versi dello schilleriano Die
Künstler rivolti
agli artisti: “La dignità
dell’uomo è affidata alle vostre mani / serbatela! / Con voi essa
affonda, con voi si eleverà!”,
su un edificio in restauro; nell’incredibile mimo pietrificato (con
cane finto) - come la sua sciarpa sollevata dal vento - nell’atto
del camminare svelto. Indicibile Dresda, violata a morte nel settimo
anno di una guerra perduta, riedificata sulle proprie ceneri per
essere monumento eterno all’umana mostruosa follia. In treno verso
Praga, confronti, sensazioni. Bellezza, armonia, magnificenza,
quiete, si sono date appuntamento come fate benigne nelle due città
vicine e diverse, cui la storia non ha fatto sconti. A Dresda la
severa, ci si accosta con reverenza, ombre antiche e recenti abitano
le sue pietre, navigano il suo Elba carico di passato e di storie.
Praga si illumina della sua incomparabile superba bellezza,
dell’infinito merletto delle sue architetture, della Vltava che le
scorre in grembo cantando il poema sinfonico di Smetana. Dresda,
mi dice Kristynka sorprendendomi, è i possenti massicci alpini
incombenti della Valle d’Aosta; Praga, lo svettare aereo delle
Dolomiti quando tramonti e albe le tingono di rosa.
Sara Di Giuseppe
Foto: Cristina Camaioni
Sara Di Giuseppe
Foto: Cristina Camaioni
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