UT non è solo una rivista d'arte
e fatti culturali, è un mondo a parte, quasi un'isola. UT non ha
padrini né madrine. Vengono pubblicati i racconti e le poesie di chi
sa scrivere e ha qualcosa da dire (scrivere bene, da solo, non
basta). A UT piacciono le contaminazioni, gli stili personali, le
idee diverse, la libertà creativa e chi sa destare emozioni in chi
legge. UT non ha numeri di pagina. È una rivista stampata su
cartoncino pregiato delle Cartiere Fabriano e della Fedrigoni. Per le
nostre pubblicazioni usiamo tre tipi diversi di carta che, alla fine,
danno gioia e piacere anche al tatto. UT edita in ogni numero
un'opera d'arte originale, contrassegnata in numeri romani per i
collaboratori, in numeri arabi per chi vuole acquistarla. UT si
“annuncia” sempre, e a ogni “annunciazione” si fa
accompagnare da musicisti, attori, fini dicitori e artisti d'arte
varia. UT è UT, il resto è mercanteggiamento. UT è aperta a tutti
e tutti possono collaborare... al resto pensiamo NOI.
22/08/15
18/08/15
Scoperto UT, il nono pianeta del sistema solare: è dieci volte la terra. Finalmente si sono accorti di NOI
Un
enorme pianeta, dieci volte più grande della Terra, potrebbe
orbitare intorno al sole ai confini del Sistema Solare. È
l’incredibile scoperta alla quale sono giunti alcuni ricercatori.
E
in molti sarà forte il mitologico richiamo al ‘pianeta nascosto’.
I
ricercatori hanno individuato un pianeta nano chiamato Uttiano-2012 VP113,
e altri 900 oggetti, in orbita in una formazione simile.
Uttiano-VP113
è stato osservato la prima volta nel novembre 2012 e annunciato solo
poco tempo fa. E ‘il pianeta nano più lontano in orbita intorno al
nostro Sole. Ha un diametro di circa 450 km e si trova al di là
della zona ricca di comete conosciuta come ‘cintura di Kuiper’,
in una regione al limite del sistema solare chiamata Nube
di Oort.
Uttiano-2012
VP113 è circa la metà del diametro di un altro pianeta nano, Sedna,
scoperto una decina di anni fa, e si trova 80 volte più lontano dal
Sole rispetto alla Terra. Ed è nella somiglianza delle orbite di
Sedna e Uttiano-2012 VP113 che nasce la scoperta della possibile esistenza
di un ancora sconosciuto pianeta, definito ‘Super Terra’ per le
sue dimensioni, ai confini del nostro sistema planetario. e si dice
che sia retto da un organismo chiamato La Redazione. I due pianeti
nani sono tra le migliaia di oggetti che si crede formino la nube di
Oort interna e il fatto che abbiano un’orbita simile suggerisce la
presenza di un pianeta fino a 10 volte le dimensioni della Terra che
ne influenza il ‘comportamento’. Il dottor Scott Sheppard, della
Carnegie Institution, ha detto: ‘La ricerca di questi oggetti
lontani interni della nube di Oort al di là di Sedna e Uttiano-2012 VP113
dovrebbe continuare in quanto potrebbero dirci molto su come il
nostro sistema solare si è formato ed evoluto. I
ricercatori hanno usato una fotocamera Dark Energy (Decam), nelle
Ande cilene, per la scoperta di Uttiano-2012 VP113 (che si dice sia retto
da un organismo chiamato La Redazione). Hanno quindi utilizzato il
vicino telescopio Magellan per determinare la sua orbita e ottenere
informazioni dettagliate sulla sua superficie.
Il
pianeta nano Sedna 90.377 è stato scoperto nel 2003. Ha un’orbita
simile alla recente scoperta Uttiano-2012 VP113.
Le
due orpite messe insieme, secondo lo studio Carnegie, indicano la
potenziale presenza di un pianeta enorme, fino a 10 volte le
dimensioni della Terra, ad influenzare l’orbita di questi due
pianeti nani.
I
risultati sono pubblicati sulla rivista Nature.
