Gino
andava sempre insieme con altri, non ai partiti ma agli spartiti,
scambiando musica con altre note, note solo a pochi, forse a poeti e
non agli echi. Dirgli silenzio era fargli un torto perché esso
svanisce e vanifica nel rumore dei suoni masturbati del quieto e
silenzioso pulpito, salito in cattedra dai banchi gonfi di soli
uomini. Donne non ve ne sono in quei scranni sbiancati dalle troppe
scommesse fatte a sproposito e indifferenti alla parola non
accompagnata da conoscenti e amici prossimi, che di approssimativo
hanno il loro esistere in aere. Gino e gli altri Silenzi andavano in
tandem come un amen si approssimavano al successivo viaggio nel tempo
delle mezze stagioni: in-verno, prima-vera, est-ate, aut-unno. Questo
resta come e sempre più di prima nel dirci le stesse cose, come case
enormi che mai restano diseguali dalla linea curva e indivisa come un
serpente che si snoda nel doppio groppo della parola. Utile gatta
buia a doppia mandata, dove la chiave si perde nei tombini delle
nostre tasche. Il Silenzi andava sempre con l'altro, quando cugini di
colore mal colorati si celavano in edifici periferici e poco cubici.
Sbancavano i muretti quando potevano attendere in silenzio ammutoliti
da senza gloria e poesia. Ma fratello cosa vuoi? È solo silenzio tra
noi e solo le stelle possono scendere per rompere questo fracassato e
mai rotto silenzio. I nostri fragori sono fuori, a dar prova del loro
nulla.
Francesco
Del Zompo
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