29/06/15
13/06/15
Roma. Forum Austriaco di Cultura. Schumann e Brahms per il "Mahler Quartet". Dietro ogni grande uomo [anzi due] c'è sempre una grande donna
Il
detto del titolo, pur reazionario, coglie con esattezza la "presenza"
di Clara
Wieck
(maschilisticamente più conosciuta come Clara
Schumann!)
nel Quartetto
op. 47 di Schumann e
nel Quartetto
op.25 di Brahms: per
quel che era concesso alle donne in quel tempo, Clara non è solo
dietro ma
sopra,
prima,
dentro,
fino a riempire di significati ciascuna nota, ogni accordo dei due
Quartetti.
Nell’intelligente,
intrigante chiusura della Stagione Musicale del Forum
Austriaco di Cultura di
Roma, col suo programma ben pensato…pensando a Clara Wieck
Schumann, i giovani interpreti del Quartetto
Mahler
colgono in pieno questi elementi. Nel restituirci il senso profondo
della presenza di Lei nelle due composizioni, essi rivelano una
maturità artistica inconsueta per la loro età: non solo
nell’affrontare gli aspetti formali, talora non semplici, delle
esecuzioni, ma soprattutto nella conoscenza profonda del contesto e
dei protagonisti della vicenda umana ed artistica: Clara,
Robert, Johannes.
Nel
Quartetto di
Schumann la
presenza di Clara è totalizzante ("E’
il tuo ritratto"
dirà il compositore alla moglie): nel Primo
movimento l’instancabile
pianoforte sostiene efficacemente gli archi e con discrezione ne
sottolinea i colori e i timbri; oppure esce con frasi lunghe quasi
autonome, armoniche, a volte percussive. Mirabile la padronanza
tecnica dei quattro musicisti che,
nel secondo
movimento, creano un contrappunto veramente vibrante anche nelle
frasi intermedie tra i velocissimi insiemi dello “Scherzo”
con il suo
ossessivo ritmo iniziale ripetuto più volte per il quale c’è
bisogno che gli attacchi siano perfetti per marcare con decisione lo
stacco dalla sezione precedente.
Ma
è soprattutto nel Terzo
movimento che
gli interpreti sanno cogliere l'intimità fra i due con il segno
elegantissimo del pianoforte, tipico delle composizioni di Clara, che
si avvolge come morbida seta lungo l’intero percorso del movimento.
Nella struggente introduzione alla melodia del violoncello, colma di
tenerezza, si lega quella del violino che "racconta",
ripetendo la stessa frase, la storia dei due sposi inimitabili con le
parole più dolci che l'amore possa suggerire.
Qualche
istante di dialogo tra i due archi ed ecco il pianoforte - che sempre
ha unito i due nella musica, nella vita e nell'amore - dipinge
l'affresco intimo delle ore in musica trascorse insieme: vi si coglie
lo sguardo ammirato di Robert rivolto all'ottima compositrice, alla
eccellente pianista che sa interpretare nel più profondo l'animo in
musica del marito. E quando, prima del sussurrato
finale, la viola della minuta e dolce Yushan Li riprende il tema
iniziale, la grazia e la morbidezza dello strumento lasciano
assaporare a fondo il piacere di una intimità che vorresti fosse
tua. Nel Finale
abbiamo la
cifra esatta della qualità interpretativa: perché è qui che i
quattro musicisti austriaci dispiegano interamente le abilità
solistiche di cui sono indiscutibilmente dotati.
Da
un’esecuzione così matura ed emozionante esce nitida l'immagine di
Clara che dell'anima contrastata di Robert sapeva cogliere ogni
risvolto: dalla contrapposizione Eusebio-Florestano
(personaggi ideali che Schumann usava per “umanizzare” le proprie
composizioni, oltreche per firmarle) a tutte le contraddizioni che
dentro di lui si combattevano. L’ amore e l’odio, il bene e il
male, la felicità e la tristezza, il sentimento e la ragione. E in
mezzo, a fare da paciere, il terzo lui di Schumann: il ponderato ed
equilibrato Maestro
Raro, o
forse Clara stessa?
Clara
poteva leggere, nelle pagine pianistiche del marito, quanto esse
fossero dettate dall’amore per lei e dal bisogno di evocarne la
presenza. Clara, angelo ispiratore, e tale sarebbe stata per sempre.