Copiato
(letteralmente e non) da www.voxnews.info
15/08/15
Il nuovo "must" uttiano: Annunciazione, annunciazione
A metà degli anni ''70, l'affermatissimo trio "La smorfia" diede vita a uno degli sketch che contribuirono a renderlo immortale. Lello Arena era il semi-cieco arcangelo Gabriele che, inviato da Dio sulla terra per dare la buona notizia della gravidanza a Maria, sbaglia completamente indirizzo e la porta (sempre la notizia), a una ignara moglie di un pescatore, Massimo Troisi (la moglie e non il pescatore). Gioco degli equivoci comicissimo (Enzo Decaro, cherubino, viene scambiato da Troisi per un venditore di libri), lo sketch passò alla storia per il tormentone "Annunciazione, annunciazione" che Lello Arena urlava, aiutandosi con il suono di una trombetta, a Massimo Troisi scambiato per Maria. Ironia soft e per nulla blasfema, lo sketch, che si intitolava ufficialmente "Natività", prendeva lievemente in giro la religione con un tono tanto sostenibile che non costò nulla al trio che, considerati i tempi, avrebbe rischiato la galera per vilipendio alla religione di stato. A distanza di quarant'anni, UT ripropone "Annunciazione, annunciazione" perché stanca e ossessionata dal termine "presentazione". Oggi tutti presentano tutto, non solo l'amante alla moglie spacciandola per la cugina, ma anche quelli che scrivono cose destinate solo a disboscare impunemente i boschi e la foresta amazzonica (cellulosa a gogò). Per non cadere nel tranello dei termini usati [a sproposito], UT ha deciso di rinverdire l'arcangelo Gabriele interpretato da Lello Arena. Infatti, iniziando dal numero 50 cominceremo ad Annunciare e non più a Presentare. Ogni velleità profetica, però, è rigorosamente bandita.
09/08/15
Riflessioni dopo le 16 e 35. La storia dell'ultimo viaggio di un cane raccontata dal suo "padrone"
Ci si lascia involontariamente, controvoglia, a malincuore, a volte è naturale, a volte è contronatura, delle volte il distacco avviene col nostro consenso, a volte liberando il nostro corpo. Ma è strano, è dato a pochi la conoscenza diretta del ‘distacco’, quello definitivo. Ha dei colori non proprio accattivanti, violacei, sangue misto a terra e dei suoni impercettibili che superano le nostre percezioni più comuni. Ha uno sguardo maturo, severo, mai appagato del nostro, quasi un rimprovero alla nostra permanenza. No, è solo un richiamo che ti lascia attonito.
Sì, ho visto il mio cane morire in braccio alla sua intoccabile padrona, mia moglie, che fu fatta sorella e madre prima che se ne accorgesse l'anagrafe. Lui era un orfano già maturo di 2 anni e da allora ne ha passati 15 con noi, o poco meno. Allora aveva già i segni della sofferenza, della lotta tra simili incattiviti dalla prigionia più o meno vigilata. L'amore e la tenerezza la conoscemmo insieme a lui, con le mie piccole figlie, e per loro fu un toccasana, una guida di responsabilità e libertà insieme. Prendere un animale in casa è a rischio di surrogazione di qualche altra presenza assente. Non fu così per noi. Piuttosto un compagno di viaggio e gite 'fuoripista' che altrimenti avremmo erroneamente evitato. Per me una presenza a volte scomoda, a volte rumorosa, a volte piacevole. Sì, insomma, come per delle persone 'altre'. Quindi uno di noi.
Dopo di lui ne tirammo fuori altri due dai canili, ma queste sono e saranno altre storie.
Rispolvero il testo sotto, scritto in un'occasione uttiana e dedicato anche a lui (come metafora delle difficoltà familiari e personali). Un omaggio a Billy 'il bello' (aggiungevo io i primi tempi), perché mi ha fatto conoscere alcune cose di me attraverso lui, e soprattutto di non avere paura di fronte alla morte. Circostanze che si imparano anche attraverso loro, animali come noi.
A sei zampe
Prima di fare questo mestiere ho esercitato, in un Circo, l’arte dell’equilibrismo. Sfilavo sopra il pubblico con piatti, bicchieri, sedie e sfere giganti tra le mani. Ho affinato l’arte del peso e del contrappeso ed eccoci qua a impaginare testi, immagini, disporre colori, cercando di dare un senso e soprattutto un giusto ordine e posto a tutto, magari eliminando o al contrario inserendo qualcos’altro perché il messaggio arrivi più forte e chiaro.
Ancora un passo e sono sulla porta di casa. Lascio le fantasie che mi hanno accompagnato per strada e accarezzo con lo sguardo mia figlia che mi saluta. In silenzio, con flemma e riverente cura dispongo le poche cose mancanti a tavola rispettando le priorità e gli ordini stabiliti.
Ora tu mi guardi, con gli occhi da attesa e mi scruti nei pensieri, cercando di carpirne una parola d’affetto, un gesto. Oh come siamo stati felici un tempo! Ci bastavano poche uscite al mese per ristorarci da tutto. Le discussioni, le pigrizie, le mancate carezze passavano e volavano via come frutti di tarassaco in estate. Scrollavamo le nostre pulci e via a divertirci sotto il primo sole che si affacciava. Senza badare a chiassose comitive, cercavamo il nostro spazio dove ruzzolare come gomitoli impazziti e male avvolti. Annusavamo l’erba da veri segugi, cercandovi presenze passate e lì strofinavamo i nostri corpi per lasciare il segno del nostro passaggio.
T’ho amato, anche se in silenzio, t’ho assecondato in tutte le tue manie, le tue capricciose stranezze che non finivano mai di appagarsi. Ce n’era sempre una da assecondare come rimasta in attesa dopo secoli di privazione. Ma le amavo un attimo dopo queste tue bizze, perché mi facevi partecipe della tua gioia e l’allegria prendeva il posto dei pensieri anche i più cupi. Riuscivi a trascinarmi, quasi come una renna fa con la sua slitta, dovunque potessi esprimerti in libertà. Gli spazi aperti come le salite più ripide, erano occasioni per spiegare la tua anima indipendente, leggera, solitaria ma con me al tuo fianco. Ora, mio spirito dolente, perché non rispondi più al mio cenno, al suono della mia voce, al flebile sibilo della mia bocca? Sù, muoviti ancora, lascia questo posto, articola le tue ossa malconce e che possano ancora correre su e giù per i gradini di questa casa. Beviamo insieme ancora qualche goccia dall’Oblio e a ritroso ricerchiamo le cose per la prima volta, così definitivamente distratti calchiamo nuovi fili d’erba, cresciuti a sconosciuto manto. Io e te, a sei zampe, ritroveremo l’arte dell’equilibrismo presso un qualsiasi Circo, ancora capace di scommettere su vecchi artisti della composizione scomposta, dell’equilibrio precario, dell’architettura senza travi, dei colori scoloriti e della fantasia contenuta. Vedrai caro amico, che il mio dibattere assieme al tuo abbaiare vedranno il silenzio solo dopo gli ultimi applausi.
P.S.: Trasmetto questa mail per gli amici che lo hanno conosciuto, o anche no, ma che hanno o hanno avuto una storia simile su cui riflettere.
Francesco Del Zompo
Sì, ho visto il mio cane morire in braccio alla sua intoccabile padrona, mia moglie, che fu fatta sorella e madre prima che se ne accorgesse l'anagrafe. Lui era un orfano già maturo di 2 anni e da allora ne ha passati 15 con noi, o poco meno. Allora aveva già i segni della sofferenza, della lotta tra simili incattiviti dalla prigionia più o meno vigilata. L'amore e la tenerezza la conoscemmo insieme a lui, con le mie piccole figlie, e per loro fu un toccasana, una guida di responsabilità e libertà insieme. Prendere un animale in casa è a rischio di surrogazione di qualche altra presenza assente. Non fu così per noi. Piuttosto un compagno di viaggio e gite 'fuoripista' che altrimenti avremmo erroneamente evitato. Per me una presenza a volte scomoda, a volte rumorosa, a volte piacevole. Sì, insomma, come per delle persone 'altre'. Quindi uno di noi.
Dopo di lui ne tirammo fuori altri due dai canili, ma queste sono e saranno altre storie.
Rispolvero il testo sotto, scritto in un'occasione uttiana e dedicato anche a lui (come metafora delle difficoltà familiari e personali). Un omaggio a Billy 'il bello' (aggiungevo io i primi tempi), perché mi ha fatto conoscere alcune cose di me attraverso lui, e soprattutto di non avere paura di fronte alla morte. Circostanze che si imparano anche attraverso loro, animali come noi.