Clara, che vince la feroce ostilità paterna verso Robert, che gli
dona otto figli, che è acclamata in tutta Europa, che è l’unica
donna docente di pianoforte al Conservatorio di Francoforte (dove
sono ammessi solo uomini): Clara, che porta il genio Schumann
all'umanità.
E
Clara sarà protagonista, vent’ anni dopo, anche per Brahms nel suo
Quartetto
Op.25.
Qui
il Quartetto Mahler realizza il giusto equilibrio tra la musica
sublime di Brahms - coi
colori delle sue caratteristiche lunghe frasi spezzate “non
condotte a soddisfacente conclusione tonale, ma armonicamente deviate
con nuove modulazioni” *,
i contrasti timbrici generati dall'inseguirsi degli accordi, quasi
delle fughe (se
Schönberg
ne fece una versione orchestrale fantastica non fu per caso!) - e le
ispirazioni pianistiche che profumano
di Clara.
L’impetuoso
fiume di note del Primo
movimento fluisce
inarrestabile dal pianoforte, come nell'Allegro
Maestoso del
Piano
Concerto in A minor, Op. 7 di
Clara. Nell'Allegro iniziale
il piano apre il tema portante di tutto il movimento - con le sue
quattro note che ne sono la cellula primigenia - al quale si
aggiungono, uno ad uno, gli archi. Nei temi successivi le figurazioni
pianistiche e quelle degli archi dialogano in contrappunto e ritmo
tessendone il grandioso sviluppo, fino a smorzarsi nel Pianissimo
finale.
Nell’Intermezzo,
con esatte pagine sognanti e dolcemente malinconiche gli interpreti
rendono la delicatezza di frasi pianistiche che – col loro
contrappunto dai toni più scuri (anche drammatici e tanto cari a
Johannes) - evocano la dolcezza, quasi un lied, del terzo movimento
del Trio
per piano Op.17
di Clara,
La
"promenade" pianistica del Terzo movimento (Andante
con moto),
che ricordale le Tre
Romanze per violino e piano Op. 22 di
Clara, evoca nitidamente le lunghe passeggiate dei due, uniti nel
ricordo di Robert. Perfetto equilibrio tra le parti anche se si può
avere l’impressione che il piano reciti un proprio monologo
disgiunto: colore allo stato puro. Nulla di melenso o decadente: al
contrario, i due primi temi sono vigorosi, quasi orchestrali, pur
mantenendo l'espressione melodica che dall'inizio tornerà, poi,
nella parte finale.
Nel
Rondò
alla zingarese dell’ultimo
movimento, ecco un tripudio di colori e ritmi contrastanti –
velocissimi o lenti e malinconici – proprio alla maniera “tzigana”:
l’esecuzione dei quattro del Mahler è un fuoco d’artificio che
dissemina il cielo di miriadi di faville.
Bastava
chiudere gli occhi, questa sera, per “vederli” - Clara, Robert,
Johannes - e convenire con ciò che acutamente osservava un anonimo
commentatore inglese:
“I moderni
biografi si interrogano sulla rozza, irrilevante questione del loro
eventuale rapporto sessuale, come se solo i due corpi che si
incontrano stabiliscano il grado dell’amore. Ogni volta che ascolto
gli Intermezzi di Brahms, invece, io li immagino seduti in un
giardino, in una fioritura tardiva di rose e nere cascate di foglie,
lasciando che sia l’orizzonte a parlare per loro, senza permetterci
di spiare le loro parole d’amore".
Francesco Di Giuseppe
*
M.Mila: “Storia della musica”
*
Anonimo
da wikipedia
10/06/15
20° Festival Ferré: l'uttiano omaggio di Pier Giorgio Camaioni, "Vingt ans"
Da una canzone di Leo Ferré nascono solo fiori, come da quelle di Fabrizio De Andrè. Poi ci sono modi e modi di raccontare venti anni di un festival prestigioso e prodigioso. Pier Giorgio Camaioni ha preso Vingt ans, mitica canzone di Leo e, sulla base delle traduzioni sparse di Giuseppe Gennari e Francesco Tranquilli, ne ha tratto una storia. Questa.
Vingts ans (*)
Solo vent'anni tra le mani
le strade piene d'auto,
protetti dagli air-bag,
gli sguardi fissi sui vetri.