A sei zampe
Prima di fare questo mestiere ho esercitato, in un Circo, l’arte dell’equilibrismo. Sfilavo sopra il pubblico con piatti, bicchieri, sedie e sfere giganti tra le mani. Ho affinato l’arte del peso e del contrappeso ed eccoci qua a impaginare testi, immagini, disporre colori, cercando di dare un senso e soprattutto un giusto ordine e posto a tutto, magari eliminando o al contrario inserendo qualcos’altro perché il messaggio arrivi più forte e chiaro.
Ancora un passo e sono sulla porta di casa. Lascio le fantasie che mi hanno accompagnato per strada e accarezzo con lo sguardo mia figlia che mi saluta. In silenzio, con flemma e riverente cura dispongo le poche cose mancanti a tavola rispettando le priorità e gli ordini stabiliti.
Ora tu mi guardi, con gli occhi da attesa e mi scruti nei pensieri, cercando di carpirne una parola d’affetto, un gesto. Oh come siamo stati felici un tempo! Ci bastavano poche uscite al mese per ristorarci da tutto. Le discussioni, le pigrizie, le mancate carezze passavano e volavano via come frutti di tarassaco in estate. Scrollavamo le nostre pulci e via a divertirci sotto il primo sole che si affacciava. Senza badare a chiassose comitive, cercavamo il nostro spazio dove ruzzolare come gomitoli impazziti e male avvolti. Annusavamo l’erba da veri segugi, cercandovi presenze passate e lì strofinavamo i nostri corpi per lasciare il segno del nostro passaggio.
T’ho amato, anche se in silenzio, t’ho assecondato in tutte le tue manie, le tue capricciose stranezze che non finivano mai di appagarsi. Ce n’era sempre una da assecondare come rimasta in attesa dopo secoli di privazione. Ma le amavo un attimo dopo queste tue bizze, perché mi facevi partecipe della tua gioia e l’allegria prendeva il posto dei pensieri anche i più cupi. Riuscivi a trascinarmi, quasi come una renna fa con la sua slitta, dovunque potessi esprimerti in libertà. Gli spazi aperti come le salite più ripide, erano occasioni per spiegare la tua anima indipendente, leggera, solitaria ma con me al tuo fianco. Ora, mio spirito dolente, perché non rispondi più al mio cenno, al suono della mia voce, al flebile sibilo della mia bocca? Sù, muoviti ancora, lascia questo posto, articola le tue ossa malconce e che possano ancora correre su e giù per i gradini di questa casa. Beviamo insieme ancora qualche goccia dall’Oblio e a ritroso ricerchiamo le cose per la prima volta, così definitivamente distratti calchiamo nuovi fili d’erba, cresciuti a sconosciuto manto. Io e te, a sei zampe, ritroveremo l’arte dell’equilibrismo presso un qualsiasi Circo, ancora capace di scommettere su vecchi artisti della composizione scomposta, dell’equilibrio precario, dell’architettura senza travi, dei colori scoloriti e della fantasia contenuta. Vedrai caro amico, che il mio dibattere assieme al tuo abbaiare vedranno il silenzio solo dopo gli ultimi applausi.
P.S.: Trasmetto questa mail per gli amici che lo hanno conosciuto, o anche no, ma che hanno o hanno avuto una storia simile su cui riflettere.
Francesco Del Zompo
05/08/15
Castelbasso. Ramin Bahrami e i Solisti Aquilani: quando la musica si fa poesia
Non
tutti sanno che J.S.
Bach compose
i Concerti
Brandeburghesi
nn. 3 - 5
e 6
ed i Concerti
BWV 1052 e
1056
in quel di Castelbasso, paesino longobardo un tempo ed ora piccolo
gioiello tra le dolci colline abruzzesi che circondano Teramo…
Non
è vero, ovviamente, ma è vero che tra quelle mura di pietre
antiche, tra i vicoli che se ne stanno stretti stretti per battere il
freddo che cavalca il soffio tumultuoso del Gran Sasso, tra le
gigantesche variopinte ortensie ancora in fiore, le note di quelle
composizioni trovano oggi forma perfetta, forse più che in una
paludata sala da concerto. Gran merito certo dell’intelligente
costruzione del programma, e dell’armonica scelta di brani il cui
fil rouge è nella spiccata “vivaldianità” degli accenti.