L'amore è per un po',
che dura il tempo di un aperitivo,
di un jeans bucato, di una sbronza
e per il resto non importa.
Solo vent'anni in un teatro,
morto un Ferré avanti un altro...
non è vero, stiamo imparando
il Ferré usato non esiste.
La nostra gioia più ricorrente
ad ogni giugno ricomincia
e suonerà ad ogni Festival
come una sveglia accanto al letto.
Solo vent'anni tra le mani
non ci facciamo bei discorsi
che ci invecchiano i denti
che ci annoiano i ricordi.
Solo vent'anni, ma in tre giorni
come una vita in due settimane
come un bosco dentro una rosa
come una danza in un passo.
Pier Giorgio Camaioni
(*) libero saccheggio da Ferré, Gennari e Tranquilli
Lo splendido manifesto è di Sergio Staino (of course)
09/06/15
08/06/15
Monica Ferrando al Forte Malatestiano di Ascoli Piceno dal 27 giugno al 13 settembre 2015
L’oro
e le ombre
“Sono
nata dentro quella parte dell’Italia del nord nota un tempo come
triangolo
industriale…
mia madre mi parlava di Raffaello, che aveva l’anima
divina…
mio padre mi comprava i fascicoli dei Maestri
del colore…
ai tempi delle elementari frequentavo la scuola pomeridiana di
pittura, tenuta da un pittore, ‘il Signor Luca’”.
Monica
Ferrando ha studiato pittura a Torino, poi a Berlino con il pittore
astratto Frank Badur. Ha esordito nel 1992 a Mantova con una mostra
intitolata Kore,
presentata da Ruggero Savinio. In seguito ha tenuto mostre personali
a Gelsenkirchen-Buer, Firenze, Milano, Scicli, Francoforte e ha
partecipato a varie mostre collettive, tra le quali la Biennale di
Venezia del 2011. Nel 2001 suoi pastelli sono entrati a far parte
della collezione del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli
Uffizi. Nello stesso anno ha ricevuto il Premio per la Pittura
Tarquinia-Cardarelli. Ha pubblicato studi su Poussin, Bellini,
ShiTao, Arikha. Una monografia sulla sua opera è stata pubblicata da
Moretti & Vitali nel 2000. È autrice, con Giorgio Agamben, della
parte pittorica del libro d’arte La
ragazza indicibile. Mito e mistero di Kore,
Electa 2010, tradotto in diverse lingue. Dirige la rivista online De
pictura.
Parallelamente agli studi di pittura, Monica Ferrando ha coltivato
gli studi filosofici, a Torino e Berlino.
L’oro
e le ombre
raccoglie opere quasi tutte recenti, olî, pastelli, inchiostri.
“Pensare all’oro in pittura - scrive l’artista - è ritrovarsi
all’improvviso tra le ombre”. L’oro, nella pittura di Monica
Ferrando, volta alla verità dei colori, configura una sorta di
scheletro
ontologico delle cose,
istituisce una dimensione invisibile del visibile, divenendo, scrive
ancora l’artista, “se non un atto religioso, un atto filosofico”.
Come per Ruggero Savinio, il mito rappresenta per Monica Ferrando il
nucleo fondamentale della pittura - “le favole antiche hanno
trovato nella pittura la cittadinanza che sarebbe stata loro negata
dalla storia” - è attraverso le favole
antiche
che la pittura trae le proprie immagini alla fine di un cammino lento
e oscuro, come una gestazione. Qui l’oro non è il punto di arrivo
dei colori, ma il loro punto di partenza, il loro fondo nascosto.
Il
catalogo della mostra, edito dalla casa editrice Quodlibet, contiene
testi di Victoria Cirlot, Monica Ferrando, Clio Pizzingrilli.
a cura di Clio Pizzingrilli
Inaugurazione
della mostra il 27 giugno alle ore 17
01/06/15
Il numero 49 di UT: La città
Tra Boris Bilinsky, l’artista che illustrò la locandina del film Metropolis di Fritz Lang, e Francesco Del Zompo, rivisitatore di quei tratti famosissimi e art designer di UT, passa "La città".
Il tema n. 49 della storia uttiana, merita di essere raccontato dai collaboratori. Aspetteremo le vostre proposte fino al 30 giugno. Scrivete, please!
(Ovviamente l'immagine è di Francesco Del Zompo)
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