Nella
quiete della “piazzetta
dietro la chiesa”
- tra gli ulivi e le zolle smosse di mezza estate -
I Solisti Aquilani
e Ramin
Bahrami
hanno disegnato sapienti la magia di Bach,
rese palpabili la serenità interiore e la “ricchezza
della sua anima profondamente religiosa”
* che pervadono anche le opere non sacre.
“La
forza della sua fede, la versatile umanità“
che le sue architetture sonore traducono in irrefrenabile afflato di
salute e di forza, emergono prepotenti nella calda, avvolgente e
coinvolgente esecuzione dei Solisti e di Bahrami, saldandosi in
assoluta coerenza all’augurio di Pace che questi indirizza, come
sempre fa, al pubblico.
Nella
potente energia dei bassi dei
Concerti Brandeburghesi
è in piena luce la presenza ispiratrice del Vivaldi che Bach tanto
ammirava, e il senso irrefrenabile di forza - già richiamato - è
sottolineato dall’intensità con cui è sentito il principio di
tonalità. L’atmosfera da Concerto Grosso da cui i Brandeburghesi
derivano è, insomma, magistralmente ricreata dai Solisti
grazie al
sapiente e calibrato gioco contrappuntistico di tutte le sezioni.
Ed
ecco il Terzo Concerto, tanto incisivo che
se ne
lasciarono ispirare
nientemeno
che i Nice,
il gruppo di “Rock
progressive”
di K.Emerson e S.Howe: nel loro album del ’69 “Ars
longa vita brevis”,
resero omaggio al concetto di forza interiore di quel concerto
componendo un’estensione dell’Allegro,
la cui didascalia concludeva: “Ieri
ho incontrato qualcuno che ha cambiato la mia vita (Bach), oggi
abbiamo creato un sound che indica perfettamente qual è il nostro
obiettivo”.
A conferma - se mai ce ne fosse bisogno - che il genio di Bach
concluse un’epoca, assommandone tutte le caratteristiche e
portandole alla sintesi più perfetta, ed oggi è sempre lì a
indicare “il
difficile cammino della musica contemporanea”*.
Ma,
come scriveva M.Mila, “C’è
di più, un’interiorità profonda, l’eco di un’anima capace di
albergare in sè le più profonde meditazioni sull’uomo, su Dio e
sul mondo”
*. Questo “di più”, Bahrami al pianoforte e Mercelli al flauto,
lo hanno mostrato in tutta la sua forza poetica ampliando e
impreziosendo la già ricca parte orchestrale del Concerto
n.5
Un
tocco vellutato e antico, tipico delle viole, è quello dato poi dai
Solisti al Concerto
n.6, l’esecuzione
del quale
nondimeno hanno saputo colorare di tinte forti ma equilibrate in un
contrappunto serrato fino all’apoteosi dell’Allegro finale.
E’ infine nei Concerti
BWV 1052 e
BWV 1056
che Bahrami esprime tutto il proprio - quasi viscerale - amore per
Bach.
Nel primo dei due, in tipico stile italiano, Bahrami poeta con Bach
attraverso l’invenzione tematica molto melodica: ed è la stessa
profonda intimità tra compositore ed interprete che fece di Chopin e
Rubinstein un binomio indissolubile. Nel secondo, la
matrice vivaldiana – che spicca ad esempio nell'accompagnamento
pizzicato della melodia – non impedisce che le frasi semplici e
lineari e il ritmo di geometrica esattezza abbiano l’inequivocabile
“profumo” di Bach.
Il
pianoforte di
Bahrami
è sempre magistralmente fuso con l’orchestra: mai sopra o sotto
gli archi, mai in contrapposizione, sempre anzi in afflato e sostegno
reciproci; ne è esito felicissimo l’aver reso pienamente
l’integrale nobiltà spirituale e musicale di Bach in
“un
dialogo del Signore con se stesso prima della creazione”
(Goethe)
Più di
ogni parola, vale forse ciò che Bahrami dice di sé in relazione a
Bach:
“L’energia,
l’entusiasmo e la vitalità che la musica di Bach mi ha trasmesso
mi hanno tenuto lontano dai pericoli e dagli smarrimenti che
colpiscono i giovani di oggi. In generale posso affermare con
tranquillità che nell’arte o nella cultura si trovano elementi
estetici che hanno anche un valore etico e indicano la via da
seguire”.
[intervista a L’Espresso del 31.8.2011].
Francesco Di Giuseppe
*
M.Mila: Storia della musica
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